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sei inLa città >>Porta Romana >> il mondo sacro degli insubri

 

diMaria Grazia Tolfo

Pozzo sacro nella cripta di S. Vincenzo in Prato

 

Se un mito o una leggenda
conserva la sua capacità di fascinazione,
indica che è ancora vivente.

C.G. Jung

 

La zona di Porta Romana riveste grande importanza per laconcentrazione di archetipi culturali risalenti al mondo celtico e tramandaticida leggende oggi ridotte a tizzoni che covano sotto la cenere.
Leggenda e archeologia si mischiano in questa zona,fondendosi in un corpo unico di tradizione a volte enigmatica. Il dato sipresenta velato da etimologie enigmatiche, depistanti, che hanno sedimentatosecoli di interpretazioni spesso fantasiose.
La nostra esposizione non vuole togliere questo velo al mitonell’illusione di cogliere unaverità lunga duemila anni, ma si allineacon le altre narrazioni di storia locale che hanno tramandato le nostreleggende, perché le prossime generazioni possano continuare a raccontare ilnostro mondo magico. Soffiamo sul fuoco… e riaccendiamo la leggenda.

Costellazione dello ScorpioneIniziamo la storia del Sestiere di Porta Romana… da quandonon c’era, ossia dal VI-V sec. a.C., quando c’era solo un santuario – ilmedhelan– per il raduno delle tribù insubriche in occasione delle feste annuali. Inquesta zona – oggi densamente costruita - c’erano prati, un laghetto, un fiume- il Seveso – e alcuni rigagnoli, una strada che in parte costeggiava il fiumee alcuni viottoli di campagna, uno spazio per i giochi circondato da gradinatein legno, un piccolo cimitero e qualche trattoria con cibi cotti da vendere:suona molto simile a un moderno raduno per concerto? Se avete notato “ilcimitero”, avete intuito che è tutta un’altra storia.

Cosa aveva allora di così interessante questa zona, da averconservato per duemila e più anni un carattere sacro? Corrispondeva al punto aSud-Est dove dal santuario si osservava la levata eliaca di Antares[1],la stella rossa della costellazione dello Scorpione, che brilla alla fine dellaVia Lattea ed era perciò considerata dai Celti una porta per l’Aldilà.
La levata eliaca di Antares segnava la fine dell’estate (poidi S. Martino) e il capodanno celtico. Si apriva, per così dire, la portadell’altro mondo, si onoravano i defunti e si scongiurava la morte con festeorgiastiche. Le celebrazioni del capodanno avevano tre giorni preparatori, dovesi tenevano i giochi che avrebbero selezionato i guerrieri più valorosi, ilgiorno del Capodanno, tre giorni finali per i giudizi della corte suprema, gliscambi, i nuovi contratti.
In questo periodo era ancora naturale che vita e mortefossero due parti dello stesso insieme, come il mantello di S. Martino, che siassunse molto più castamente l’onere di ricordare la festa in età cristiana.

La strada principale di cui abbiamo parlato è il corso diPorta Vigentina, che proveniva da Opera, Locate e Siziano[2], dove si trovava il confine naturale con il territorio di Laevi e Marici,segnato da una fascia di risorgive che creava le paludi.[3]Territorio ricco d’acqua e perciò ambito dalle prime popolazioni che sistanziarono in Lombardia, ancora amanti delle paludi. Superata questa zonapaludosa di confine, si proseguiva per Pavia.

La strada non si fermava come oggi alla Crocetta in corso diPorta Romana, ma proseguiva fino almedhelan, passando attraversol’attuale Università Statale (Ca’ Granda). Torniamo quindi sulla strada epercorriamola da corso di Porta Vigentina verso piazza S. Stefano. Alla nostradestra (all’altezza del Policlinico) avremmo visto una necropoli, divisa traquella che gli archeologi oggi chiamano di S. Antonino e l’altra di S. Stefano.
Alla nostra sinistra avremmo avuto un pratoche costeggiava un laghetto attraversato da un ponte mobile. Era un laghettonaturale, niente più che un allargamento del letto del Seveso, spesso ridotto aun pantano. Da S. Stefano la strada costeggiava il Seveso e proseguiva fino apiazza Fontana, via S. Paolo, piazza Meda, via Morone, dove si congiungeva conl’altra strada che portava almedhelan, la via Manzoni.

Le strade Vigentina e Romana in una mappa del 1700

Nel prato, dove oggi si trova il cortile maggiore e ilchiostro meridionale dell’Università, si costruivano le gradinate lignee e cisi radunava in attesa che gli atleti, attraversato il ponte rituale,iniziassero i combattimenti. Non li avremmo considerati molto sportivi, perché– soprattutto in occasione del capodanno – combattevano bendati, con una manolegata dietro la schiena e all’ultimo sangue. Si trattava infatti di unsacrificio spontaneo e rituale per placare con il sangue i defunti, secondoun’usanza comune a tutti gli indoeuropei. Erano dettiandebata. Le animedei trapassati in quell’anno stazionavano davanti alla porta di Antares inattesa di procedere oltre, ma questo passaggio richiedeva un’energia che leanime più deboli di vecchi e bambini o malati gravi non potevano avere, per cuisi paventava il rischio che ci fosse un riflusso di morti nel mondo dei vivi. Icombattenti che si immolavano nei giochi erano forti e potevano presentarsiall’appuntamento con l’apertura dello “stargate” di Antares a guidare senzafallo le schiere di deboli trapassati[4].

Gli eroi sacrificati erano poi sepolti con tutti gli onorinella vicina necropoli. Nel 1885 nel cortile della chiesa di S. Antonino sirinvennero a – 2,50 m alcune tombe a cremazione con modesti anelli a globetti efibule a sanguisuga, tipici della tarda fase di Golasecca (410-350 a.C.): tuttoqui quello che rimase di questi eroi in viaggio per Antares?

Sempre in occasione del raduno di capodanno si portava acasa il nuovo fuoco del falò sacro, si pronosticavano i destini dell’anno cheveniva, si uccidevano gli animali che sarebbero stati consumati in inverno, siconsumavano i nuovi cereali.

Anche il periodo coincidente con la mietitura di agosto eraimportante; il raduno estivo durava quindici giorni e, oltre ai combattimenti,si gareggiava in onore dello spirito del grano reciso facendo correre le ruoteinfuocate.
Il rito delle ruote o covoni infuocati è documentato ovunquee si è perpetuato in età cristiana nei falò di S. Giovanni Battista. A Milano èlegato alla zona di S. Vincenzo in Prato, ma per una distorsione etimologica i nostri cultori di storia locale hanno immortalato questo rito anche nella zona del Verziere. Che operazione hanno fatto i nostri storici?

La pietra sul pavimento di S.Maria del ParadisoLa zona del Verziere in età longobarda aveva preso iltoponimo di “rauda” (terra da bonificare)[5]. Ricordiamo che a oriente della Vigentina c’era unanecropoli, nella quale si erano salvate dalle distruzioni due cappelle, S.Stefano già degli Innocenti e S. Giacomo; per distinguerle dalle altre omonimele due cappelle acquisirono il toponimoin rauda.
Perso nei secoli il significato dell’etimologia longobarda,ma vivo nell’inconscio collettivo il rito delle ruote infuocate e deicombattimenti, dal IX secolo le due chiese vennero associate alla lotte fraariani e cattolici nel IV secolo, soprattutto al tempo del vescovo Ambrogio,quando il sangue sparso dai cattolici aveva formato delle ruote infuocate chesi erano fuse nelle facciate delle cappelle. Erano trascorsi circa mille anni eci volle il governo dei Franchi a Milano perché si fermassero sulla cartaquesti aerei archetipi celtici.

Nella chiesa di S. Maria del Paradiso in corso di PortaVigentina si trova la famosa pietra delTredesin de Mars, reperita nelcimitero di Porta Orientale presso S. Dionigi e qui inserita nel pavimentodella navata centrale. Si tratta di una ruota di pietra, con un buco in mezzo,dal quale si dipartono tredici raggi. Doveva essere una pietra tombale, perchéil foro nella pietra è detto in Oriente “porta della liberazione”, dalla qualepassa l’anima del defunto. La pietra entrò nel culto cristiano grazieall’associazione con l’agiografia di S. Barnaba, protovescovo milanese.

In un santuario celtico potevano mancare riferimenti alculto delle pietre? Non stiamo parlando dimenhir o di massi erraticiconsiderati sacri, ma di semplici pietre che erano diventate oggetto di culto eche rimasero nella devozione milanese per secoli.

Nella zona che stiamo analizzando c’era la pietra diS.Vittorello, ricordata con una lapide posta in facciata dellachiesetta[6].Si trattava di un sasso abbastanza grande da permettere adAmbrogio, in fuga da Milano per sottrarsi all’elezione a vescovo, di riposarsi inattesa dell’alba.

Un’altra pietra appartenente all’agiografia ambrosiana era aS. Nazaro in Pietra Santa, chiesa posta all’altezza di via Rovello e distruttanel 1888 per l’apertura di via Dante. Qui la pietra era conservata all’internodella chiesa e, a seconda delle tradizioni, sarebbe servita a S. Ambrogio dainginocchiatoio oppure da predella per scacciare gli ariani. C’è anche un“giallo” legato a questa pietra, che venne scippata dalla Confraternita di S.Agata in S. Nazaro: in un documento del 1579 si ingiunge alla Confraternita direstituire la pietra santa alla Confraternita di S. Gerolamo, che dall’XIsecolo gestiva la chiesa di S. Nazaro in Pietrasanta[7]. Ora si trova nel battistero di S. Vincenzo in Prato.

La pietra santa in un'incisione del 1700La pietra santa in S.Vincenzo in Prato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questi episodi collegati all’agiografia ambrosiana cievidenziano come, fino al XVI secolo, il culto delle pietre fosse ancora vivo e persistente nell’inconscio collettivo milanese. Soprattutto la pietra di S. Nazaro è indicativa della continuità simbolica, perché salire su una pietra aveva un preciso significato carismatico. Nelle cerimonie celtiche disuccessione, sulla pietra era inciso un paio di piedi appartenuti al primocapo; durante la cerimonia d’insediamento, il capo saliva sulla pietra es’impegnava a seguire le orme dei suoi predecessori.
Tutte le pietre di tradizione celtica vennero incluse inagiografie cristiane e rimasero oggetto di culto della popolazione indigena.

Altro elemento archetipico e risalente al mondo celtico è“il ponte”. Una leggenda tramandatasi per secoli voleva che dal Bottonutopartisse un ponte che, col trascorrere del tempo, diventò sempre più lungo.

La leggenda risultava incomprensibile, finché negli anniTrenta del secolo scorso gli archeologi non scoprirono l’esistenza del laghettonaturale creato dal Seveso, per cui al Bottonuto poteva trovarsi il capo diponte per attraversare il laghetto e raggiungere l’area dei giochi. Dal momentoche una pozza d’acqua, a volte in secca dato il carattere torrentizio delSeveso, poteva essere tranquillamente aggirata via terra, è naturale pensareche il ponte svolgesse una funzione rituale e magica: la sua traversata dovevaessere precaria e risultare psicologicamente lunghissima, perché il ponterimase nella memoria collettiva lungo fino a Nosedo! Superata la difficoltà delponte, il concorrente a guidare le anime oltre Antares poteva accedere agliandebata.
La cosa più affascinante è che il ponte era noto nelmedioevo comePons Necis, che rimanda al latinonecare, uccidere,far morire fra atroci tormenti, spegnere, soffocare. Stiamo facendo etimologiaalla Isidoro di Siviglia?

Per spiegare la valenza degli attraversamenti ritualilasciamo la parola a Renato Del Ponte:
“Il ponte è un elemento archetipico, ilpanthahvedico, ossia il cammino angoscioso e pericoloso che solo pochissimi sono ingrado di percorrere senza aiuto, ponte collegante le due rive del cielo e dellaterra separate dalle acque della manifestazione”[8]

Il canonico di S. Nazaro Carlo Torre raccoglie la leggenda ela riporta così: “Là dove s’innalza quell’obelisco, chiamato Crocetta del Bottonuto[9],eravi quel famosissimo ponte costrutto d’archi, la cui lunghezza stendevasismisurata su per la strada Romana, e chiamavasi Arco Romano, e secondo DonatoBosso arrivava fino a Noceta[10].”
Il Torre mette insieme la leggenda del ponte con la presenzadell’arco trionfale di Porta Romana del IV secolo e sembra trasformare lapasserella rituale in un imponente ponte romano ad archi che, arrivando fino aNosedo, somiglia a un acquedotto.

La crocetta del Bottonuto ai Giardini Pubblici

Come si sa, Milano è la pura esemplificazione del principio“nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, perché dove un tempoera il ponte rituale celtico, in età viscontea si trovò un passaggiosopraelevato (come quello di Vigevano), che collegava i palazzi viscontei allaRocca di Porta Romana… ma questa è un’altra storia.

La chiesa di S. CalimeroAnche i pozzi sacri sono entrati nel nostro patrimonio dileggende, soprattutto per quanto riguarda l’affogamento rituale. Per latradizione di questo rito dobbiamo ringraziare il cristianesimo con leagiografie, come nel caso di S. Calimero, vescovo di Milano, affogato in unpozzo dove poi sorse la chiesa a lui dedicata e ancora presente nell’omonimavia.

Secondo ilDe situ civitatis Mediolani, la cronacamedievale che riprende l’agiografia, il pozzo si trovava presso il tempio diApollo, traduzione romana di Belenos, il dio celtico “luminoso” che curava conl’acqua e che è da noi ricordato con una lapide (C.I.L. 5762). In luogo deltempio, sempre secondo la leggenda, sarebbe sorta la chiesa di S. Apollinare, oggi scomparsa.



[1] La primanotte in cui si affaccia sopra l’orizzonte. La scoperta dell’orientamentoastronomico si deve a Silvia Cernuti e Adriano Gaspani, archeoastronomidell’Osservatorio di Brera.

[2] Siziano comparein antichi documenti con il nome diSe(s)tenzanum, accanto avicusAudulfi (Vidigulfo) di nome goto o longobardo, ma di origini più antiche.Non ci risultano però reperti risalenti all’età del bronzo.

[3] Che il confinetra Milano e Pavia passasse sulla linea Binasco-Lambro è dimostrato dallesuccessive centuriazioni, perché sono di diverso orientamento. La Vigentinatornerà ad essere la via privilegiata per Pavia nel medioevo. Cfr. PierluigiTozzi,Problemi di strade e confini, inMilano in età imperiale, pp. 122-124.

[4] A chi fosseinteressato ad approfondire questo argomento consigliamo la lettura di G.Santillana-H. Dechend,Il mulino di Amleto, Adelphi

[5] Lo ritroviamonel toponimo Rho, rodense.

[6] C. Torre,Ilritratto di Milano, p. 53, dice: “Per molte età furono quivi in pubblicoosservati caratteri in marmo, che rammentavano il fatto, ma smarriti dal tempo,incognito resta il loro fine”.

[7] M.T. Fiorio (a cura di),Le Chiese di Milano, Electa 1985, p. 122.

[8] R. Del Ponte,La religione dei Romani, Rusconi 1992, p. 116.

[9] Trasferita alGiardini Pubblici dopo la demolizione del Bottonuto e tuttora esistente.

[10] C. Torre,Il ritrattodi Milano, p. 45.

Ultima modifica: martedì 28 novembre 2006

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