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Śaṅkara

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Śaṅkara, dipinto diRaja Ravi Varma (1848-1906)

Saṅkara,Śaṅkarācārya,Śaṃkara, ancheAdi Shankara o, nell'adattamento anglosassone,Shankara (788? – 820?), è stato unteologo efilosofoindiano, nonché il fondatore della scuola dell'Advaita Vedānta[1] (propugnatrice della dottrina dettakevalādvaita).

Vissuto tra il VII e l'VIII secoloe.v. (o tra il VI e VII secolo; datazioni tradizionali oggi non confermate: 788-820)[2] ebbe una profonda influenza nello sviluppo dell'induismo attraverso la sua dottrinanon dualistica.

Durante la sua vita si dedicò alla redazione di commentari sulleUpaniṣadvediche, sulBrahmasūtra e sullaBhagavadgītā. Ha difeso la grandezza e l'importanza delle sacre scrittureinduiste, leŚruti, ossia la letteraturavedica, ridando nuova linfa all'induismo nel momento in cui ilbuddhismo e ilgiainismo stavano diffondendo le proprie dottrine, da lui considerate eterodosse.

Biografia

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Conosciamo la vita di Śaṅkara grazie alle agiografie tra le quali la più influente e diffusa è loŚaṅkaradigvijaya (ancheSaṅkṣepa Śaṅkarajaya) attribuito a Mādhava, e composta tra il 1650 e il 1800 con probabili rimaneggiamenti fino alla metà del XIX secolo, e che comprende testi anteriori attribuiti a Vysācala e a Tirumalla Dīkṣita, il che rende difficile stabilire la sua effettiva storicità[3]. Un'altra meno diffusa agiografia, loŚaṅkaravijaya di Anantānandagiri, è relativa alla tradizione meridionale del Kāñcīpuram.

Stando alla biografia presente nelloŚaṅkaradigvijaya, Śaṅkara è nato da una famiglia dicastabrahmanica, appartenente alla comunità ortodossa dei Nambūṭiri della città di Kālati (Kerala). I genitori non ebbero figli finché, per rispondere alle loro preghiere, lo stesso dioŚiva decise di incarnarsi (avatāra) nel loro figlio, Śaṅkara.

Giunto all'età di sette anni Śaṅkara aveva già compiuto tutti gli stadi delloāśrama hindū, decidendo quindi di intraprendere ilsaṃnyāsa. Abbandonò quindi la famiglia e la madre, sofferente per la sua scelta, divenendo discepolo diGovindanātha (anche Govindapāda) che insegnava in una località presso il fiumeNarmada. In alcune sue opere Śaṅkara afferma che il maestro del suo maestro fuGauḍapāda, dal che la tradizione indica Govindanātha come allievo di quest'ultimo considerato come il primo pensatoreadvaita ("non dualista").

Recatosi, su indicazione di Govindanātha, a insegnare aVārāṇasī, lì Śaṅkara ebbe come primo suo discepolo Sanandana (Padmapāda).

All'età di dodici anni, sempre secondo le agiografie, salì sull'Himalaya giungendo a Badarī, dove compose il celebre commentario alBrahmasūtra, ilBrahmasūtra-bhāṣya, e gli altri commentari sullaBhagavadgītā e sulleUpaniṣad vediche.

Divenne quindi itinerante, pronto nelle dispute filosofiche e teologiche a difendere l'interpretazione religiosa delloadvaitavedānta.

L'agiografia di Mādhava indicaKedarnāth come luogo della morte di Adiśamkarācārya.

Dottrine

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Lo stesso argomento in dettaglio:Advaita Vedānta.

Le dottrine elaborate da questo santo e teologo hindū posseggono il precipuo scopo di realizzare l'emancipazione dai legami karmici nei confronti delsaṃsāra, e quindi ottenere la liberazione da questi (mokṣa). E l'unico modo per ottenere ciò è, per Śaṅkara, la retta conoscenza (jñāna) che consente la completa e immediata liberazione, la quale diviene definitiva dopo la morte.

Per Śaṅkara, quindi, le altre pratiche religiose come labhakti (la devozione nei confronti della divinità), o l'attività sacrificale e le restanti pratiche cultuali e morali, non consentono il raggiungimento del fine ultimo, ma solo l'ottenimento di rinascite favorevoli.

Una condotta libera dagli attaccamenti mondani, gli insegnamenti di unguru e lo studio attento, sotto la supervisione di questi, della letteratura vedica, soprattuttoupaniṣadica, sono l'unico mezzo per ottenere lo scopo ultimo. Da notare che lo studio della letteratura vedica, quindiupaniṣadica, è precluso ai non-dvija (a coloro che non sono "nati due volte"[4]), ovvero alle donne, agliśūdra e, a maggior ragione, agliavarṇa ("fuori casta"), che risultano quindi esplicitamente esclusi da questo percorso di liberazione[5].

Le dottrine di Śaṅkara, quindi la sua interpretazione della letteratura sacra, è dettaadvaita ("non duale") ovvero assegna come "realtà assoluta" (paramārthika) e ultima il soloBrahman, laddove, un altro darśana hindū, il più anticosāṃkhya, intende invece allo stesso modo reale due piani dell'esistente: lo "spirito" (puruṣa) e la "materia" (prakṛti).

Dal che, per questa dottrina, il mondo mutevole (il sofferentesaṃsāra) è pura apparenza (vivarta) e non ha fondamento "reale", sorgendo dallo stessoBrahman. Allo stesso modo, l'ātman individuale coincide con ilBrahman universale, quindi anche la "coscienza" individuale (cit) risulta sovrapponibile all'Essere (sat) e quindi alBrahman stesso.

Ilsaṃsāra sofferente si genera nel momento in cui per mezzo di un processo indicato con il termineadhyāsa si produce l'illusoria divisione (māyā) delBrahman-ātman in esseri individuali (jīva) e Dio (Īśvara), dove quest'ultimo diviene causa efficiente dell'universo materiale. È lo stessoBrahman che per mezzo della sua potenza (śakti) produce lamāyā, emanando così il mondo delle diversità ma rimanendo esso stesso unicità.

Ilmokṣa si concretizza quindi nella rimozione di questaavidyā ("ignoranza", "mancanza di conoscenza"), di questamāyā ("illusione"), che non consente di scorgere la cifra ultima e unica del reale, ilBrahman.

Per addivenire a queste conclusioni Śaṅkara prende in analisi tre istanze della realtà/verità[6]:

  • la prima, dettavyāvahāriksatya ("verità /realtàconvenzionale") è il mondo della veglia costituito dal continuo fluire delle percezioni cui l'uomo dà coerenza per mezzo delle dimensioni dello spazio, del tempo e della causalità;
  • la seconda dettapratibhāṣikasatya ("verità/realtà intorno alla quale si può parlare") è il mondo onirico, ovvero quello delle allucinazioni e dei miraggi, il quale sprovvisto di quella coerenza che invece possiede il mondo della veglia, consegue il suo livello di realtà finché questo gli viene attribuito;
  • la terza, ed ultima, dettaparamārthikasatya ("verità/realtà ultima") è la realizzazione delbrahman, privo di percezioni, immagini e attributi (nirguṇa), privo quindi del divenire continuo proprio delvyāvahāriksatya e del divenire frammentario proprio delpratibhāṣikasatya.

L'uomo subendo l'influsso dimāyā, vede ilBrahman, unico, come molteplice, come se, a una luce fioca, scambiasse una corda per un serpente spaventandosi.

Vi sono quindi tre "viste"[7]:

  • quella dell'avidyā, l'ignoranza/nescienza, che accetta supinamente le verità e le percezioni mondane, soffrendone l'impermanenza e la contraddizione, identificandosi con il corpo fisico e condannandosi al divenire delsaṃsāra;
  • quella della "conoscenza", ma ancora nel mondo, che si avvia a comprendere mediante la meditazione, ovvero che il mondo più che"essere" reale, "sembra" reale;
  • quella della "intuizione" profonda che, con la conquista della meta meditativa, scopre l'irrealtà e l'illusorietà del mondo e del mondano, penetrando nella "montagna sacra" guarda al mondo leggendone l'unità soggiacente, al di là dei nomi, dei concetti e delle percezioni. Tutto viene e riassorbito e scompare nella luce eterna delBrahman, il "senza attributi" (nirguṇa):
«All'infuori delbrahman non vi può essere altra causa materiale dell'universo. Ne consegue che non vi è che ilbrahman e null'altro.»

(ŚaṅkaraAparokṣānubhūti, 23-28; traduzione diGianluca Magi, p. 10052)

La profonda consapevolezza dell'unitarietà del Reale e di ogni cosa in esso raccolta rende conto dell'errore nel percepire l'altro come diverso da sé. Tutto è pura Realtà, Coscienza e Beatitudine (Saccidānanda)[8] e in ciò consiste la liberazione dalla mondanità, ovvero dalle sue passioni e catene e, quindi, dal ciclo delle rinascite.

Opere

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Sono troppi i testi attribuiti a Śaṅkara perché questi possano essere effettivamente suoi[9]. Tra i più importanti, e comunque a lui attribuite, si possono considerare (evidenziate in giallo), le opere che secondo Paul Hacker, Mayeda Sengaku ed altri studiosi possono essere ragionevolmente attribuite a Śaṅkara, tutte le altre opere risulterebbero di autori più tardi e a lui attribuite[10] :

  • I commentari (bhāṣya) alle seguenti opere:
    • Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad;
    • Chāndogya Upaniṣad;
    • Taittirīya Upaniṣad;
    • Aitareya Upaniṣad;
    • Kena Upaniṣad;
    • Īṣa Upaniṣad;
    • Kaṭha Upaniṣad;
    • Praśna Upaniṣad;
    • Muṇḍaka Upaniṣad;
    • Māṇḍūkya Upaniṣad;
    • Gauḍapādīyakārikā
    • Bhagavadgītā;
    • Brahmasūtra
  • Upadeśasāhasrī;
  • Dakṣiṇāmūrtistotra;
  • Pañcīkaraṇa;
  • Aparokṣānubhūti;
  • Ātmabodha;
  • Śataślokī;
  • Bālabodhinī;
  • Ātmānātmaviveka;
  • Tattvabodha;
  • Daśaṣlokī;
  • Vivekacūḍāmaṇi;
  • Vākyavṛtti;
  • Advaitapañcaratna;
  • Māyāpañcaca;
  • Laghuvākyavṛtti;

Sempre a Śaṅkara si deve la prima opera dossografica hindū, ilSarvavedāntasiddhāntasārasaṃgraha.

Gli ordini religiosi

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Il tempio a Śṛṅgerī nel Karṇataka che la tradizione vuole fondato da Śaṅkara nell'VIII secolo.

Secondo alcune tradizioni[11] Śaṅkara fondò quattro (o cinque) centri religiosi per diffondere le dottrine proprie dell'advaitavedānta.

I monaci (saṃnyāsa) appartenenti a tali centri religiosi vengono collettivamente indicati con il nome didaśanāmi ("diecinomi") in quanto sono divisi in dieci differenti ordini monastici i cui componenti acquisiscono un diverso nome collegato al proprio ordine[12]:

  • al tempio di Badarī nello Himalaya, a cui corrisponde l'ordine monastico dei "Giri";
  • al tempio Dvārakā nel Gujarat, a cui corrisponde l'ordine monastico degli "Āśrama";
  • al tempio di Puri in Orissa, a cui corrisponde l'ordine monastico degli "Araṇya";
  • al tempio di Śṛṅgerī nel Karṇatak, a cui corrisponde l'ordine monastico dei "Bhāratī";
  • al tempio di Kāñcīpuram, a cui corrisponde l'ordine monastico dei "Sarasvatī".

Ad altri centri religiosi dipendono i restanti cinque ordini monastici: "Tīrtha", "Purī", "Vaṇa", "Parvata" e "Sāgara".

Dai nomi comprendiamo l'origine dell'assegnazione funzionale di tali ordini: gli "Āśrama" erano preposti alla vita nei cenobi; gli "Araṇya" e i "Vaṇa", agli eremi nelle foreste; "Giri" e "Parvata" a quelli sulle montagne; "Sāgara" in riva al mare; "Purī" nelle città; "Tīrtha" presso i santuari.

Note

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  1. ^«Śaṅkara [...] metafisico induista, guida religiosa e fondatore dell'Advaita Vedānta.» (David N. Lorenzen,Enciclopedia delle religioni, vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006, p. 332.
  2. ^
    «Śaṅkara 788-820 circa»

    (Gavin Flood,L'induismo (1996). Torino, Einaudi 2006, p. 125)

    «Śaṅkara(vissuto probabilmente nel VII/VIII secolo d.C.)»

    (Mario Piantelli, inHinduismo (a cura di Giovanni Filoramo), Bari, Laterza, 2002, p. 10)

    «´Śaṅkara dates remain a matter of scholarly controversy. Many accept the traditional dates 788–820; in recent years, however, several scholars have argued for a longer life span centered around the beginning of the eighth century.»

    (David N. Lorenzen,Śaṅkara. "Encyclopedia of Religion", vol. 12. NY, Macmillan, 2005, p. 8104)

    «Śaṅkara (Śaṅkarācārya, Adiśankara, probabilmente VI-VII secolo e.v.; una datazione fino a poco fa data per certa, 788-820, non è più così sicura perché fondata su alcuni presupposti erronei).»

    (Alberto Pelissero,Filosofie classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2014, p. 283)

  3. ^«The considerable number of Sanskrit hagiographical accounts of the life of Śaṅkara all appear to be comparatively recent compositions. It is difficult to judge to what extent they embody factual historical traditions. The most influential of these hagiographies is theŚaṅkaradigvijaya orSaṅkṣepa Śaṅkarajaya of Mādhava, composed sometime between 1650 and 1800 and possibly reworked about the middle of the nineteenth century.» David N. Lorenzen,Encyclopedia of Religion, vol. 12. NY, Macmillan, 2005, p. 8104.
  4. ^Sono questi i componenti maschi delle prime tre caste hindū che hanno ottenuto l'iniziazione per mezzo del rito dettoupanayana.
  5. ^Cfr. «Since this last prerequisite is permitted only to members of the higher castes,śūdra are explicitly ineligible for this illumination» David N. Lorenzen, p. 8105
  6. ^Cfr. Gianluca Magi, p. 10051.
  7. ^Cfr. Gianluca Magi, pp. 10051-2.
  8. ^Gianluca Magi, p. 10052
  9. ^Cfr. Alberto Pelissero, p. 283
  10. ^Cfr. David N. Lorenzen, p. 8105
  11. ^David N. Lorenzen,Enciclopedia delle religioni, vol. 9. Milano, Jaca Book, 2005, p. 333
  12. ^Cfr. Natalia Isayeva,Shankara and Indian Philosophy. New York, State University of New York Press, 1993, nota 10 p. 82

Bibliografia

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  • Giovanni Filoramo (a cura di),Hinduismo, Bari, Laterza, 2002.
  • Natalia Isayeva,Shankara and Indian Philosophy. New York, State University of New York Press, 1993.
  • David N. Lorenzen,Śaṅkara in "Encyclopedia of Religion", vol. 12. NY, Macmillan, 2005, pp. 8104 e sgg.
  • Gianluca Magi,Śaṅkara in "Enciclopedia filosofica", vol. 10, Milano, Bompiani, 2006, pp. 10050 e sgg.
  • Alberto Pelissero,Filosofie classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2014, pp. 300 e sgg.
  • Per traduzioni complete di testi tradizionali VedāntaRaphael, edizioni Asram Vidya

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