Nellelingue semitiche, la letterajodh rappresentava probabilmente un braccio e una mano, derivando dal geroglifico con suono[ʕ]. Il semitico però conservò solo un suono semiconsonantico[j] (come nella parolaaia), dal momento che la parola che significava "braccio" iniziava probabilmente con questo suono. La lettera poteva tuttavia conservare il suono vocalico[i] nella pronuncia delle parole straniere.
Ilgreco derivò da questa lettera laiota, una vocale breve. Essa passò poi senza mutare forma all'alfabetoetrusco e infine a quellolatino. Furono gliamanuensi delMedioevo ad aggiungere un punto sopra lai, per distinguerla dallau, dallam e dallan simili nellascrittura gotica. Da essa si evolve poi laJ in alcune lingue per indicare lasemiconsonante, ma le due lettere si differenziarono nettamente solo a partire dalXVI secolo.
Nell'ortografia italiana la lettera I ha un ruolo particolare per la sua poliedricità, avendo diverse funzioni fonologiche e grafiche.Complessivamente si possono identificare quattro tipi di I nell'uso complessivo che l'ortografia italiana fa di tale lettera: una Ivocalica, unasemiconsonantica, unadiacritica e, ancora, una di natura meramente "ortografica". Tale classificazione per quanto oggettiva è del tutto priva di qualsiasi carattere funzionale o ufficiale (generalmente non è accennata nelle grammatiche), ma viene qui usata per spiegare meglio la complessità del fenomeno.
La I è vocalica quando rappresenta ilfonemavocalico/i/. Ciò avviene sempre quando è sede dell'accento di parola. Quando non è sede di accento, I è vocalica quando rappresenta un nucleo di sillaba, e cioè più comunemente quando è interposta tra due consonanti o precede una vocale di un'altra sillaba (vi-à-le) o, in principio di parola, quando precede una consonante o una vocale di un'altra sillaba (i-o); conserva questo valore quando, in presenza di altri segni vocalici, forma la coda di undittongo discendente (ai,ei,oi,ui), anche se in questo caso sarebbe più corretto definirlasemivocale.
La I è semiconsonantica quando rappresenta il fonemasemiconsonantico/j/, ovvero tutte quelle volte in cui la I è primo elemento di un dittongo e trittongo che non rientrano nei casi di sopra, o quando è tra due vocali. In passato, fino alla prima metà delXX secolo, era sentita la necessità, o il vezzo, di distinguere questi due statuti fonetici anche graficamente, scrivendo quest'ultimo con la letteraJ, ma limitata ai casi in cui la semiconsonante fosse in principio di parola ("Jonio"), intervocalica ("notajo") o come terminazione del plurale dei nomi in-io atono ("varj"),[1][2] ma mai in altri contesti (*"bjanco"). Caratteristica di I semiconsonantica è l'influenza esercitata sull'elisione: l'elisione degliarticolilo,la egli (e delle rispettive preposizioni articolate) avviene molto raramente davanti a parole inizianti per I semiconsonantica, preferendosi optare per le forme intere (lo iato;la Iolanda) mentre è molto comune, e in alcuni casi obbligatoria, davanti a I vocalica (l'indice).
La I ha valorediacritico quando non rappresenta alcun fonema ma determina, da sola o in unione ad un altro segno grafico immediatamente precedente, il valore fonetico di una lettera precedente, che da sola sarebbe differente. Nel primo caso la I diacritica forma undigramma (ci;gi) e nel secondo, untrigramma (sci egli). Tutti questi composti possono precedere tutte le quattro le restanti vocali, ma quando i primi tre precedono E, il valore diacritico della I viene meno: in questi casi infatti E oltre a conservare il suo valore fonologico assume anche lo stesso valore diacritico di I, per cuice,ge esce hanno lo stesso identico suono dicie (/ʧe/),gie (/ʤe/) escie (/ʃe/), e la I risulta quindi superflua, cioè puramente ortografica.
Possiamo considerare ortografica, cioè occorrente dal punto di vista meramente ortografico, quella I che non ha funzione fonologica né diacritica, ma comunque richiesta dall'ortografia in quanto motivata da più profonde ragioni d'ordine storico,etimologico (sufficiente, per influenza culturale del modello latino) o grammaticale (per esempio nella voce verbalesogniamo I è parte della desinenza -iamo) o, ancora, per semplice convenzione (cielo, per distinguerlo dacelo, voce verbale).
«La j […] è stata usata un tempo nella grafia italiana con valore di semiconsonante, in principio di parola (jeri, juta) o tra due vocali (frantojo, noja, pajo ), oppure in fine di parola come terminazione del plurale dei nomi in -io atono (varj). Con queste funzioni l’uso della j in parole italiane è quasi del tutto scomparso tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo.»
^J, inTreccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
«L’italiano si servì invece del segno j con due funzioni diverse: tra vocali o all’inizio di parola davanti ad altra vocale per indicare il valore semiconsonantico dell’i (per es., jeri); in fine di parola, come terminazione del plurale dei nomi in -io atono (per es., varj) per evitare confusioni, in qualche caso, con altre parole (per es., vari plur. di varo). In entrambe le funzioni, l’uso dell’j in parole italiane è quasi interamente scomparso tra la seconda metà del 19° e la prima del 20° sec.»