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DE MARINI                                           via DeMarini

 

 

 

TARGHE         (tre)

SanPier d’Arena – via – De Marini

    

sul WTC, angolo via Scarsellini

         

angolo via Scappini    

   

angolo via P.Chiesa                                               

 

 

QUARTIERE ANTICO:Coscia

Da Vinzoni, 1757. In celeste, lastrada alla Lanterna; giallo via sAntonio (via NDaste); rosso, via Larga(Palazzo della Fortezza).

N° IMMATRICOLAZIONE: 2768    CATEGORIA 2

 da Pagano/1961

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   22020

UNITÀ URBANISTICA:26- SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007.

CAP:   16149

PARROCCHIA: NS sMdelle Grazie

STORIA

PRIMOTRAGITTO: ANTICO 1. normalmente si descrive questa strada, partendo dallaLanterna e proseguendo verso il borgo. E così era in antico: il primo trattodella prima -e più importante- strada costruita nel centro del borgo, dalla suanascita fino a metà secolo del 1600. Per mille e più anni, essa costituìl’unico transito d’obbligo, nell’interno del borgo

   Ultramillenario quindi il tracciato che dall’angolo del primo agglomerato dicase, detto Coscia (o anche “primo quartiere” o “quartieretto”(termine di origine della secondametà del settecento, quando Genova era divisa in 5 quartieri, ed il nostro, peri genovesi, primo ‘fuori porta’)),andando un po' a rientrare - per evitare la spiaggia e le mareggiate eprocedere sulla terra dura - portava in senso longitudinale parallelo al mare,sino “alla Polcevera”.

Èuna strada con un grande passato, di grande importanza, con una grande storia;grande signora … purtroppo poi spezzettata, dal dopoguerra decaduta, ignorata,isolata e dimenticata  anche nelle strutture andate in disuso, di cui poco sene è parlato se non in negativo a causa dei poveri immigrati tra i quali sonosi mescolati i peggiori delinquenti della società di oggi.

SECONDOTRAGITTO: ANTICO 2 Tornando lontano, la sua seconda storia inizia quando fuaperta la strada dalla Lanterna, con le mura del 1630. Da allora, sino allafine del 1800 non aveva nome: era genericamente la strada principale, quellainterna (o superiore, o comunale)  di collegamento con Genova per mercanti,viaggiatori, militari e per i proprietari delle ville di tutto il ponente.

 

  È del 5 ottobre1758 la legge che prevedeva il lastricamento di questastrada, dalla Coscia a Mercato (e poi oltre, prolungata sino a san Martino edal  ponte):il  trattofu misurato in 935 cannelle (misura che serviva per i terreni; il Casaccia diceche una cannella “contiene 12 palmi in quadrato ossia 144 palmi genovesi” checalcolando corrisponderebbero  a 297,7 cm: quindi un totale di 2,783 km = anchesino a san Martino, mi appare troppo ed impossibile!),  contemplava una spesadi 4116,10 lire a cui dovranno concorrere 35 persone .

   Nel giugno1805 fu percorsa daNapoleone,entrando in Genova; l’attendeva alla porta della Lanterna il ‘maire’ di Genova Michelangelo Cambiaso che gli offrì le chiavi della città (a simbolo di sudditanza allaFrancia; ma Napoleone le rifiutò, ad altrettanto  simbolo di lasciar conservatae libera la Repubblica).

   Prima del1850 ancora non aveva un nomedefinito, e veniva genericamente chiamata “strada comunale interna”.

  Dopo quella data subì  il primo taglio, dalla ferrovia che la incrociò a x , ela spezzò in due parti. Ciononostante conservò ancora una certa unità, infattiquando col regio decreto del1857, si vennero a stabilire per la primavolta i nomi delle vie cittadine, al pezzo di strada dalla Lanterna sino allacrosa Larga(al palazzoGrimaldi della Fortezza), fu dato ilnome di “primo tratto della lunga ‘strada superiore’(i successivi pezzi erano -incontinuità verso ponente-: via sant’Antonio, via (del) Mercato, via san Martino). Quindi ancora anonima.

   Non esiste alcun documento che in forma ufficialedecreti la titolazione ai Demarini (nell’antica targa in marmo, il nome –seppur scritto tutto


 maiuscolo - era chiaramente tutto attaccato); si è liberiquindi di supporre possibile che il cardinale (cheabitava nel nostro borgo e per le alte benemerenze che aveva acquisito nelnostro territorio),  alla sua morte nel 1747,,


abbia lasciato così profonda emozione (e donazioni) da farsì che la gente o gli incaricati comunali la dedicassero a lui che per i suoialti uffizi doveva giornalmente percorrerla per andare all’Arcivescovado o aPalazzo. Perché quando agli inizi del 1900 arrivò dallo stato regio di Torinol’obbligo di dare i primi nomi stradali, questo fu uno dei primi –se non ilprimo assoluto- ad essere imposto ad una strada, più o meno assieme a viaVittorio Emanuele II;  prima di eventuali tanti altri personaggi possibili.

  In contemporanea, arrivòil ‘progresso’: alle ferrovie seguirono il porto, il taglio di san Benigno, lenuove strade laterali e parallele, la camionale, i nomi nuovi inglesizzati (giàd’antico ci facevano vantare di essere la ‘Manchester italiana’: poveri noi,che bubboli! Nessuno – e forse neanche noi, oggi - conosceva le immaginiobbrobriose della città inglese avvolta nello smog prodotto da centinaia diciminiere, fitte come le croci nei cimiteri; ed così altrettanto, ci riempivanodi fumi, rumori, sovrapopolamento. Non vita ma sopravvivenza, e lasciaronorompere e distruggere  tutto quello che nelle altre parti del mondo è usato permenarsene vero vanto:  l’antico, la bellezza e la natura. Ci sono stati anche ilati positivi, del lavoro, della socialità maturata nelle strutture che oggigodiamo – pensione, sanità, libertà. Ma con una conduzione più oculata, sipotevano avere tutte e due assieme).

Foto del 1910 circa - Adestra negozio di parrucchiere (l’insegna dice “sala toeletta”),

poi la chiesetta, poi lavilla De Franchi

 

Nel 1940 andava da via di Francia, e finiva chiusa.

Oggi, superato il sottopasso, via De Marini non proseguepiù diritta(dopo un lieve Z) verso mare ... 

inizio del secondo trattodopo il sottopasso ed

oltrepassata v.Balleydier(in primo piano

nella foto)

...fino allo spiazzo chiamato Largo Lanterna (ora, questotratto è anonimo e,a ponente, dove c’erano delle case -che sono stateabbattute- ora è bosco incolto chiuso dai muri esterni dei palazzi stessi,troncati a due metri di altezza; sino al Largo, che ormai ha perso taledignità, conservando però ancora –nell’era incolta- l’inizio di via VittorioEmanuele II con la ringhiera.A levante, all’inizio c’è ancora (nel2007) il palazzo d’angolo, ovviamente vuoto ed in stato predemolitivo (se nonprecipiterà da solo), seguito sino al Largo da un muro fatto di antiche pietresovrapposte, sopra il quale troneggia la Nuova Darsena, seguita dalla stradache va a finire in un vasto piazzale di posteggio tir e camions).

La Targa apposta sulla strada prima dell’ultimarivoluzione era «S. Pier d’Arena – 2768 - via – De Marini»

TERZO TRAGITTO; MODERNO 3 – è divenuta coma una Y:  iniziadavanti al WTC e prosegue verso il mare diritta come in antico, finendo in  unpiazzale nel quale manovrano i camion che entrano nella Nuova Darsena da partea mare dove ha sede la Guardia di Finanza; prima dell’elicoidale si distacca ilnuovo tratto che anticamente non aveva, il quale scende -scorrendo a ponentedel muro dell’elicoidale- in via Pietro Chiesa.

QUARTO TRAGITTO quando sul finire del 2011 parte dellastrada ha cambiato nome, donato a Baldini (vedi) 

 

CIVICI

2007 = da1 a61(compresi 17AC; mancano 23→ 33,43→49,  57, 59)

             da2a62  (mancano 24→48, 58)

Un documento del 29 maggio1878,segnala che “al civ. 25  di via De Marini, il sig. Carlo DeFranchi dove abita,ha impiantato una attività privata industriale”:  sicuramente non il primo adincominciare! 

 

  Un elenco della fine ottocento,  dei proprietari delle case della strada,  vede:

civ.1,1b,1c,4Bianchetti Sebastiano;---1aTramway elettrico;---2e5Rebora Andrea;--- 6 e7 Scarsi eC.;---8Carpaneto GB;---10,13,14,15,17,18 Canepa Francesco;--- 11,12,13a erediBalleydier («costruttori meccanici  e fonderia inghisa);---15b Gattorno;---16Canonicadella chiesa Grazie;---19a casa cantoniera delle Ferrovie delloStato;---19 e22a Balbi;---20 e 21 Pissardi A.te;---22Carlevaro Giuseppe;--- 23 eredi Bodda (insieme al seguente,  hanno «al23 una fabbrica di cemento);---24 Frassinetti;---25Piccardo vedova Rovereto;---26 e27marchese Pallavicini (viene descritta unacappella (vedi Cibeo) di proprietà della marchesa Vittoria che si potrebbechiamare privata e pubblica avendo l’accesso in via Demarini, “alta, spaziosa,ben architettata e decorata di buoni affreschi, capace di tre altari quantunqueuno solo ne esistesse. In questa cappella si ufficiava pubblicamente neipassati tempi massime dell'anno 1849 e 1850 quando si stava costruendo lachiesa di N.S.delle Grazie. Certamente che allora non si prevedeva lo statodeplorevole in cui venne indi ridotta e come presentemente si trova”) ;---28e29Piccardo Giovanni (nel palazzodel cavaliere Piccardo Giovanni, sito in Montegalletto, viene descrittal’esistenza di una cappella ove talora si celebra la s. Messa con specialiprivilegi dell’oratorio privato);

 

 


---30Oneto Francesco (con « officina di costruttoremeccanico e fonderia in ghisa – un biglietto firmato da Orengo portal’intestazione di “Società Cooperativa / delle arti riunite /LATTAI-CASSAI-LITOGRAFI / in San Pier d’Arena 7 via Demarini n. 18 / in questostabilimento si eseguisce qualunque lavoro anche in Calcomania );


---3132 e32abcconservatorio dellefiglie della Carità ;---33e 35a eredi Lombardo (f.lli , fu Raffaele, con « fabbrica disaponi e sego);---33abd Bulgarello;---33c Carbone e C.;---34SanguinetiLodovico& C. / fabbrica di conserve alimentari.- vedi 1912↓);---35,36,37,38Piccardo Giovanni ;--- 35b eredi Alvigini.

 

   Nel Pagano1902, oltre quelli sopra, si leggono:---8 Tosetti P.’fabbrica casse in legno e litografo;---9albergo‘del Toro’ condotta da Rossi Giuseppe fu Em. (‘con stallaggio emercato in bestiami’; nel 1919 di Guano Ettore; nel 1912, vedi sotto al civ.13;dal 1921 ed ancora nel 25, di Rossi Umberto);--- civ.11 i costruttorimeccanici e fonderia in ghisa rispettivamente ’BalleydierFrères’ con telef.n.593;---13f.lliRossi negozio e  mediatoribestiame(singolare la storia verificatasi ametà del 1300 riguardante il macellaio Rubyovvero Rossi, e dei due suoi figli Antonio e Bartolomeo divenuti speziali: inquegli anni la corporazione dei macellai fu assai potente inserendosi  per due secolie più,  nella vita politica genovese,  come nuovo ceto mercantile o artigiano,comunque ‘popolano’ (populares, distinto dai nobiles) avendo avuto notevolepartecipazione nell’elezione a doge di Simone Boccanegra: riuscì ,1359, a fareleggere Ruby quale ‘anziano della Repubblica' facendogli ricoprire in Genovala carica di viceduce.  Tra i 18 Sapienti, tre erano macellaiuno dei primi attidel nuovo governo fu il condono –ai macellai- dei fitti arretrati dei lorobanchi, in quanto “multum profuerunt ad faciendum statum presentem”. Anche ilfiglio Bartolomeo alla fine di quel secolo divenne ‘anziano della Repubblica’.Tutti e tre vennero sepolti nelle chiesa di NS delle Vigne nel cui chiostroancor ora si può leggere la lapide munita di scudi araldici: “+ S(epulcrum) Q(uondam)D(omi)NI ANTH(oni) RUBY – MACELLAR(ii) D(e) S(ancto) PET(ro) – ARE(n)A ---continua con→ qui obiit MCCCLX die X  Januariiet Antonii et Bartholomei speciariorom fratrum et filiorum dicti q.Antonii et heredumfiliorum dicti q.Antonii et heredum suorum, quorom anime requiescant in paceamen, et qui autem eius filii decesserunt MCCCLXXII die XX Augusti”). Ci sono dei Rossi, ascritti coni Grimaldi nel 1528, ma hanno una arma diversa da Ruby);

---21 la Fabbrica Nazionale di AccumulatoriElettrici brev.Tudor (ancora attiva nel1912);--- e negozio vetrami diRothpletz e Frey(fino al 1908);---25Moro Tomaso e Figli(ancora nel 1912) hanno fabbrica di conserve alimentari e sono commissionari erappresentanti (in genere) nel ° rimane tel 8 per conserve alim; e 822 comerappresentanti;---30 Oneto Franc.costruttore meccanico;---33Lombardo f.llifu Raffaello fabbrica di candele di sego;---eCavalcaV. e C. hanno negozio di biacca, vernici e colori;


--- NON segnato il civico: --- angolo via Marina, lafarmacia Bassano GB Diovuole-- 



Nel Pagano/1908’vengono citati:34 fabbricaconserve alimentari di Sanguineti Lodovico;--- civ.33  fabbrica disaponi e di  candele di sego dei fr.lli Lombardo fu Raffaele-- 69rnegoziante di legnami con segheria a vapore Rastelli e Bagnasco telef.n.304--

   Nell’elenco stradale comunale del1910, si leggeche “via Demarini, dal largo Lanterna fino a via Iacopo Ruffini” aveva civv.sino a 30 e 59 (quest’ultimo cancellato con un tratto a penna, ma noncorretto).

 

    Nel Pagano1912  (§ nel 1919; ¨1925) nellastrada compaiono: all’8Tosetti P. falitografie su latta (non + nel 1925);- --al9-11rcommestibili di Brasoni (o Biasoni) GB.§¨;---alciv. 11i costruttori meccanici  efonderia in ghisaBalleydier fréres, tel 593(nel Pagano/19 ci sono, nel/20 non cè più);---12-14  lafarmacia Bassano GBDiovuole angolo con via Marina (maiesistita, quest’ultima via e corrisponde a via Cassini -allora via Manin- dove,dal 1925 compare);--- al13i fratelli Rossi mediatori di animali con negozio dibestiame presenti anche nel 1919;---16rcommestibili di Cerinto Carlo ancora attivo nel 1925;---20la levatrice  Mortara Teresa;e poi il pizzicagnolo Olivieri Angelo aperto ancoranel 1925;---21la ‘FabbricaNazionale di Accumulatori Elettrici’ brevettati Tudor ed il negozio-gross. di vetrami Rothpletz e Frey;--- 30-Dilcostruttore meccanico e fonderia in ghisa Oneto Franc.;---civ.33i fratelli Lombardo fu Raffaele (nel 1919 e 25,anche al civ.24) fabbricano candele di sego e saponi;--- 34fabbrica e negozio di conserve alimentari di Sanguineti Lodovico & C. vedi↑(nel 1914ed anche nel ‘19 sarà al civ. 30, tel. 12-90; poi nel 1925 avrà 41-353; nel1914 ordina a una ditta di Pontedecimo «3 cesti pasta assortita come a direspaghetti secondi moneghini , lasagne, qualche pochi (ribadisce ‘pochi’) sciguelettipoi faccia lei  tutta pasta bianca fina, nel 3° cesto può far mettere trenette avantaggiateed anche pennette (con richiamo, aggiunge ‘mostaccioli’) bianche. Gradisca imiei distinti saluti... p.Lod.Sanguineti figlio G.);---36run forno per la produzione del pane di Pozzuolo G.attivo ancora nel ‘25¨;--- 49-51rcommestibilidi Dagnino Oreste presente fno al 1919;---59‘Cappellificio Ligure’ (§ tel.30-93) negozio  efabbrica;---69rRastelli e Bagnasconegoziano in legnami, lavorano con una sega a vapore e col telef. n. 304 (nel1916-25 sono al civ.29-diventati Bagnasco & Masnata, commercio legnami esegheria meccanica-importazione diretta dall’America, Svizzera Rumenia-tel.41056);---76rla Wax Walser e C.acciaieria, tel. 46-61; 81-83r commestibili di Mossi Emma  che lavora ancoranel 1919;

   Non specificato il civico:E.Roggero e C. gestisce lostabilimento ‘Standards’ dei scaldabagni Roggero;--- la residenza del pittorescultoreBassano Luigidi nuovo è segnalato nel1919 (e forse anche dello scultore Roncallo Pietro).---

 

   Una fattura datata 7 0ttobre1916 evidenzia cheal civ. 29 c’era una segheria meccanica e commercio di legnami di Bagnasco& Masnata.

   Una imposta municipale del1919 ‘sui locali’arriva al macellaioCasale Giacomo diGiuseppe, al civ. 104r(classificato allacategoria B3, per £.57). Allo stesso –assieme a Danieri Linda- arriva una tassamunicipale, stavolta su ’esercizi e rivendite’ nell’anno 1926 per £.800, per lamacelleria sita però al civ. 147-149r (il soggetto – nel ’23 domiciliato in va G.Carduccial 24/12, aveva una macelleria anche in via generale Cantore (vedi) ed in via De Amicis.

   Il Pagano1925aggiunge:alciv. 27Moro Tomaso e figli,tel.41282 sono rappresentanti e commissionari “in genere” e compaiono nonancora impegnati nell’olio;---al 43BagnascoAntonio ha docks (magazzini per deposito) marittimi;---al 44rBacigalupo e C. sono costruttori meccanici generici(mentreBacigalupo Salvatore è costruttorenavale); ---al 155rBosio Costantino haun laboratorio di marmi (anche in via JRuffini);---non specificato il civico:Moizo Attilio fa il droghiere;-    

   Nello stesso elenco comunale, pubblicato nel1927quando tutte le strade erano incluse nella Grande Genova, vi viene segnalato unomonimo ‘vico’ in Centro; e la nostra di 4a categoria.

   Nel Pagano1940 si segnalano: civv.neri=civ. 8-Oli combustibili; 14A raffineria e olii diG.Costa;al 9 levatrice; al 43 un chimico. Civicirossi=  tre osterie; duecommestibili; autotrasportatore, latteria, tabacchino, parrucchiere, calzature,trattoria.

Una carta intestata datata 11 gennaio1951, è – al26r - della “Ditta Andrea Gallo di Luigi”, tel. 41.223, con deposito ai civv.22,24,26,32r. Vende ‘prodotti chimici’: sono citati 2 sacchi di grafite e“deposito cera per pavimenti: Gloria – creme calzature; e deposito soda ecloro”

      Nel1965, al civ. 12 c’era la succursaledella “scuola media  statale “N.Barabinola cui sede principale nel 1967 era in via Palazzo Fortezza 14 e via Cantore29b.Nel regolamento si faceva obbligo digrembiule nero con sopracolletto bianco; intervallo di 10’;  mantenerecomportamento corretto... fuori e dentro ... ben ordinati ed in silenzio. Siinsegnavano lingua straniera, educ.artistica, matematica, grammatica,geografia, geometria, fisica, antologia musicale, religione, storia, materiescientifiche.

A ponente della strada ferrata, il tracciato è rimastointatto fino ad oggi.      Al contrario, sostanziali modifiche ha subito iltratto a levante: incroci e sovrappassi; tagli ed accorciamenti; costruzioni edemolizioni; gloria ed abbandono.   In particolare il secondo taglio fueffettuato dall’apertura di via di Francia (chenon trovò ostacoli architettonici o storici degni di mantenimento); ilterzo, anche lui è un soprapassaggio, dell’elicoidale; quarto la completademolizione del quartiere e cambiamento dell’itinerario.

 (A Genova esistevano anche un vico ed una piazza omonimima con cognome tutto attaccato).

 

STRUTTURA: procedendodal mare, inizia da via Pietro Chiesa per oltre 100 metri costeggiando aponente l’elicoidale; indi curva a 90° sovrapponendosi finalmente per 200 metriancora, l’identico antico tracciato, fino a sbucare in via di Francia

   In sostanza l’anticastrada è ora divisibile in quattro tratti, da levante: il primo da via P.Chiesaa Passo di via di Francia è nuovo, in quanto ancora nel 1961 era chiuso edimpraticabile. Il secondo è sovrapposto alla primitiva ‘via De Marini’, edarriva sino al WTC; il terzo è spianato da via di Francia; il quarto è divenutonel 1935 ‘via L.Dottesio’.

Era doppio senso veicolare; nel 2009 è senso unico

Viene descritta essere completamente in territorio diproprietà del CAP

CIVICI

lanumerazione in antico andava dalla Lanterna al centro; oggi invece è invertitae va dal WTC a via P.Chiesa. Seguiamo quella antica

¶¶1)da largo Lanterna al sottopasso dell’elicoidale:

===civv.2,4,6,8 ; erano i civici posti più a levante del quartiere della Coscia equindi del borgo; per chi arrivava da Genova,  la strada iniziava subito dopoLargo Lanterna, indirizzata verso nord, fiancheggiata a ponente per centometri  da questo lungo caseggiato popolare a 5 piani, senza terrazzi, la cuiunica caratteristica era un terrazzino d’angolo in largo Lanterna che fucostruito come prua di nave (similare esiste solo nell’angolo tra via P.Reti e S.Bertelli).Al civico 6, sino al1961 c’era una Associazione Italo-scandinava.  Ultimi  proprietari delcaseggiato, appaiono le soc. SVIM ed ARMID e la SCI costruttrice ma già nel1999 in liquidazione.

La storia dei primi abitanti del caseggiato, è la storiadella Coscia e di SPd’Arena.

Drammatica è invece la storia agonizzante degli ultimi vent’anni.

Già abbandonate le case a metà degli anni 80, il palazzorimasto abbandonato fu presto occupato dai gatti e marocchini, altrettantopresto sostituiti da rumeni ed albanesi, via via cresciuti in famiglie edivenuti più di 200:  disperati extracomunitari (appunto da chiamarlapopolarmente ‘la casa degli albanesi’) pressoché tutti arrivati a Genovaclandestinamente e purtroppo dediti ad attività troppo spesso e genericamente illegali.

Pochi anni dopo si era tentata la muratura di tutte leentrate e finestre, ma le attese di demolizione favorirono il clandestinorientro, e con loro ovviamente una impennata della criminalità tra loro e dellamicrocriminalità con la popolazione.E’ sul Secolo XIX del lontano marzo1998 che nelle case pericolanti e murate furono ritrovati 150 infiltrati clandestini, tra cui 10 bambini, viventi in miserande condizioni senza servizi–luce ed acqua in particolare- ma anche toilettes per le quali venivano adibitii piani alti, senza ovviamente ripulirli. I vigili vennero costretti ad operarecontinuamente controlli e ‘censimento’ di questi disperati, finché il Comuneaddivenne alla necessità di eliminare il problema alla radice, visto cherecidivava con immediata sequela. Ovviamente si innescò la sterile diatriba su quella poveragente sfrattata e con rischio del rimpatrio; nonché sul “centro storicodistrutto e non restaurato o quantomeno  non riutilizzato in modo opportuno”. La demagogia di chi ci governa, lenta come sor Tentenna, indecisa nel prenderedrastiche ma vitali soluzioni, era riuscita in pochi anni a trasformare unquartiere da ambiente di rudi  pescatori, minolli, e marinai ma onesti, nellosquallido e fatiscente covo di delinquenti; rendendo alla memoria del nomedella Coscia la peggiore insegna  di gogna e ghetto. Non era certo mantenendopietosamente questa situazione che si aiutava un immigrato ad inserirsi. Dei200, 80 se ne andarono spontaneamente prima dell’arrivo delle ruspe; 16 donneed 11 bambini in albergo; gli altri quasi tutti senza lavoro né documenti.

Gli animalisti di ‘Zampatesa’ minacciarono di far sospenderei lavori, per salvare i 25 gatti inselvatichiti e randagi, ospiti anche lorodei ruderi: sui giornali “i gatti stoppano le ruspe in marcia sui ruderi dellaCoscia”.

Il 21 mar.1999 la soc DemolScavi di Rapallo (la stessa che già aveva sbancato lavicina zona di san Benigno: otto operai, tre scavatori, due pale ed una pompacapace di spruzzare 700 litri d’acqua a/ minuto), sotto i reiterati colpi di una ruspa scavatrice,munita di un braccio d’acciaio lungo 22m,  ha abbattuto, azzerandolo ilpalazzo. Come scrisse il cronista del Secolo, “il passato di Sampierdarenascompare di buon mattino nelle fauci di una ruspa”. In una settimana tutto iltriangolo di 11mila mq tra via DeMarini-via Balleydier-ex via Chiusa, furonoabbattuti,  lasciando le macerie per impedire una baraccopoli. E già allora, fuprospettato in zona il futuro Mercato del pesce.

Da queste case e quelle attorno, questa povera gente diextracomunitari si era riversata nel vicino piazzale san Benigno: al posto delparcheggio della cooperativa AldoNegri, si era creato uncampeggio-accampamento  abusivo. Camioncini fatiscenti, roulottes,  tinozze diplastica e panni stesi, bambini a giocare, i vicoli intorno intesi come latrinapubblica: era diventato il nuovo ‘luogo della vergogna’.  Nel luglio 1999 lapolizia dovette intervenire anche lì, sgomberando pure questa zona, disperdendoi nuclei familiari, cercando di evitare il loro assembramento fautore dilordure e risse, nonché ricetto di sbandati, balordi ed irregolari.

         

1999  v. De Marini a destra;           via De Marini èdiagonale in alto  (con sopra la Nuova Darsena)

quello alto è il palazzo in                Il getto d’acqua,schizzato da Largo Lanterna serve per abbattere  

demolizione nella foto a fianco      la polvere del palazzoin demolizione

.

 

                                                      

Nel 2003 tutta SPd’Arena è divisa in ‘proprietà della mala’;la zona della Coscia-san Benigno,  appare sempre in mano ai rumeni, aconfrontarsi con gli albanesi di piazza Barabino e gli ecuadoregni di Prè.

Li vicino c’è un albergo a quattro stelle, una strada digente normale ed una Coop di lusso.

Da dopo l’anno2002, largo Lanterna praticamentenon esiste più; quindi la strada è continuativa perché non ha più un puntopreciso di inizio;  è contornato da ponente dalle macerie dei palazzi rasi alsuolo, e da levante dal muro di cinta de ‘la nuova Darsena’.

Dopo questo centinaio dimetri, la strada prima incrociava via Balleydier, poi  passava sotto un altofornice del raccordo anulare necessario per salire dalla strada a mareall’autostrada (che appare alquanto decentrato rispetto l’asse viario); dopo iltunnel a destra inizia verso monte il ‘passo alla via di Francia’.

 

¶¶2) dall’elicoidale allaferrovia

dopo il tunneldell’elicoidale la strada diveniva per 300 metri circa, una stretta viuzzarettilinea (una fila diauto in sosta dal lato ponente, e lo strettissimo passaggio per la viabilità alevante) che arrivava sino  a via diFrancia.

Nel Pagano/1933risultano aperti sulla strada questiesercizi: al civ.24 fabbrica di sego,candele e saponi dei fr.lli Lombardo fuRaffaele;  al 27 Tomaso Moro e figli hanno fabbrica di conserve alimentari; MoizoAttilio esercita come droghiere non si dice dove ma appare anche comeconfettiere in via Manin; al 30 Sanguineti Lodovico ha fabbrica e negozio diconserve alimentari; al 32r Costa Giacomo fu A. ha una raffineria di oliod’oliva che sarà ancora attiva nel 1950;  al 43 Bagnasco Antonio ha dei docksmarittimi; al 69r Bagnasco e C, sono negozianti in legname (importatori direttidall’America,Svizzera e Rumenia (sic), con segheria). Non è citata la trattoriadel Toro.

  Nel Pagano/1950  a significato della perdita di importanza cometraffico, vengono segnalati una sola osteria (16r di Bonfiglio Italia. Una sola in quest’anno, manell’ antico erano i locali dove si rifugiavano gli uomini finito il lavoro;dove erano tipici i “quartini” bevuti direttamente dal pirone (pirrun) –il cuieffetto era direttamente proporzionale a quanti ne erano stati ordinati-, sigiocava a briscola, a tressette o a braccio di ferro, si discuteva di lavoro,politica o mutuo soccorso; per molti era un luogo di progresivo abbrutimento) ed una sola trattoria al 49r di Filippini C.(vedi sotto).

IlPagano/61pone al6 l’assoc. Italo-scandinava; al12 lascuola di avviam N.Barabino; e ai civv. rossi1r Bartolini&C off.mecc:9-11rLosi P. oggetti usati;16r osteria Bonfiglio I;   18r Anelli M. commestibili;28rBonfiglio I. latteria; 31r Riccardi Gdemolizioni navali;32r Costa G. raffineria;33r Bonardi E.pennelli; 37rPastore O. comm.li;39r Polverini M. parrucch.;41r Crosa f.lli trasporti;43rSimoni G.calzolaio;49r Filippini M. ristor. delToro;49r Aretusi G. autotrr;51r Benassi B. rottami metall.

===civv.8a,10,12,16demoliti nel 1985;--- i 5,7,9,11,13,15 nel 1987;---- 

il 58 nel 1994;---- 81,83 nel 1995;--- 75, 77, 79 nel 1999)

A lato levante c’era :

===civ. 49 r: l’anticatrattoria del Toro: caratteristicae notissima, perché una delle più vecchie di tutta Genova, e che  -in città- non aveva uguali in fama (se non ‘la Gina del Campasso’, finché fu attiva):trattamento rustico da amici, in maniche di camicia, sempre allegria, battutevivaci, genuinità e semplicità.

Nel 1908 era gestita da unRossiGiuseppe fu Em.discendente di una famiglia diarmaioli o archibugieri (chiamati bûxè); si scrive che, essendo un buono, usavala forza per contrastare i prepotenti e raddrizzare i torti; e quindifacilmente protagonista di situazioni enfiate a leggenda, tipo che avesseabbattuto un minaccioso toro ( da qui il nome) con un pugno e  con le dita piegassein due le monete di rame (le famose “palanche”, con il profilo di re UmbertoI);di carattere mite, se però c’era ‘da darsi’ non si tirava indietro e vincevasia a pugni che a testate, e quindi spesso soggetto a sfide di primato con icamalli ed altri dal mestiere da forzuti, tipo “mi, me vorrieva dâme con vöscià”.Da lui aveva tratto il nome di ‘locanda del Toro’, dove il viandante potevadormire, mangiare e cambiare cavallo; anche le diligenze facevano tappa ristoroe stallaggio; il punto era diventato  famoso perfino ai ‘foresti’.

Rilevatapochi anni dopo –ed ancora negli anni ’85 la sua intestazione nelle ricevute-,daEttore Guano, classificato ‘il più forte di SanPierd’Arena’, ma la cui più nota qualità era solo tra i fornelli.

All’interno,dopo aver superato la cucina visibile da tutti e separata da un bancone dimarmo,  si accedeva ad un ampio locale con unico tavolone centrale; da lì duealtre lunghe stanzette anch’esse corredate non da tavolini ma da lunghetavolate che obbligavano –salvo rare possibilità- a mangiare tutti assieme,ricchi e poveri, in comitiva o in coppia, serviti in forma molto semplice efamiliare; alle pareti, tra i mobili della nonna, centinaia di quadrettitestimoniavano gli avvenimenti più svariati con foto o  gagliardetti, oritratti firmati di tutti i personaggi famosi divenuti clienti,  attori,musicisti, politici, scrittori, sportivi (era in genere un covo di sampdoriani(la squadra vi si riuniva edorganizzava annualmente una festa per i bambini orfani), e la famiglia Guano era blucerchiatain ogni componentecompresoil genero, terzino della squadra, e che chiamandosi Podestà –per evitarericordi politici irritanti, lo chiamavano Sindaco;  i genoani venivanoregolarmente bistrattati, ma era loro convenienza accettare le verdine perpoter mangiare come si deve- o meglio anche della ‘Sampierdarenese 1946’, visto che di ambedue aveva la foto di gruppo di pressoché tutti gli anni di attività, essendone –ilfiglioChecco un socio fondatore e fautore del Morgavi).  Tutti questi ricordi non si sa dove siano (alla forzata pensione conseguente losfratto e distruzione del caseggiato, il Checco, che aveva proseguito conaltrettanta bravura la traccia paterna, fu costretto ad un pensionato-albergo aManesseno, fino al decesso, secondario a banale caduta avvenuta nel luglio del1995; tutti quei ricordi saranno speriamo in casa degli eredi,  in attesa diqualche ricercatore di memorie). 

Piattitipici erano il classico minestrone (quello che tiene diritto il cucchiaio immesso verticalmentecome un palo); lo stocca; la buridda diseppie calamari e piselli;  il berodo coi pinoli; le trippe e la sbïra; ilbianco e nero (budellinidi agnello con fegatelli, rognoni e ciccioli); le frittate fatte con la semplicità di un rito (dallo sbattere le uova con unaforchetta di stagno, al fermare lo sbattimento all’istante giusto, alrilevamento del primo ”scuttuzzu”, che ne sanciva la differenza). Remo Borzini nel suo libro (‘Osterie genovesi’)ricorda quei piatti dove il sentire anche un vago senso di inappetenza, era ilmassimo dell’offesa per il cuoco. Il palazzo fu demolito nel 1987.

===civ.26 r nel 1933 viene segnalato esserci stato un club ricreativo “Manovratori acavallo”.

   Di fronte a ponente,

===civ. 32r  neglianni 1930-80 sulla strada si apriva -ed era fiancheggiata- lo stabilimentoOleificio Costa di Giacomo, fu Andrea; famiglia originaria di SantaMargheritaLigure di antica tradizione mercantile.  Giacomo Costa nella seconda metà del1800 aprì in Genova l’attività per il commercio dell’olio d’oliva (specieesportazione negli USA ed America del sud, Argentina in particolare) e tessuti;e –non so quando- il grosso oleificio in SPdA.

Nel 1925 l’impresa iniziò ad investire anche nel settore armatorialee quindi con stessa titolazione e stesso indirizzo –per gli uffici-. Attivitàmarittima che ebbe grande sviluppo e divenne autonoma rispetto l’oliaria nel1936.

La presidenza di questa seconda attività fu assunto nel 1940da Angelo Costa, nato a Genova il 18 aprile 1901; terzogenito –di sette- diFederico –uno dei figli di Giacomo-; laureatosi nel 1924 a Genova con lode, inScienze economiche e commerciali con una tesi sull’olivocultura. Tenutosi fuoridalla politica attiva, si dedicò interamente alla produzione di olio allargando l’azienda del nonno da piccola e a conduzione familiare al colossoindustriale con raffinerie e lavorazione delle sanse. L’allargamentodell’impresa lo obbligò sia nel 1927 all’iniziale acquisto di due navi –perdutenel conflitto mondiale-, per il trasporto dell’olio acquistato da altri paesimediterranei e poi esportato dopo la raffinazione-; e sia nel 1940 a nondisdegnare l’interesse verso l’alcol e la produzione del vino.

Ma fu nel periodo postbellico, dopo il 1947, che ebbel’intuizione felice di finanziare l’acquisto di navi Liberty (usate dagliAlleati nel conflitto e poi giacenti inutilizzate) utilizzabili anche per iltrasporto passeggeri; e, poco alla volta divenire figura portante della “LineaC” e della industria italiana (Confindustria, Confederazione italianaarmatori).

Famiglia, onestà e carità erano la triade di base del suoimpero; ma la formazione religiosa non lo distoglieva dai dettami prioritaridell’economia: produttività, non dispersione, equa distribuzione (e nonassistenzialismo cieco),  

Quic’era solo il vasto impianto di raffineria, che per tanto tempo ha  contribuitoad ammorbare l’aria con l’acre e nauseabondo odore tipico di olio, da lororaccolto in recipienti di latta lavorata, e stampata  nello stessostabilimento. Negli anni iniziali aveva telefono n° 41.154. Nel Pagano/61 ècompreso ne: esportatori-importatori;  fabbr. saponi;  negoz. gross. di oliod’oliva; latta e litografie su latta.

Laruspa abbatté gli edifici, iniziando simbolicamente il 4 maggio 1984 con latorre metallica, vecchia ed arrugginita (che resistette più del pensato e fuabbattuta con gran fatica) quale prima parte dei totali 100mila mq. di terreno(ancora i Docks Liguri erano in attività sul fianco a mare), iniziando larivoluzione prevista per realizzare il complesso di san Benigno.

Dei Costa si ricorda anche un Armando, grosso  commerciante-la cui attività iniziata agli inizi del 1900 è passata al figlio- in quantoaveva l’hobbi della poesia, dell’improvvisazione di rime solleticato dabanchetti, riunioni, avvenimenti, per i quali creava improvvisi acrosticiraccoltipoi in un libro titolato “O giardinetto”.

===civ.12 il palazzo dellavilla DeFranchi:

Famiglia patriziagenovese che dal 28 gen.1393 (data di fondazione dell’ Albergo De Franchi con capostipite GiovanniSacco, i cui tre figli per giochi araldici e di potere, si fecero chiamaredefinitivamente De Franchi),  troviamonegli annali ricchissima di beni e  di illustri personaggi (ben sei dogi della SerenissimaRepubblica, mercanti, uomini d’arme, diplomatici, e sacerdoti: della famiglia èil famoso “Padre Santo” domenicano).

  Mons.Francesco Bossio (vescovodi Novara, eletto delegato pontificio di Gregorio XIII per tutte le chiesedella diocesi, col fine di constatare l’applicazione delle disposizioni delConcilio di Trento), nel1582, in una sua relazione, ricorda in San Pierd’Arena l’esistenza di questa casa; nel momento di un Gerolamo q. Cristoforo DeFranchi-Toso divenuto doge (dal 21 ott.1581 al 20 ott.1583; ed a sua volta padre e nonno di altridogi).

  Nella carta vinzoniana del1757, appartieneancora al “magnifico Giuseppe De Franchi” imparentato presumo con quelli chepossedevano in salita Belvedere la villa Crosa-De Franchi-oggi Istituto Antoniano.

   Nelle campagnemilitari tra francesi ed austriaci, senz’altro fu occupata da ufficiali,accasermati nei locali, così ben vicini alla città.

  La proprietà DeFranchi Giuseppe viene segnalata nel1813per il possesso nella villa (erroneamente localizzata in vico della Coscia,inesistente)  di una cappella privata, sinonimo di ricchezza e distinzione.

  L’edificio era a parallelepipedo, a tre piani, con tetto in ardesia apadiglione; in parallelo con le tre ville poste più a ponente, fu chiamato “lasemplicità”.  Lafacciata si apriva a sud, ed offriva  in via De Mariniil lato posteriore, caratterizzata da ben otto finestroni (sei centrali e due lateralizzati);il primo piano era sottolineato da un bugnato che era esteso a tutto il fiancodel palazzo. Ilgiardino arrivava ovviamente sino al mare e rimaseinalterato finché non fu deciso nel 1852 l’apertura di via Vittorio EmanueleII, da Largo Lanterna alla piazza Bovio(piazza N.Barabino), che lo tagliò trasversalmente.

Possedevaanche unatorre (non più riscontrabile però nelle carte ottocentesche),posta originariamente più a ovest della villa e che faceva parte del sistema divigilanza della marina.

  Nel settecento la famiglia dei De Franchi (come poi anche i Doria e Spinola)era da catalogarsi tra ‘i meno fortunati’  o patrizi poveri (forse addirittura tra i poveri exnobili, beneficiari di un sussidio dall’amministrazione napoleonica; comunqueal punto che  della famiglia nel 1809 la prefettura francese annoverava tra i giusdicenti, solo Carlo Nicolò  q.Gerolamo (nella cui ulteriore ascendenza –di originecorsa- non risulta il nostro Giuseppe),ormai ottuagenario ma semprebisognoso di lavorare(nato1725, nel 1762 viene segnalato ai dati fiscali ‘di condizione non disprezzabile’;come giusdicente aveva peregrinato nel territorio comandando Pieve, Diano,Voltri, Ovada, Levanto, Savona, ultimo a 72 anni, podestà di SestriLevante)).

  Sempre nel1813 appariva esserci una ‘cappella DeFranchi Giuseppealla Coscia’, forse nell’interno della villa, meno probabile la Cappelletta vicina..

IlGazzettino dice vi fossero andati ad abitare i Balleydier(lo conferma l’elenco deiproprietari sopra esposto), quando ilretro(rispetto lastrada; ma il davanti rispetto la villa)dava ancora sul giardino(peralcuni ‘il giardino Balleydier’ )esugli orti, distesi sino al piano ed a piazza della Coscia.

   Dagli anni dopol’ultimo conflitto, ed ancora nel1950,  fuadibita ascuola second. femminile  di“avviamento professionale industriale”, intestata a  N.Barabino. 

  L’oleificio Costa sisviluppò tutto attorno senza distruggerla, occupandone solo l’ampio terreno:così inglobata nel complesso divenne un magazzino di loro proprietà finchéabbandonata a se stessa fu deciso demolirla nel1985per far posto al complesso centro direzionale di san Benigno. 

 

  Subito dopo(dalle fotopubblicate, appare collocata nel tratto a ponente della via subito seguente lavilla DeFranchi, quasi di fronte alla trattoria del Toro), sulla strada si apriva unachiesuola o cappellettache fu sceltaquale 

secondo  tempio parrocchialededicato a diNS delle Grazie

(della  prima chiesa in ordine cronologico vedi sotto, apag. 84-85; della terza in via L.Dottesio)

Piùbello, alto, austero ma ‘allegro’. Fu costruitaristrutturata (silegge infatti una nota spese(di lire 394) datata9 maggio1817 relativa a perizia eseguita“per il ristoro da farsi alla Cappelletta diroccata sopra delli primi rastellidella Lanterna per portarsi in città”; ovvero andando verso il mare, a destraprima della villa) utilizzando iproventi derivati dall’esproprio effettuato dalle ferrovie per l’apertura dellagalleria di san Benigno, e dalle offerte dei fedeli (specie i famosi minolli),e su gratuiti disegno  ed assistenza dell’arch.A. Scaniglia(lo stesso della chiesa dellaSapienza, del palazzo del Municipio e del teatro Modena) con iniziale forma rotondeggiante, fu munita di tre altari  (non certo in marmo ma sicuramente di terracotta).

Fuaperta ai fedeli il 20 mag.1849 dal sac.Francesco Lanzetta(giàprevosto di san Biagio, e che lasciò scritte delle memorie utilissime allaricostruzione storica dei fatti), insostituzione del primo tempio da pochi anni sfrattato dalla soc. ferroviaria(in quell’anno in fase risolutiva,vicina a funzionare), quando era nonancora autonoma (mainizialmente succursale della parrocchiale della Cella in cui era arciprete donStefano Parodi, poi divenuto canonico della Metropolitana di san Lorenzo), col nome popolarmente usato (ufficialmente non concesso) e continuativo di “santaMaria” ma in più “delle Grazie (in virtù della presenza del quadroomonimo, che lentamente aveva acquisito nel popolo una particolare e vastavenerazione: il ritratto della Madonna, col Bambino seduto sul ginocchiodestro, e sul cui fondo è scritto “s.Maria de primo quarterio Sancti Petri Arenarii”erastato dapprima posto dal sac. Giuseppe Ardito nella precedente chiesuola nel1824, e poi trasferito in questo secondo tempio all’atto del passaggio delleconsegne sacerdotali; questo prete  poi nel 1831 venne trasferito a Ventimigliaquale segretario del vescovo locale GBD’Albertis).

  Nel1851 successe, per quattro anni coltitolo di rettore custode, don Terrile,già curato alla Cella e da alcuni anni assistente, gestoredel catechismo domenicale e di una scuola privata per i ragazzi.Gestire una scuola era ancora un retaggio dei sacerdoti precettori, perprocurarsi un minimo di sovvenzione ecomomica specie se la chiesa era in zonadi povera gente, e lo Stato assente.

  Nel1855  arrivò don Angelo Ricchini daVoltaggio,già parrocoa Certosa. Egli portò  al culto dei suoi nuovi fedeli il beato GiovanniBattista de Rossi,  un proprio conterraneo poi divenuto santo, la cui immagineera stata presa dalla sua casa paterna dei nipoti, a Voltaggio. Decretò inoltre titolare, l’effigie di N.S. delleGrazie, la cui festa solenne veniva celebrata la seconda domenica dopo Pasqua,con grande affluenza di popolo da tutto il borgo; molto si adoperò sia affinchéil titolo ufficiale della chiesa   cambiasse da «santissimo nomen Virginis Mariae»in «sancta Maria Gratiarum», e sia per ottenere la titolazione parrocchiale(occorreva dimostrare avere entrate o possedimenti che garantisserol’autonomia).  L’arcivescovo Charvaz, seppur favorevole, trovò non pochedifficoltà a riconoscergliela, avendo contro il consiglio Comunale e –non certofavorevole- il parroco della Cella. Così di quest’ultimo progetto se ne fecenulla.

Perventitre anni, questo zelante sacerdote compì con serietà la sua missione nellachiesuola, battendosi perché diventasse parrocchia.

Fuper opera sua che nel1864 nacquero leFiglie di Maria, la fabbriceria (quest’ultima fu successiva,mente trasformatanel 1881 inConfraternita si s.Vinvenzo de’ Paoli e nominata a beato GBRossi).

 Peròsi ammalò e dopo due anni di penosa infermità morì il 25 sett.1878 a 58 anni.    Fin dai primi tempi dellaloro venuta a San Pier d’Arena, e per otto anni  (due durante la malattia del prete, e sei anni dopola sua morte, sino al 1884), isalesiani di don Bosco (incaricati furono don Michelangelo Braga; poi donLuigi Bussi -prefetto del collegio di san Vincenzo de Paoli, e poi parroco disan Gaetano-; ed ultimo il prof. don Giovanni Galfrè  che gestì gli uffizispirituali ed economici anche per quei quattro mesi intercorsi tra la nomina aparrocchia e la nomina ufficiale del primo parroco), non potendo il parroco della Cella,  aiutarono questo sacerdote incaricato, quasi quale fosse diventata  una succursale di sanGaetano; l’ambiente era già frequentato anche da tanti fanciulli d’ambo isessi, in un Oratorio di stile salesiano( tanto che morto il sacerdote il 25 set.1878, all’età di 58anni, dopo  due anni di penosa infermità (il dattiloscritto salesiano dice nel1884), e avendo questilasciato eredi i salesiani, nacque uno strascico legale aperto dai parenti(specie il fratello prete donAngelo) arrabbiati ed ingelositi: il processo che seguì  le accuse, diede ampia ragione ai sacerdotidi don Bosco e fece punire per calunnia e ricatto i parenti ed alcunigiornalisti che l’avevano sostenuti) .

   Nello stesso anno1884,  l’arciv.  Salvatore Magnasco invitò isalesiani a proseguire nella cura della chiesa: essi rifiutarono purmantenendovi  per oltre 10 anni un sacerdote qualche chierico e collaborante acompiervi lavori:esteriormentevennero eseguite tante modifiche, senzauna precisa struttura architettonica del tetto e delle pareti (mutò l’aspetto, da rotonda ad unrettangolo irregolare -a destra le cappelle erano strette ed anguste, asinistra decisamente più larghe-  avendola allungata di un terzo fino allastrada ed allargata ai due lati); quindi in definitiva ridultò ingrandita edallargata per necessità via via contingenti.Interiormente fu arricchita da due nuovi altari –alla Madonnadel Rosario ed alle Anime del Purgatorio-, da decorazioni ed ornali vari tracui soprattutto un affresco sulla volta pare con la collaborazione diretta del Barabino, con l’immagine dell’Adorazione dei Magi, opera diLuigi GainottiPRESEPIO–bozzetto dell’Adorazione dei ReMagi. (nato a Parma il28 ott.1859, ancora bambino – un anno di età - si trasferì col padre –pure luipittore- a vivere a  San Pier d’Arena, collocato come apprendista-discepolo delBarabino (assieme col Vernazza e GBTorriglia) che lo invogliò a frequentare l’Acc.Ligusticadi B.Arti (dove poi, nel 1893 verrà proclamato Accademico di merito, qualeprofessore nell’insegnamento della scuola del nudo – Aldo Agosto scrive che iltitolo di Accademico lo ebbe nel 1912).

Èconsiderato l’ultimo conservatore dell’arte ligure dell’ottocento – giudicataparente poverissima rispetto l’Italia - rifiutando l’avventura innovativa erivoluzionaria del novecento.  Morì ottantunenne il 4 giugno 1940 lasciando unafiglia, pure lei pittrice. Da giovane fu attivo nell’affrescare tempi sacri (fuchiamato “pittore delle cento chiese”; in una di esse vide precipitare ilcognato-collaboratore DeLorenzi. Il pittore aveva decorato nel 1892 anche ilsoffitto del CarloFelice  -dipingendo dei putti volanti, sopra l’affresco delBarabino rovinato dai ceri e fumi-, poi andato distrutto pure lui colbombardamento-. Gli fu titolata una strada a Voltri nel 1974

(Vedianche a Promontorio)

 

  L’arcivescovo Magnasco, e sempre nello stesso anno 1884, il 16 giugno(il decreto, confermato dalla s.SedeApostolica, fu definito dall’ordinario Diocesano il 25 seguente),  deliberò  per erigere la chiesuola aparrocchia autonoma(chiamandola ‘detta del Quartiereto, succursale dellaCappelletta e Chiesa della Coscia’), conlimiti territoriali da san Benigno sino a via Larga-via Imperiale, e con circa5 mila abitanti incontemporanea fu nominata anche quella di san Giovanni Battista vulgo sanGaetano (anch’essa con 5 mila anime. Delle 24 mila anime, 14mila facevano partedel territorio della Cella). Ma nel1885il sindaco di San Pier d’Arena spronato da 20 consiglieri su 21 -tra cui il cavRomairone-(malgradouna certa opposizione del solo consigliere Giovanni Lombardo, assessore anzianoche non vide approvato il progetto morendo l’11 sett.1880),  fece ricorso al regio sub-economodel distretto di Genova contro la decisione, non riconoscendo opportuno néconveniente l’erezione di due nuove parrocchie giudicando quella unica di sanMartino-Cella sufficiente alle necessità di tutta la città (40mila anime) egiudicando ancora che le due nuove parrocchie con le loro fabbricerie non soloavrebbero recato discordia e turbamento (che si sarebbe riversato a spese del Comune) ma che non avrebbero avuto i fondiper provvedere alle proprie spese (a parte appunto la chiesa di NS delle Grazie che alloragodeva di una rendita dello Stato di lire 800 quale eredità della signoraNicoletta Casabuona, cifra appena sufficiente a provvedere all’onesto edecoroso sostentamento del sacerdote; e che avrebbe potuto arrivare ad altre1000 lire con gli ‘incerti di stola’); e che la popolazione era indifferente a questa scelta. 

La protesta comunale, evidentemente non fu ascoltata inCuria(non indifferenteera il peso di una giunta comunale prevalentemente di repubblicani mazziniani,ma anche garibaldini), anarchici, libertari, che vedevano nella scissione unpotenziamento dell’influenza della Chiesa nel tessuto urbano mirato a divenirelaico).L’arcivescovo, dopo aver invano scelto tre sacerdotiche ne rifiutarono l’incarico, nominò come primo parroco, il prevostoCostantinoZerega, proveniente dalla parrocchia di san Martino di Zerega, a Cicagnanella Fontanabuona ma genovese di nascita del 1850(era stato ordinato sacerdote nelmaggio1875; prese possesso dell’incaricoil 9 ottobre 1884; sul Bollettino Parrocchiale viene riferito l’episodio dellasua presentazione al sindaco il comm. Torre Giuseppe il quale ben chiaro gliespose che ‘deplorava la sua nomina’; al ché il sacerdote, con umiltà mafermezza gli rispose che lui obbediva a decisioni superiori e di conseguenzanon commentava i giudizi ma che -ben tosto- era intenzionato a fare il suodovere. Una epidemia di colera e vaiolo, e la conseguente necessità di personevolenterose e dedite all’assistenza, favorì il suo inserimento; ma perulteriori lunghi anni il Comune ignorò ufficialmente l’esistenza dellaparrocchia nella sua autonomia funzionale. Ebbe l’aiuto di due curati: donEligio Grosso e don Luigi Garbarino(economo); ed aveva collaboratori nel cappellano delle Suore di Carità don ReboraLuigi e nel proprio fratello don Giuseppe Zerega.  

Nel1892, una violentaalluvione aveva inondato la chiesa: il torrente  del fossato san Bartolomeo,scorrendo in prossimità della chiesa, straripò scavando il sottosuolo,  tantoche  il pavimento dell’edificio  si abbassò di 20cm.; la balaustra dell’altaremaggiore si spezzò in tre punti e l’altare si inclinò in avanti. Nell’elencosopra scritto, delle proprietà, dice che a fine 1800 subito dopo la villa DeFranchi–allora divenuta Balleydier-, c’era la ‘canonica della chiesa delle Grazie’.Rimase Parroco Prevosto per 19 anni e mezzo, sino alla morte avvenuta alle ore11,55 del 14 aprile1904. L’inventariodegli arredi con resoconto al 31 dic. 1903 finanziario evidenziarono un debitodella parrocchia verso il sacerdote di ben £.14.545,56). 

Nel vuoto occupazionale ufficiale,risultano spese nel1907 ben £.5000 perl’acquisto di un altare in marmo che andò a sostituire il precedente fatto dipietre e terracotta.

 Successivi furonoNicolòMolfino (1910, Una relazione riporta che al suoarrivo, la chiesa aveva 5 altari -di cui solo il maggiore di marmo(e corredato di tappeti e poltrone)- con i propri addobbi e arredi(candelabri, icona, carteglorie,portafiori, ecc.); nonc’era campanile ma solo una piccola elevazione sul tetto arredata di trecampane (di cui unarotta); un organo;quattro confessionali(deiquali uno imprestato dalle suore della Carità); panche e sedie; un fonte battesimale racchiuso dauna cancellata di ferro, rappresentato da un marmo ai piedi di una telarappresentante il battesimo di Gesù. Vicino c’erano una sacrestia con armadiidonei; e la Canonica posta al piano sopra la sacrestia ma in locali infelici.Chi stese il rendiconto, sottolineò che era in “grande decoro il SSSacramento”;che ci “si reca agli infermi con tutto quell’apparato che le circostanzeesigono”; che tutto era “tenuto a dovere”(registri di battesimi, matrimoni, cresime; meno ordinatoera il registro dei morti, non si sa perché). Il Parroco teneva due messe festive con spiegazione delVangelo (ore 05,30 e 10,00); catechismo al pomeriggio ai bambini ed agliadulti. La Conferenza di s.Vincenzo (dedicata a GB Rossi) -composta da operai-assisteva 16 famiglie riunendosi in sacrestia. Nel 1914 risulta aiutatodall’appena ordinato, in qualità di vicario cooperatore, don GiovanniDellepiane (che poi diverrà mons. e vescovo, prima in Turchia, poi in Africa edAustria ove morì nel 1961)

   Il sacerdote acquistò per 27mila £. (in 3 anni), nel giu.1916 un appezzamento di terreno vicino, di500mq, già di proprietà della “Società  Fonderia e Costruzioni MeccanicheNavali Balleydier”, su cui era eretta una piccola cappelletta,  con laprevisione di una migliore e definitiva sede; ma alla fine tutto fu inutileperché i progetti di ulteriore allungamento furono classificati inattuabili‘per scomodità e sfregio all’arte’.  Aveva come aiutantidonGB Gazzolo(il famoso prae Bacicciadi SBdF) e d. Antonio Bertolotto.Nel 1912 aveva istituito il Circolo interno, chiamato di ‘NS delle Grazie’ chepoi divenne l’Azione Cattolica. Nei primi giorni del 1920 don Molfino futrasferito, con la carica di abate,  in Santo Stefano.

E così dopo di lui, rimase per pochi mesi affidata ad uneconomo, finché donGio Bono Schiappacassesubentrò il 25 lug.1920, nominato dall’arciv. mons. Boggiani -oBaggiani) e che riuscì a vendere a buon prezzo l’area della chiesa dadistruggere. Al suo arrivo, i parrocchiani –a mezzo di alcuni fanciulli vestitida pescatori come voleva l’antica tradizione del luogo- gli regalarono unasomma.di £. 281 a  simbolo del desiderio di un nuovo tempio): già  il 3 ottobre dopo, inFabbriceria si registra il possibile acquisto di un trerreno idoneo,considerando la chiesa insufficiente ai bisogni della cresciuta popolazione,fuori centro del rione,circondata da magazzini perde di decoroed attrattiva.

Per poter costruire in altra sede ed in modo decoroso,divenne necessario vendere la chiesuola. Secondo disposizioni legali (risalential Legge 19.5.1831), occorreva chiedere autorizzazione al Procuratore del Represso la Corte d’Appello allegando documentazioni, specie quello del reinvestimentodel denaro.La pratica venne inoltrata nel febb.1922.

     Due anzianisampierdarenesi, il sig.Fravega e Viglienzone ricordano che negli anni 1920-30frequentavano la chiesetta, sede del terzo riparto degli scouts, e, per loroquella ‘era la parrocchia delle Grazie’

  Così, aumentando la popolazione, approvato l’erezione di unterzoedificio ecclesiale (l’attuale) da parte dell’arcivescovo, -malgrado iplurimi inutili  “tapulli” -la chiesuola divenuta piccola(veniva chiamata “la cappelletta”), fu deciso abbandonarla.

 Sipromosse così la vendita al miglior offerente, dapprima i DocKs Liguri malgrado un decreto di esproprio daparte del Consorzio Autonomo, poi allafam. Costa per £. 50mila(originariamenteera stata valutata 380mila.  Come la villa, anche la cappella divenne partedell’oleificio Costa, che però le conservò integre essendo ambedue  al marginedella struttura industriale; la villa proseguì la sua attività scolastica). 

 

   Quello che non fece Costa, lo fecero i progettisti  delcomplesso di san Benigno, per la cui erezione ne decretarono la distruzione.Maledetti! Forse sono anche laureati e si fregiano di un titolo di architetto:all’università si, ma nella professione...Non li accuso di peculato... no. Madi insensibilità, si; ma evidentemente a loro foresti, gliene fregava niente.

 

   Nell’opuscolo prima e nel libro poi, pubblicati dallaattuale Chiesa, c’è ripetuta confusione iconografica e storica tra questachiesuola e quella dei Cibo, vicine ma distinte; più volte vienenostalgicamente pubblicata la foto di questa chiesuola, detta anche‘Cappelletta bruna’ (quindi l’immagine è di questa seconda chiesa) ma ilsottotitolo e racconto inneggiante la cappella dei Cibo che fu la prima e dellaquale non esistono vestigia iconografiche ma –vedi l’elenco dei proprietari difine 1800: dopo la villa e la canonica (civici pari, a mare), e poi la giàtrasformata cantoniera delle ferrovie (civico dispari, a monte della strada,descritta qui sotto di seguito).

 

Sullastrada, di fronte alla chiesa su descritta, si apriva il  cancello che con unviale -lungo oltre cento metri, orientato verso nord-est- portava ad una delletante, villa Lomellini, dal Vinzoniattribuita al mag.coStefano q.Carlo(non è lo Stefano divenuto doge nel1752, il quale era figlio di Gio.Francesco; sul Battilana, l’unico Stefanofiglio di Carlo –e di Battina Lomellini q.Filippo- è il quarto di settefratelli dei quali: 4 femmine monache, 1 sposata, uno maschio ma anche lui-come il Nostro- non sposato e quindi senza prole). Sulla stessa carta del Vinzoni, il mag.co StefanoLomellini q. Carlo appare proprietario anche di terreni posti sul lato diponente di via san Martino, proprio di fronte alla antica abbazia, con due casepiccole (agricole). Interessante che essi prima di essere del Nostro, erano diGiacomo DiNegri, stessa famiglia dello sposo di sua sorella Dorotea (ella sposòAgostino di Negro q.GiulianoAndrea: evidemnti passaggi in famiglia di terreniereditati e poi comprati).Vedi Pacinotti-129

 Consideratala posizione, l’edificio risulta a levante della villa Pallavicini, sottostantele nuove mura, sulla direttiva -e quindi sovrapposto all’attuale via diFrancia-  poche decine di metri più ad est della attuale stazione ferroviariadi san Benigno.

Nonè stata catalogata nel libro “Le ville del genovesato”.

 

  Poco distanteverso il monte, si trovava unacappelletta della famiglia dei Cibo(vedere in vico Cibeo), giudicata dal Remondini qualeprima chiesa di NS delle Grazie(però divenuta con questo nome solodopo il 1800), perché inizialmente nataprivata appunto della famiglia Cibo;corrisponde forse alle casupole ancora esistenti nella partea monte della ferrovia subito dopo il sottopasso di vico Cibeo. Si potrebbeidentificare nella sua parte absidale al muro ancora esistente nell’area di undemolitore di automobili, affiancato al retro del casello delle ferrovie.

   UnGuglielmo Cibo, figlio di Lanfranco (non citati in Dizion. biograf.Liguri - III. p.385;conte Palatino, banchiere, commerciante ebenefattore. Nel 1250era in Africa, quale ambasciatore del Comune genovese col fine di concludere untrattato commerciale; in quell’anno compare tra i proponenti la maestosaabbazia eretta ad Assisi  in onore di san Francesco; a Genova fu anzianoconsigliere, tra gli otto nobili del comune; possedeva un palazzo in via delCampo dove abitava con la moglie Giacomina e con i figli Cibino, Lanfranchino eFrancesco. –vedi vico Cibeo) poco prima del 1300  aveva fatto erigere una chiesuola dedicata allabeata Vergine, e detta delQuartieretto (o quarteretto)dal nome della località suburbana (documentata dal 30 marzo1289in virtù di un attestato del papa Nicola IV che accordava alla ‘chiesa della preclarissimaet mobilissima famiglia Cibo’  la facoltà di tenere un cappellano nella villadi Pedefaro, dove con la famiglia dimoravano molti mesi all’anno. Nuovamentecitata nel 1360 quando il cardinale Albornoz Egidio, quale legato apostolico,concesse si facessero collette nella chiesa a testimonianza che già allora nonera solo privata, ma usufruibile dal popolo, essendo assai lontana la chiesaparrocchiale di san Martino. Ed ancora del 1387 un altro documento –catalogatoal n. 350-  che la cita perché soggetta a pagare la somma di un soldo, per ognicento di redditi. Si scrive in un ritratto storico della chiesa delle Grazieche in questi tempi era proibito dalla Chiesa sia di ‘consacrare edifici pubblici’(?), sia di dare il nome di Maria alle bambine, per conservare ad Ella il massimodel rispetto: solo tre secoli dopo un decreto del Senato genovese comandava unafesta speciale in nome di Maria sbloccava questo limite). Nei quasi trecento anni diulteriore vita sacra, seppur succursale svolgeva un ruolo importante per lepoche centinaia di persone distribuite sul territorio, essendo l’unicaparrocchia, di san Martino, tendenzialmente  lontana; ed in questi trecentoanni, la storia martirizzò molte volte il borgo, con lotte fratricide,pestilenze, carestie e -riferito al mantenimento degli immobili- difficoltàeconomiche della nobiltà in genere divisa tra Spagna, ducato di Milano eFrancia.

     Nelsuo giro di ispezione fu visitata (?controllare) da mons. Bossio,1582, senza ulteriori commenti(visto probabilmente i propositi dilavori di ripristino; il giro comprendeva alla pari delle altre chiese del borgo, dasan Martino al Campasso, alla Cella, san Giovanni (vico san Barborino-demolita),del Sepolcro (piazza Monastero-demolita), sant’Antonio (via Demarini-demolita),san BdFossato (distrutta), ssCrocifisso? (forte Crocetta-demolita).

Nel1585Alberico Cybo (neanchelui citato nell’operasu detta. Principe di Massa e Carrara, nato aGenova il 28.2.1532 da Lorenzo e Riccarda Malaspina; divenuto cognato diGuidobaldo, duca di Urbino; nipote di papa Innocenzo VIII(pure lui un Cibo,G.B., regnante trail 1484-92); dimoranteper gran parte dell’anno a Genova; presente a tante manifestazioni pubblichecittadine, da processioni, a nomina del doge, tornei, feste carnevalesche,rappresentazioni teatrali emusicali (amicodei letterati più illustri dell’epoca quali il Foglietta, Manuzio, Giustiniani,Oldoini), nella casa divia del Campo luogo definito dal Senato della Repubblica il più adatto adospitare regnanti o persone di riguardo di passaggio;morì 91 enne nel 1623)  trovandola ovviamente assai deterioratala fece restaurare essendo chiesa gentilizia per la suafamiglia, e vi appose a memoria una lapide(che ora è murata nella sacrestia della attuale chiesa delleGrazie, con su scritto “ HAS AEDES DIVAE VIRGINI - DICATAS NIMIA VETVSTATE -FERE COLLAPSAS CLARISSIMAE ATQ ANTIQVISSIMAE  CYBO - FAMILIAE MONVMENTVM -ALBERICVS CYBO IMPERI I - ET MASSAE PRINCEPS PRIMUS - INSTAVRANDAS CVRAVIT -ANNOMDLXXXV = questo tempio dedicatoalla beata Vergine, resosi ormai troppo vetusto e quasi cadente, dallachiarissima e antichissima famiglia Cybo, fu da Alberico Cybo primo principedell’Impero e di Massa, fatto restaurare e rinnovare nell’anno 1585“).Era da poco finita la peste che aveva falcidiato i trequarti della popolazione.

  Alla sua morte, avendo il figlioAlderano sposato Marfisa d’Este, risiedendostabilmente a Ferrara e rinunciando al titolo, ereditò la corona di Massa ilnipoteCarlo, che sposò Brigida Spinola, figlia di Giannettino,  e trasferìin quella città la residenza definitiva,  scomparendo anche lui dalla vitapubblica genovese; un loro figlioAlderano, divennecardinale ed anche lui espatriò vivendo molto a Roma.

   Affidata da sempre al clero secolare, sappiamo che l’8marzo1608 daEmilioCibo fu stilato testamento(ritrovato nell’inventario fatto nel 1622: lasciava ladovuta somma affinché si celebrasse messa tutti i giorni, si mantenesse unalampada perennemente accesa, si costruisse una balaustra all’altare maggiore, esi chiudesse la porta che dava accesso alla proprietà di  Tommaso Pallavicini).

Nel1622(dall’inventario risulta esserci stato un solo altare con balaustra ed appesanel coro, una ancona della Madonna con san G.Battista e Giuseppe)  ne avevacura il sac.Andrea Tealdi dei Chierici regolari di san Paolo. Maquesti, considerando fosse localizzata in zona ‘insalubre’, chiese aiproprietari(Albericoduca di Massa e Carlo Cibo duca di Aiello, tramite il notaio Giacomo Cuneo) di cedere la gestione.

Cosi, fu che i nobili Cybo nel marzo 1622 la concessero aiBarnabiti nella persona di Antonio Benenatodi san Salvatore, prevosto di san Paolo in Campetto. Si scrive che essi resseroquesto impegno sino al 1644.  Ma qualcosa deve non aver funzionato in questopassaggio, poiché risulterebbe che i Barnabiti non sono subentrati,  e che iChierici di san Paolo avessero proseguito l’impegno:

a) il Tealdi viene nominato come ancora gestore dellachiesuola nel1638 in un “Stato dellaChiesa Archiepiscopale di Genova”  fatto redigere dal card. Durazzo quandoprese possesso della diocesi proveniente da Ferrara. Non sarà un errore se-invece di essersene andato nel 1622- si fosse stilato un accordo tra il preteed i Barnabiti visto che anche loro dopo pochi anni abbandonarono l’impegno)

b) è datata1644  unalettera di esplicita domanda di disimpegno (indirizzata al principe di Massa,  dal preposto in Genova della Casa di san Paolo -don Paolo Andrea Ferrari):  «Ill.moet Ecc.mo Signore, si compiacque S.E. più anni sono di gratiarci d’una suachiesa o cappella in San Pietro d’Arena. Havendo noi visto che li nostri institutinon potevano sodisfare compiutamente a quello ch’altri havranno fasilità amaggior gloria di Dio, habbiamo pensato se così piacerà a V.E. rinuntiarla a’PP di S.Francesco di Paola stimando che da V.E. non sii se non di gusto come lasupplichiamo assicurandola che per questo non si disobbligheremo diraccomandare al Signore la sua casa».

   Comunque, ad essi,  subentrarono(notaio GB Badaracco) nel maggio 1644 iMinimi di s.Francesco da Paola, nella persona del p.provincialeFrancesco Maria di Negro, che tentò introdurre la devozione al suo santofondatore.

   Con bolla datata 15 ottobre 1652 papa Innocenzo X ordinòla chiusura dei piccoli conventi e monasteri nei quali risiedessero pochimonaci (“ne qualirisiedono solo due o tre religiosi e ne quali per ciò non s’osserva clausurainvece d’accrescere la devozione, la fanno talora totalmente cessare, peressere  in arbitrio delli stessi a viver a lor capriccio, introdurvi gente diogni sesso di giorno e di notte”.   È probabile che i Minimi appartenessero a questi,inclusi nei ‘troppo pochi e nei poco impegnati’. Infatti il 24 sett.1653(solo nove anni dopo l’incarico)CarloCibo scrisse che il fratep.Gervasio Pizzorno daRossiglione co-rettore del convento di s. Francesco di Paola, era stato allontanato.

Daun suo inventario, risulta che i frati avevano aggiunto una icona di s.Francescoda Paola per un nuovo altare,  eretto per lo scopo; ma poi ritolto.

   Così, il 4 nov.1653 il sig. Vincenzo Giannini,procuratore del principe, la assegnò al sac.DeFerrari Giacomo, delclero secolare, prevosto di san Donato che però morìdi peste; cosicché il 15 apr.1658 losuccessep. Beluzio (o Belluzzi) Vincenzo.

L’Accinelli, in Liguria Sacra, vol.II pag. 443 scrive che ilDeFerrari lasciò la chiesuola ai Barnabiti, e da essi poi passò ai pp.Minimi:sbaglia i tempi)

   Il 28 mag.1676Carlo Noceto, vicario della curia arcivescovile, dopo il decesso del rettore V.Belluzzi, confermò l’elezione didon Antonio Pallenzona da Tortona,quale rettore di s.M.del Quartieretto, fatta dal patrono principeAlberico Cibo-Malaspina 

   Una relazione del Cancelliere dell’Arcivescovato, datata1749,  dei vari frati sopra,  scrive «sed centumab hinc annis amotis disctis RR.PP. relatum fuit erectum fuisse in beneficium ecclesiasticumda iure patronatus excellentissimae Familiae Cibo=da oltre cent’anni è noto ai RRPPche era statoistituito un beneficio di patronato dalla ecc.ma fam. Cibo)

   Un altro restauro ebbe negli anni1756-58 (sulla lapide fu aggiunto solo “RESTAVRATA -  ANNO - MDCCLVIII”) .

   Nelle carte vinzoniane del1757,appare addossata al muro di cinta di levante della proprietà dei Pallavicino,ma con un viale di accesso proprio, iniziante in via DeMarini poco più alevante dell’attuale vico Cibeo.

   I Cibo, nel1764diedero la chiesuola in gestione adon GB Orecchioni, che però non avevacompiti parrocchiali: Fu accusato dai Cibo: “Certo apparirebbe che chi didovere, poco curava le anime, a fatica toglieva il ss.Viatico agli infermi,raramente celebrava messa”. Ovvero di scarsa frequenza. Evidentemente lachiesuola rendeva poco, perché fosse assistita a dovere. Le messe avvenivanopraticamente solo nel periodo di novena per il Nome di Maria (titolare) e per s.Francesco(introdotto dai Minimi).

   Il 2 maggio1798il segretario generale del Direttorio trasmette l’inventario degli ori epreziosi vari requisiti a tutte le 20 chiese-oratori della municipalità;  traesse compare anche la chiesetta a cui erano stati sottratti beni per la sommapiù bassa di tutte: lire 15,  di fronte alle 18.018 dell’oratorio di sanMartino e le 6.048 della Cella.

    All’inizio del1800,divenne succursale della Cella; nel1837l’arciprete Antola  scrisse che tutte le Domeniche un sacerdote andava apredicare.   Tra essi, un rev.Ardito, che regolarmente officiava da 7anni, divenne segretario di mons.DeAlbertis, vescovo di Ventimiglia: da lui lachiesa ebbe in dono un quadro della Madonna (ritratta col Bambino seduto sulginocchio destro) alla cui base era scritto ‘S.Maria de primo quarterio Sancti PetriArenarii’, che attrasse la pietà dei fedeli e nominata N.Signora delle Grazie. Benché nata comeprivata, si può quindi considerare la prima perché è in essa che fu esposto ilprimo ritratto della Madonna, chiamato ‘delle Grazie’,  che diede il nome alledue successive.

   All’Ardito successe per 3 anni il sac.Stefano Ricciche alloggiava vicino in una casetta di due piani proprietà della chiesa;  alui seguì il sac.Lanzetta che però due anni dopo, nel lug.1849 fu allontanato per espropriodall’amministrazione della strada ferrata perché intralciava la prossimacostruzione della ferrovia

(il Lanzetta, nel 1893 scrisse le sue memorie, riportando ifatti su descritti. Nel descrivere il quadro, precisa «la Mafdonna seduta su diun trono invisibile, tiene sul ginocchio destro il Bambino Gesù, seduto sullamano di Lei, sembra che da tempo fosse presente, in attesa che si ritirasse latenda che la ricopriva, per apparire in tutto il Suo splendore di Madre. Inatteggiamento tranquillo appare di ritorno dall’Egitto, fiera del Divin SuoFiglio, certa che nessuna potenza umana potrà più strapparlo da Lei.  Un riccomanto copre la Veneranda persona, aperto sul davanti. Un paffuto, sorridente,roseo, biondo bambino, colla destra alzata in atto di benedire, stringente unapiccola croce colla mano sinistra, è l’autore della Grazia, il divino Infante.E ai piedi di lei sta scritto “Sancta Maria del 1° Quarterio S.Petri Arenari”»

   Descritta anche dai Remondini, fu giudicata ‘miserabilecosa: assai piccola, con un solo altare di cotto, dipinta esternamente dirosso, con un’aria di soverchia meschinità’.  L’Alizeri nel1875 ne descrive la  scomparsa e segnalal’esistenza di una lapide, riposta dentro le sale della Ferrovia su cui sifaceva cenno ai restauri del 1585(infatti alla sconsacrazione la lapide fu tolta e collocatanella sala d’attesa della terza classe nella stazione principale locale; nel1922 mons.Schiappacasse la richiese alla Ferrovie che la restituirono da porrenella seconda chiesa; infine fu posta nella sacrestia della attuale terzachiesa). Perònell’elenco delle case scritto all’inizio della storia di questa via, appaionoa fine 1800 al civ. 16(di allora) esservi lacanonica della chiesa delle Grazie, seguita dal civ. 19a della casa cantonieradelle Ferrovie; quindi potrebbe significare che la chiesuola non fu ‘distrutta’ma trasformata in casello ferroviario. Infatti la costruzione fu tramutata inabitazione per due guardiani ferrovieri(e probabilmente qui nacque Antonio Cantore, combaciandoalcune vaghe notizie sui suoi genitori) e poi infine realmente o demolita o lasciata a sé.

 

   Furono i Minolli a prestare il massimo dell’opera ditrasloco: in particolare l’immagine della Vergine (che predispose il nome dellanuova parrocchia, di NS delle Grazie)   ed il quadro di san Francesco da Paola loro protettore.

L’apparato religioso venne tutto trasferito in una vicino,piccola chiesa di via DeMarini, costruita (ma meglio dire ristrutturata) con iproventi dell’esproprio; ed aperta al culto il 20 maggio 1849 nei pressi, unpo' più a ponente e chiamata anch’essa santa Maria -e per l’ effige miracolosa-, delle Grazie, succursale della pieve di san Martino-Cella. Nominataparrocchia da mons Salvatore Magnasco il 16 giu.1884. Ma anche questa,inadeguata,  venne sconsacrata nel 1928 ed abbandonata quando fu inaugurata del1929 la terza chiesa dedicata alla Madonna:   quella attuale, sempre vicino,però ancora più a ponente .

 

   La numerazione furisistemata nel 1992, con assegnazione a nuove costruzioni, dei numeri dal 2 al22 (1992) , del 60-62 (‘94) , del 61(‘96).

  Questo il tracciato, -da Largo Lanterna a via di  Francia, ed esclusoovviamente la rampa per l’autostrada-, è stato totalmente demolito, e da dopoil sottopasso, sostituito colCentro San Benigno.Questo, posto in posizione strategica nel crocevia di direttive ferroviaria,stradali, autostradale, aerea e portuale, è stato realizzato da un consorzio diprivati, con varie società. In particolare vi si apre il grattacielo  del WTC,davanti al cui ingresso praticamente oggi  inizia la strada. Questo nome datodall’impresa al centro, per la gente indaffarata e sempre di corsa e per questodisattenta ed indifferente, rischia nel dare nome alla zona, e di scalzarequello più antico e da mai dimenticare della Coscia.

===civ.1: assegnato il 23 ott.21987 al WORLD TRADE CENTER, la prima torre del complesso‘san Benigno’ (per San Pier d’Arena è il terzo grattacielo) costruito da Recchie la soc. SCI (SocietàCostruzioni Immobiliari;presidente Emanuele Romanengo, con50% del capitale); progettato(un primo progetto fu presentato alsindaco ed autorità varie  nel 1980, ed era firmato dal giapponese di famamondiale Minoru Yamasaki, similare al WTC di New York. Al suo posto succedettenella progettazione l’arch. Raul DeArmas (prevedeva l’edificio a strisce e conun tetto a cappuccio a pagliuzze dorate) della soc. SOM, Skidmore, Owings &Merril. Fu offerto uno stage -quale borsa di studio, con primi tre mesi alla Skidmoredi New York- a due universitari italiani di architettura con alte valutazioninegli esami) infine dallo studio Gambacciani-Piero-Garibaldi-Cruzzi(gli stessi della CorteLambruschini) e dalla Seicom; ha 24piani da terra (sulGazzettino è scritto 23 da terra+1 sotto; oppure 24 di cui 5 a parcheggio e 15ad uffici),  per una altezza di 110 m. (il più alto in città), con posti auto sotterranei, elegante ristorante edaula congressi al 19° piano. Il primo ‘colpo di ruspa’ per abbattere lestrutture dell’oleificio, iniziarono nel 1984.

 La struttura divenne ospitante - nei suoi 800mila mc., dal dicembre 1987 - lepiù prestigiose società, come la ERG Petroli (fondata nel 1938, attualmente amministrata dal cav.Riccardo Garrone, occupa quattro piani ed alcune decine di dipendenti), l’Italia navigazione; la Nokia; la Domecq; risoGallo e la Ericsson; la camera di commercio italo-iraniana; la Marconi (occupava un piano; abbandonò ilgrattacielo nel 02 causa ridimensionamento della propria struttura); la H3G (colosso della telefonia che occupa 5 piani avendovi il quartiergenerale del nordovest d’ Italia, con 6oo dipendenti); la Ansaldo Automazione(vecchio nome di una partedell’Ansaldo, poi venduta all’americana  Robicom); la Motorizzazione civile (proveniente da c.so Sardegna, occupa dal 2001 il 13° piano-già della soc. costruttrice SCI- pagando d’affitto per i 1450 mq, la modicacifra di 300milioni l’anno); ed altrenumerosenel settoremerceologico, come la Blu Trading e la Accentnelle progettazionimicroelettroniche (leader italiana nel campo).  

Ilnome deriva da ‘World Trade Center Genoa, spa’: centro di elettronica etelematica integrata, che occupa il 5° piano, fondato dalla Camera di Commercio e mirata afavorire la nascita di nuove imprese; sovrintendente a tutte le principalifunzioni del grattacielo: impianti energetici, climatizzatori, antincendio,ascensori, collegamento con tutte le banche dati cittadine , nazionali edinternazionali, nonché all’affitto ‘chiavi in mano’ alle imprese che cercanouffici già arredati e collegati con tutti i servizi. Questo centro nasce da unaassociazione formatasi a New Orleans nel 1968, con sede principale a Manhattandi New York e altre diffuse in tutto il mondo tra cui la nostra, -seconda inItalia dopo Milanofiori -locata ai primi  piani del nostro grattacielo;  ilnome inglese  vuol essere anche simbolo di una città che -piaccia o no- cambia,e guardaal futuro.Di struttura metallica e cemento,ottagonale, facciate in granito con pannelli di vetro, copertura a cuspide dirame. L’ultimo piano, a terrazza, doveva divenire di uso pubblico panoramico.  Promosso come operazione immobiliare,  è in collegamento con la sopraelevata,metropolitana ferroviaria, (che alla sua altezza dal 2004 sta aprendo unastazione in via di Francia), autostrade, AMT.

Il Consorzio del porto, permutò parte del suo terreno  incambio di una costruenda torre del CAP costruita in zona più ‘litoranea’.

Perla sua erezione, furono sfrattate 121 aziende che lavoravano nei lotti delprogetto, per le quali fu obbligo ricercare sistemazione alternativa.

Anchela villa De Franchi, seppur monumento storico-artistico e teoricamenteinalienabile, nella quasi totale indifferenza (un articoletto sul Gazzettino, a cose avvenute) fu demolita, con l’approvazione (lug.1983) del Comune. Gli abitanti dei caseggiati, alcunifurono soddisfatti in liquido, altri con l’assegnazione di una casa comunale (si narra di un anziano morto di‘crepacuore’ e di una novantenne che dall’ospedale passò ad un istituto pervecchi; altri subirono per ‘poca umanità’ disagi non indifferenti: lasciatinelle vicinanze dei canteri tra polvere, chiasso e saltuari sgombri perpericolo di crollo, dovettero aspettare alcuni anni per una sistemazioneonorevole).

  Causa infiltrazioni d’acqua e pericolo di implosione determinate dallaeccessiva rigidità delle strutture metalliche rispetto quelle in cemento (oscillazioni e sbalzi termici;portando il grado di dilatazione da pochi millimetri attuali a 12), nel  2003 fu programmata la sostituzione  delle5mila finestre (pari aduna superficie di 10mila mq.) per unaspesa prevista di 4milioni di euro tramite uso di pontili ad ascensore esterniverticali per evitare impalcature. Nel 2004 risulta essere il più complesso ecostoso intervento del genere in Europa.

===civ.16  si segnala la presenza della soc. ‘Frisia Italimpianti spa’con alto fatturato, è addetta alladissalazione, bonifica e smaltimento di rifiuti, fumi, tossici. Occupa da 200 a400 dipendenti

¶¶3)dalla ferrovia alla via Larga(via Palazzo della Fortezza),oggi via Dottesio (vedi).

 L’antica via prima del 1850, andava con dolce curvatura avirgola attraverso l’attuale via di Francia ed arrivava sino all’incrocio conla via Larga ed il palazzo della Fortezza. In quella data la ferrovia la tagliòperpendicolarmente passandole sopra con un viadotto che in tempi successivi furaddoppiato, lasciando a monte la villa Pallavicino(vedi vico Cibeo); lo  ‘stradone di san Bartolomeo’; le varie ville compresa la Negroni-Carpaneto e la Spinola;  le chiesuole disanta Maria della Vista e disant’Antonino(distrutte); le Officine Meccaniche Navali di Salvatore Pittaluga del 1898(distrutto);  due edifici abitativi (innalzati nel 1906 e -d’angolo- nel 1907,disegnati dall’arch. A.Petrozzani, di proprietà rispettivamente Zaccheo ePorcile (non so se ci sono ancora? ***);  fu eretta la chiesa di santa Mariadelle Grazie(tuttedescritte in via L.Dottesio).  Il torrente cambiò tracciato e fu interrato con via Cantore.

   Alciv. 26 (vedi numerazione quadro 142) vi nacque il 28 lug.1883 VittorioGiuseppe Valletta (figlio di Federico impiegato delle FFSS e di QuadrioTeresita); trasferitosi a Torino nel 1910 in età universitaria, dovendolavorare per mantenersi; solo nel 1919 si laureò in economia e commercio,dedicandosi dapprima all’insegnamento ed al risanamento di societàfallimentari, divenendo poi  grande ed inimitabile imprenditrore-manager.Assunto alla Fiat nel 1921,  fece rapida carriera:  direttore generale,amministratore delegato, ed alla morte del senatore Giovanni Agnelli,presidente ed infine presidente onorario a vita. Fu l’artefice dellaricostruzione post bellica dell’azienda e dell’espansione in Russia (unostabilimento a Togliattigrad); si ritirò a vita privata ad 83 anni.   Morì il10 ago.1967 a Marina di Pietrasanta. Il Comune lo insignì nel 1962 dell’ “ulivod’oro”, riconoscimento annuale concesso ai liguri che rendono onore alla loroterra ed alla loro gente.

 

Alla fine, che dire. Povera antica strada; è statasnaturata dal progresso! perché anche se è stato conservato il nome per metàdell’antico tracciato, c’è un distacco enorme: troppa indifferenza e freddo,troppa fretta e  chiasso: manca ad essa la poesia, l’odore di mare e dellafatica, i volti  sereni di animi più puliti, l’ amore per la propria terra.

 Vengono ricordate in epoca 1800esca anche l’esistenza diuna ‘stazione di posta’; le stalle del ‘Baciara’; la locanda ‘Tre Corone’; lostabilimento di oli minerali Reinach. Nel 1921 l’impresa trasporti BagnascoEmanuele; lo stabilimento lavorazione latta di Casanova Giacomo; le costruzioninavali Piaggio Alessandro; fabbrica conserve Sanguineti Lodovico;  la gestionelegnami della soc.an. Gio Ansaldo; la soc.an. DeAndreis di lavorazione latta.Questa. Attività fu iniziata da Gottardo e seguita dal figlio Menotti –cherecatosi a lungo in Inghilterra- introdusse per primo la stampa litografica sumetallo: vinse così un concorso internazionale proposto dall’azienda Martellper il proprio cognac, il cui cartello fu proposto in tutto il mondo.

Nelsettembre2004 si annuncia l’approvazione alla costruzione sull’areademolita dell’ulytimo grattacielo mancante alla zona oggi chiamata “sanBenigno”. L’81enne arch. Piero Gambacciani  ha progettato un edificio alto 103ma tetto, per 24 piani; due piani sotto terra; fuori, uno zoccolo formato da uncorpo unico da cui si innalzerà il grattacielo a forma triangolare; nella partesono collocati i servizi. Servirà al Comune per parcheggi; area custodiaveicoli rimossi, mezzi dei VV.FF.; uffici per servizi comunali vari;

 

DEDICATA

Comein uso nelle prime targhe stradali, non riportarono il nome del titolare (Bombriniper es.) ritenendo quindi dedicare la strada all’anticaFAMIGLIA (scrittain vari modi: inizialmente ‘di Marino, poi De Marini, Demarini, de’ Marini.Nella vecchia e primitiva targa in marmo, il cognome scritto a stampatello èperò chiaramente tutto unito in Demarini).

   Essaappare  presente in Genova negli anni attorno al mille, e già allora moltoricca -possedendo case, ville e beni sparsi nel territorio-. Cappellini scriveche l’origine è germanica, con prime notiziedel 1039. Bedocchi – riportando la genealogia descritta dalla Scorza - la ponecome ipotesi: che «secondo antichi genealogisti, discendevano da Ido Viscontiattraverso Guglielmo e il figlio Baldo che generò Marino detto Della Porta:questi fu più volte console nel Comune di Genova tra il 1130 e il 1148. Pareche i De Marini ricoprissero generalmente la carica di consoli dei Placiti,cioè addetti all’amministrazione della giustizia nella civitas e nel burgus».

  Nei primi anni del XVsecolo, in particolare nel1414, apparescritto nel ‘cartulario possessionum’ del Banco di san Giorgio, che – schieraticon i guelfi - per sopravvivere nelle fierissime inimicizie private, alcunefamiglie si unirono lasciando il proprio cognome per assumere quello dei piùforti, e  per formare  così l’Albergo De’Marini furono: Castagna, Ganduccio,Pessagno, Triadano, Vegio (esse seppur derivate da antiche ecelebri famiglie consolari, erano però piccole e deboli; abbandonarono ilproprio stemma per aggregarsi in una più forte casata adottandone lo stemmacostituito da tre cingoli trasversali).Di queste nessuna riprese il suonome primitivo. L’ ‘albergo’ in quella data possedeva in S.Petro Arene benquattro palazzi, quattro case e quattro casette; a Genova aveva ilgiuspatronato della chiesa di san Domenico.     

  Dal1528, furono posti da Andrea Doria a capo dell’8°albergo, delle 28 casate principali, detto “Albergo dei nobili” istituiti nellaneocostituita ‘Repubblica aristocratica’formata dalle famiglieBozzoli; Carrega Benedetto (gli altri entrarono nei Sauli); Lavagna; DiEgra (dapoco venuti dalla Germania); Ferrecchi; Gallo; Giamboni; DeMarchi; Malocelli;Montano; Paggi; Pansano; Pellerano; Raffo; Cassana; Rivarola; un ramo deiTorre.Dopo il Garibotto, e poi ancora con la ‘riforma di Casale’ del 1576,  gli ‘alberghi’istituzionali’vennero aboliti, cosicché tutte le prerogative  -cognome, stemma, rendite- dalSenato furono cooptate in una persona  che fu iscritta nel ‘libro d’oro dellanobiltà genovese’).

  A Genova, suddivisa in‘sestieri, l’abitazione principale dellafamiglia, essendo essi legati agli Usodimare’, aveva sede –dapprima in zona s.Lorenzo-poi, dopo le prime decadi del 1500, e dopo aver demolito casa e torre di uncerto Bertoldo di s.Salvatore,  nel palazzo sito nell’omonima piazza vicino asan Pietro in Banchi, zona Molo (piazza che popolarmente venne chiamata pure“marmorea” perché vicina a depositi della pietra pregiata, sbarcata inporto).

   Il Dizionario biografico conferma che la casa era nellaparte bassa della contrada san Lorenzo, ai confini col  mercato di Banchi.

  Ebbe  in tempi successivi tanti componenti, tutti  estremamente versatili ecapaci  di coltivare contemporanei interessi economici, politici, diplomatici;e molti con voce decisiva nell’amministrare la città (leggi sotto).

   LaScorza riassume ititoli, descrivendo chenel 1236, erano conti di Gavi; anno 1400, Paolo di Ambrogio era arcivescovo diGenova; 1414, erano Albergo; 1528, erano l’8° Albergo; ricorda del 1616,Domenico, arciv. Di Genova; 1641, Gio.Agostino di Gerolamo era doge; 1715,Carlo di Gioffredo cardinale. Aggiunge che l’armaera “d’argento a tre bande ondate nebulose di nero”

 

  L’Alizeri e don Brizzolara presuppongono  che  la strada sia stata dedicata-quale “onesto tributo di gratitudine” – a Carlo; mentre il Gazzettino proponeGian Domenico:

===De Marini Carlo cardinale, munificosignore che «beneficò questo popolo, di parecchi legati, e che istituìdiscipline munifiche...».

 Il Dizionario ecclesiastico delCeccaroni-Milano- scrive che  era stato un nobile  genovese, alla corte di Romacon papa Clemente XI da cui fu creato cardinale nel 1715 di santa Maria in Aquirio;e che resse anche le Legazioni di Ravenna ed Urbino; passato a miglior vita nel1747. Anche il Novella cita ‘il cardinale Carlo DEMARINI quale fondatore di unapia opera per dotazione di fanciulle povere’ . Ma nel Dizionario biograficoligure su citato, non appare questo Carlo. Anche DeLandolina/1922 suggerisce ladedica a Carlo (forse copiandola dall’Alizeri considerate quasi uguali alcunefrasi): «Cardinale di S.M. in Acquiro (sic, ma non esiste nelle enciclopedie), il quale beneficiò Sampierdarenadi molti legati e istituì discipline proficue nel suo palazzo stesso che ancor’oggisorge sul poggio di Montegalletto».  

   Più volte, al paragrafo VIII, XI e XIII del testamentodel Cardinale, si fa riferimento ad un suo ‘palazzo’ senza precisare dove era:considerato che la collina di Montegalletto a SPd’A era posta a ponente del riodel Fossato, si può presumere che sia stato quello abitato dalle suore e poidistrutto (vedi via M.Vinzoni) oppure quello dei Francavilla prima chedivenisse Piccardo.   Don Brizzolara precisa che essendo il Cardinale ancheAbate di Promontorio, dal suo palazzo  «situato in cima a Monte Gallettoprospettava l’abbazia del Fossato e tutta la spiaggia di San Pier d’Arena.Anche nei nostri giorni(1916) sull’architrave della porta d’unlocale interno di detto palazzo-ospedale si legge questa iscrizione: «Jam non estishospites et advenae; sed estis cives sanctorum et domestici Dei:superaedificati super fundamentum Apostolorum ed Prophetarum, ipso SummoAngulari lapide Christo Iesu. Eph.II v. 19,20». Questo prezioso documento fuabbattuto dai ‘discoli’ nell’estate 1916. Ai nostri giorni i sovversivi di SanPier d’Arena, a pochi metri di distanza dal palazzo-ospedale, indicato daltestamento del card. DeMarini vollero impiantare il vasto nuovo ospedale, dalquale vorrebbero che fosse estraneo lo spirito della Chiesa cattolica».

  Un altro ‘Memoramdum’ manoscritto dell’abate di Promontorio don GiovanniBrizzolara fu GB., copiato da eguale conservato nell’archivio parrocchialedella Cella, e con riferimento bibliografico di p.GB.Semeria (vol.1 intitolato ‘nei secolicristiani della Liguria’), precisa cheCarlo –patriziogenovese e Commendatario di s.Bartolomeo del Fossato di Promontorio (quando l’abbazia aveva tutte e copiose rendite da vasti possedimenti,anche  in Basaluzzo e Pastorana (AL) e nel Banco di san Giorgio(che pagava il curato vicario fisso))-, morì nel 1747 a 80 anni dopo 32 anni di cardinalato. Nel testamento nominòpapa Benedetto XIV  erede fiduciario di centomila scudi; Egli con fedeltà feceeseguire le volontà dell’estinto che comprendevano l’istituzione di 15 piefondazioni da soddisfare con 15mila scudi, parte in Genova - amministrati dalMagistrato di Misericordia(istituito nel XVI secolo dall’avo Pileo, arcivescovo di Genova. Dellacifra avuta, duemila lireannuali sono consegnate alla Congregazione di Carità che li eroga ai poveri delComune di San Pier d’Arena) - parte inRoma. Le spoglie mortali del cardinale giacciono nella chiesa della ss.Nunziata.“Per 47 anni (1700-1747) fu abbateCommendatario di san Bartolomeo del Fossato di Promontorio; nel giorno avantila sua morte, che avvenne il 15 gennaio 1747, fece suo testamento da luichiamato: ‘memoria da farsi presente a sua Santità Benedetto XIV di quello cheio ho desiderato testare’: in detto testamento il De Marini nomina il dettoPontefice suo erede fiduciario, con tutte le più ampie facoltà. Il SommoPontefice nel giorno 4 di febbraio del medesimo anno delegò Monsignor D’Angennillieresa raccogliere l’eredità, pagare i debitori, ecc.. Quindi il giorno 14 luglio1749 con suo chirografo molto onorifico per l’arcivescovo di Genova (mons.GiuseppeMaria Saporiti 1746-1767) e per Magistrato di Misericordia, determinò quali,delle quindici fondazioni ordinate dal suddetto Cardinale in Genova e nel suoDominio, dovessero eseguirsi, eguali essere riformate , ed eccone ladistinzione:

 I. Premio di lire 50 ogni mese al giovane o alla giovane,che daranno prova di essere meglio istruiti nella Dottrina cristiana in SanPier d’Arena...         ...                           ...                 totale      £.   600

II. Cappellania per l’anima della q. Teodora Gentile....                   ....                                          332

III. Altra cappellania perpetua ...                ....               ...                   ...                                       332 

IV. Esercizi spirituali ogni anno nella Chiesa della Cella ...                           ...                            150

V. Distribuzione denaro a poveri di s.P.d’A. il giornoanniversario della morte del Card.            600

VI. A detti poveri, Pagnotte N.50 ogni giorno     ...             ...           ...                                  ..    1800

VII. Aiuto di costo di Medico in S.P.d’Arena  per la curadei poveri, annuale       ...                     600

Indirettamente conferma Tuvo quando segnala che nel 1765,nel Castello, fu nominato per la durata di tre anni medico per San Pierd’Arena, Antonio Capponi: “il medesimo si obbliga di servire tutti quelli delladetta Comunità, da quali sarà chiamato senza poterne pretendere pagamentoalcuno disponendo delle seicento lire lasciate dall’ecc.mo cardinale De Marinial medico attraverso il Magistrato della Misericordia”.

VIII. Per tre crociferi, due sacerdoti e un laico, cheabiteranno nel palazzo del cardinale in S.Pier d’Arena affinchè assistano agliinfermi ed ai moribondi  ...    ...  ...      ...                                    1500

IX. Messa perpetua ai RR.PP. della Cella, quando sussistache il testatore ne abbia debito ...                    ...                   ...                     ...                ...                                      ....                                         240

X. Altra cappellania in Novi, quando così si debba...         ...                                       ...               240

XI. Tre mute di esercizi in San Pier d’Arena in dettopalazzo per otto persone persone  di ogni muta, a Paoli 7½ sottosopra per ognipersona compresi i servienti ed il Direttore  (sic)               1280

XII. Per tre Missioni contre sacerdoti, che dovranno farle ovunque si sia ...             ...                 900

XIII . Premio da darsi aquel Prete che nell’esame da farsi ogni anno da PP.Gesuiti nel detto Palazzo inTeologia morale sarà trovato migliore tra i concorrenti in quell’anno      ...                 900

XIV . Per un computista               ...                    ...                                  ...                                    400

XV. Per un Direttore delle suddette opere pie, che dovrànell’indicato Palazzo del Cardinale   600  

Tutti ricevuti direttamente dalMagistrato di Misericordia.

                                                                                                                           totale               10,174

    Il Papa apportò queste modifiche:  all’I = alternativaun mese ai maschi ed uno alle femmine secondo regolamento determinato dalMagistrato di Misericordia; al II e III = l’Arcivescovo è incaricato dinominare i cappellani; al IV, V, VI = decide il Magistrato e non altrimenti;VIII contrario alle Costituzioni pontificie per lo scarso numero dei Religiosi:dovrà l’Arcivescovo deputare 2 sacerdoti per 400 lire annue cadauno; al IX=ridotta a metà, e da eseguirsi conforme alla prima osservanza della suafondazione; X = annullata; all’ XI e XII  =  annullati. Il capitale consegnatoall’Arcivescovo per risanare le Chiese danneggiate dalla guerra del 1747;  alXIII = annullato. Da darsi a quel sacerdote che insegni Teologia morale nelseminario di Genova;  al XIV e XV = commutati. Giudice il Magistrato persopperire le spese che potessero occorrere per difendere i capitali, con chel’avanzo sia dovuto ai poveri. Totale £. 5934

      Don Brizzolara scrive : I capitoli di questa dispensaerano scritti anche in Francia, Vienna, sanGiorgio e Londra. Ma dopo larivoluzione francese la proprietà divenne ‘poco florida non superando le 3700lire.  Per questo nel 1811 fu fatta un’altra deduzione di tutte le sommedovute, giudicando quali le più importanti: la I = ridotta a £.150 che ritirail parroco della Cella; II e III = invariati; IV= in favore dei Missionari; V eVI = invariati ma si eseguono colla distribuzione delle cartoline; VII = noneseguito benché confermato da papa Benedetto XIV; VIII = ridotto a £.200 cheritira il Parroco della Cella; IX confermato ma solo £.120;  da X a XVannullati. Totale £.3684

   Fino al primo di Luglio 1891 i legati pii del cardinaleCarlo De Marini in San Pier d’arena erano percepiti dall’arciprete di sanMartino e santa Maria della Cella ed erano i seguenti:

1. Legato di 50 Messe annue    con la limosina complessivadi lire 91 e cent.36 nette da riscuotersi presso il Magistrato di Misericordia indue semestri con fede in carta bollata da cent. 60.

2. Legato di £.105 e 50 annue nette, in due rate peifanciulli della dottrina cristiana, che sono insaccati ed estratti 4 per ognidomenica -£.0,40 a ciascuno dei presenti

3. Legato per le fanciulle della Dottrina cristiana, insacateche si estraggono ogni anno in novembre e ricevono dal Magistrato lire 18 circaciascuna: se ne ammettono 16.

4. Legato per gli infermi, che giovaa compire l’onorario del del Prete sacristano, ed è di lire 154 annue nette in2 semestri –dal magistrato- dello Sacrista era l’ora fu D.Nicolò Daste ricevevaogni semestre £. 77,12.

    Quella speciale di beneficenza,dopo una ventina d’anni fu passata alla Congregazione di Carità, conconseguenti lagnanze circa la fedele distribuzione dei sussidi

Negli ani 1891 – 1892 – l’ arciprete di san Pier d’Arenariscosse ancora in ciascun anno £. 445,68 per 25 Messe - £.52,75 per laDottrina cristiana e per gli infermi £.77,12.  Il Rev.mo Arciprete di San Pierd’Arena in data 4 genajo 1892 notava nel registro del suo archivio quantoappresso.

«Il legato della Dottrina cristiana per i maschi e la doteper le figlie della Dottrina cristiana, essendo che oramai non corrisponde piùal fine inteso dal testatore, è a desiderarsi sia dall’autorità competenterivolto ad altro buon fine. Urgerebbe aver da pagare più tosto alcunicatechisti, ora che dalla maggioranzabastardamente cattolica non sisanno più i Misteri principali. Lo stesso Rev.mo  Arciprete nella stessa datanotava pure: il Legato De Marini pei poveri dal Magistrato di Misericordiaviene pagato (non conosco la cagione di ciò) alla Municipale ‘Congregazione dicarità. Si capisce: è una congregazione laicale. Se è vero che furono elettifinora, generalmente parlando, onesti amministratori, non cessa il pericolo chepossa diventare, e forse presto, cosa tutta massonica.Il legato è ridotto alire 2008 alla quale somma van sottratte le tasse !!!»

 

===Giovanni Agostino di Gerolamo (1572-1642).Sul Gazzettino Sampierdarenese vienechiamato Gian Domenico.Dal 14 ago. 1641, per poco meno di un anno, fudoge;interrotto per decesso(durante l’incarico, ricevette dall’imperatore l’ambito titolo di”serenissimo”, titolo che rimase poi sempre ai dogi genovesi; raccolse fondiper un pubblico contributo del riarmo navale: riuscì ad allestirne venti;ordinò che tutti, nobili e popolani, si salutassero sollevando il cappello (cosache era obbligata solo al ceto inferiore di fronte a quello superiore;  con nonpoche dispute, specie tra i cittadini più arroganti o superbi).). Nel 1616 era stato incarceratonella torre del Palazzo Ducale, per aver preso le difese del fratelloDomenico, arcivescovo, che voleva essere seguitoda scorta armata anche durante le funzioni religiose.

Suo figlioFrancescodivenne gesuita e letterato (scrittore di commedie, recitate dai nobili).

 

---Altri componenti della famiglia:

===Marinodi Baldo  q.Guglielmodegli Alinerii, detto Marino della Porta di origine viscontile   (del ramo derivato da Oberto di Manesseno); per alcuni genealogisti (Scorza eBelgrano) apparirebbe essere il capostipite; fu console del comune di Genovanegli anni 1130, 1141, 1146, 1148.

    Per altri (Giustiniani, Dellacella), capostipite fuOgerio De Marini, console nel 1130 che ebbe tre figli,Lamberto (che fu nominato principe di Peveglio , consiglieredel Comune nel 1146 e partecipe del pedaggio di Voltaggio nel 1149);Guglielmo (che appare qualche volta come firmatario di importanti trattative come quella ditregua -ripetutamente violata- tra i cittadini genovesi mentre la Repubblicaera minacciata dall’esterno, specie da Pisa); e terzo più importante fuBeltrame, il primo di cui con sicurezza sihanno notizie di comando e valore: divenne console, in particolare del‘Placiti’ ovvero gli addetti all’amministrazione della giustizia per le variecompagnie genovesi, cittadine              (Castello, Piazzalonga, Maccagnana, san Lorenzo) e burgensi (Porta, Soziglia, Porta Nuova, Borgo). Appare anche firmatario di moltigiuramenti come console della repubblica: uno nel 1146 nella promessa al contedi Barcellona -dopo l’impresa di Almeria- di intervenire all’assedio di Tortosa(la convenzioneprevedeva che le conquiste, la città ed i castelli, sarebbero state divise intre parte di cui, due al conte ed una al comune di Genova; nell’accordo, anchela chiesa avrebbe beneficiato a parte); l’altro ne1 1157 assieme ai fratelli ed altri 298cittadini quando sottoscrissero un trattato con Guglielmo I re di Siciliaobbligandosi di non allearsi con l’imperatore di Costantinopoli,  in guerra conil re; un terzo, col fratello Guglielmo,  appaiono firmatari il 30 agosto 1157di un’altra convenzione con il conte di Ventimiglia Guido Guerra, disposto a donare al Comune di Genova i suoi domini di Roccabruna, Gobbio, Poggiopino ePenna.  Fece parte anche di una ambasceria presso Federico Barbarossa nel 1162,per stabilire come prestare aiuto all’imperatore e ricevere in cambio privilegivari come il possesso della città di Siracusa; fu presente al giuramento fattoall’arcivescovo di Genova dal marchese Opizzo Malaspina e da suo fratelloMoruello, di fedeltà e di obbligo a mantenere libere e sicure le strade diaccesso alla città e, in caso di guerra, armare a proprie spese 15 cavalieri e300 arcieri; ultimo, nello stesso anno, fu firmatario di accettazione di unasentenza arbitrale, sulle indennità ai marchesi Malaspina e sulle controversieper il castello di Monleone. Anche un figlio di Beltrame fu console per trevolte con partecipazione ad alleanze, protezioni, e giuramenti vari. Mentre ===Pasquale, forse figlio di Beltrame (altridicono fratello), divenne nove volte Console, nel terribile periodo delle lottecon Pisa ed alleanze con Lucca .

===Montano, grande navigatore del 1200 (mercante dimerci di valore), un po’ pirata contro i pisani ed i veneziani, un po’ politiconelle lotte cittadine. Parteggiando per i guelfi  e,  sconfitto, fu espulso;catturato dai veneziani riuscì a capovolgere la sua posizione facendosinominare podestà di Padova. Morì in Turchia, nelle colonie genovesi ove erastato inviato dal nostro Senato.

===Marino, (sono più d‘uno gli omonimi menzionati inquell’epoca dai documenti genovesi); viene ricordato in particolare un Marino oMarietto come valoroso combattente nel 1240 comandante una squadra di 10 galeenell’epica lotta contro Federico II di Svevia nell’assedio del castello dellaPietra (Ligure); annalista (nel 1256), ma soprattutto giureconsulto, testimoneambasciatore di innumerevoli trattative in Italia specie con Venezia (cheaccusava Genova di pirateria) e Vaticano; poi ‘clavigero’ assieme ad altrisette nobili come consigliere del podestà (allora, il bolognese Rambertino Buvalello); nel 1283 assistette al ritrovamento delle reliquie dei corpi di san Siro e sanFelice vescovi di Genova; capace di accumulare un cospicuo patrimonio cheinvestì nel commercio e nell’acquisto di beni immobili in città; morì nel 1293

  Nel 1236 figurano essere titolati ‘ conti di Gavi’.

===Le prime notizie di unAmbrogio risalgono al 1370 quando esercitava attività commerciali nelMediterraneo (vino), nel mare del Nord (grano) ed in Oriente (zenzero); bancherius,civis et mercator Ianuæ divenne poi ambasciatore della Repubblica inPortogallo; ed infine governatore della Corsica in tempi difficili e sediziosi,ove morì nel 1403.

===Suo figlioPileo(nato da Violante Fieschi; Semeria scrive ‘natointorno all’anno 1370’). 

Il30 nov.1400, appena  trentenne,(altra fonte dice ventitreenne; altra dice 1 dicembre) divenne arcivescovo di Genovaprevia dispensa del papa Bonifacio IX (altre fonti dicono erroneamente Bonifacio VIII). Fu persona scomoda, quasi maisilenziosa e discreta, scarsamente arrendevole sia al potere politico chereligioso, eppure meritevole di alti ed esaltanti elogi, specie per lacoordinazione delle opere pie, per l’istituzione del magistrato diMisericordia, e per il restauro della sede arcivescovile. Fu però coinvoltonegli intricatissimi rapporti sia di potere (volubile era  la politica locale, costantemente inlotta sanguinosa tra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini) sia religiosi tra la sede romana equella avignonese inizialmente dichiarando obbedienza a quest’ultima (presumibilmente perché sottopostoa pressioni –specie da parte del canonico di san Lorenzo Giovanni daGodigliasco suo protetto- e fors’anche  minacce visto la pressione che laFrancia esercitava su una Genova dominata. Lo scisma sconvolse tutta la vitareligiosa locale, dal 1404 fino al 1417 quando col concilio di Costanza vennedeposto l’antipapa francese Benedetto XIII (al secolo Jean Le Meingre detto Boucicaut,o Pietro di Luna, dichiarandolo spergiuro, eretico, scismatico). Benedetto XIIIera venuto a Genova il 12 mag.1405, proprio per incontrare il DeMarini). Pileofu ovviamente destituito dal papa romano, ma schierandosipoi apertamente col neoeletto terzo papa –fedele a Roma- Alessandro V nelconcilio di Pisa (1409), fu evidentemente perdonato e reintegrato. Infattipartecipò nel 1414-17 al concilio di Costanza, tenuto per ricomporre lo scisma, a cui fu messa laparola fine, quando unanimemente nel nov.1417 fu eletto a capo della chiesauniversale Martino V).

Se pur approfondendo gli studi classici, favorì -in queglianni di trapasso tra il ‘300 e ‘400- la penetrazione nell’ambiente culturalegenovese dei nuovi ideali umanistici; diede vita al Magistrato dellaMisericordia per opere di carità e pietà (nelle assemblee aveva diritto a due voti: l’incarico era di‘invigilare’ le pie dispense annuali affinché fossero ‘fedelmente e con buonordine distribuite à poveri dell’uno e dell’altro sesso per loro sovvenimento’), nonché fu promotore dell’ospedaledi Pammatone (o disanta Maria de Misericordia, voluto da Bartolomeo Bosco nell’anno 1420). Entrato in contrasto col duca diMilano Filippo Maria Visconti, lente e corrosive furono le divergenze colpotere politico locale e religioso centrale, al punto che nel 1426 fuallontanato dalla cattedra e portato forzatamente a Milano. Tornato versoGenova, a Voltri si mescolò ai ribelli senza poter entrare in città. Dopoallora il papa Martino V nel 1429 nominò al suo posto un altro arcivescovospiegando la successione ‘per obitum’, senza precisazione di dove, quando,perché (Semeria lo fa morire in città, nel 1436).

===GiovanniBattista,rinunciatario del cognome antico di  Castagnola, nato a Chio nel 1540, nominatogrande elemosiniere del papa). La famiglia si estese anche fuori dellaRepubblica: vengono ricordati dei De Marini a Milano, Torino, Napoli, Venezia.

===Tomaso (1499(Bedocchi scrive 1475)-1572) fu il figlio di Luchino(valente banchiere, col fratelloGiovanniarricchiti a Milano nei lunghi anni di pace sforzesca), e ne curò e continuò ilucrosi interessi (ilsuo fastoso palazzo è oggi sede del Comune). Discendente dei Castagna, la più antica casata tra tuttequelle che si riunirono nei De Marini, seppe abilmente spremere denaro aicontribuenti (e con il commercio del sale) che travasava nelle casse assetatedel duca, del papa, del governatore, ed investendo gli ampi guadagni inproprietà sparse in tutta la Lombardia (compreso un marchesato, diCasalmaggiore, 1544), nel genovesato ed a Roma. Riuscì a malapena a districarsinell’aver partecipato alla congiura di Gian Luigi Fieschi contro Andrea Doriadel 1547; ma pochi anni dopo, recidivo, fu bandito –1551-2- da Genovaobbligandolo a Milano. Fu graziato nel 1555  e dal Senato fu coinvolto nelladifesa della Corsica invasa dai francesi. Ma era a Milano il suo vorticoso girodi soldi, che lo portavano ad interessarsi di tutto ciò che poteva produrregrossi affari, dai quali dipendevano per il governo le paghe dei soldatimercenari, costruzioni di cinte murarie, le grosse imprese pubbliche: eragenericamente considerato un approfittatore senza scrupoli, abile nellosfruttare i tempi e l’economia anche quella neonata con il nuovo mondo, protettodai ‘bravi’.  Nel 1588 diede via ai lavori diretti da Galeazzo Alessi, perl’erezione di un suo palazzo in Milano, che doveva essere ‘il più bello dellacristianità et costargli un pozzo d’oro’. Ma un po’ l’età, un po’ le tragichevicende familiari (ambedue i figli omicidi, uno di un servo e l’altro dellamoglie nobildonna spagnola), un po’ la congestione ed il disordinenell’intricato groviglio delle sue innumerevoli contabilità, la sua morte equella dell’Alessi, determinarono che il palazzo non fu interamente completatoe, nel 1577 confiscato (manel 1615 a conti ultimati, ne venne fuori che i crediti superavanodi gran lunga i debiti).

===Leonardo  fu grande teologo dell’ordine dei Predicatori, fu nominatovescovo di Laodicea nel 1550; attivo partecipe al concilio di Trento (1562) edinviato più volte quale nunzio apostolico alle corti europee specie di Spagna ePortogallo; è noto per aver preso parte –assieme a Muzio Cabino, arciv. DiZara- alla compilazione del Catechismo Romano e nel confutare gli errori delladottrina di Lutero. Morì a Roma nel 1575.

===UnGB (1597-1669) divenne maestrogenerale dell’ordine dei Domenicani; ===mentreGiovanni Filippo (1608-1682) fu un gesuitamissionario e scrittore che morì a Macao in Cina dopo essere stato molto temponel Tonchino (nord Vietnam).

===Nacque illegittimo a VeneziaGiovanni Ambrogio nel 1596 (in alcuni testi è citatocon il cognome senza il ‘de’): divenne sacerdote e letterato (il più noto e celebrato romanzieregenovese del seicento essendo le sue opere oggetto di numerose ristampe;frequentatore a Genova dell’Accademia degli Addormentati di Anton GiulioBrignole Sale e “de’ Disperati”; numerose le opere letterarie e scientifiche alui dedicate da vari autori). Fu sepolto in san Lorenzo.

===Nato a Genova(1540-1604)Giovanni Antonio, attivo uomo d’affari, proprietario di trireme, usatodalla Repubblica come ambasciatore: nel 1602 fu inviato a Valladolid perottenere copia del testamento di Cristoforo Colombo conservato a Madrid daScipione Casanova; ma là, raggiunto da malattia, vi morì. Nel testamento,lasciò una casa in San Pier d’Arena a suo fratello.

     Nel 1600 acquisìimportanza il patrizioClaudio, nato in Francia nel 1574 circa e che fu promotoredella ‘congiura dei De Marini’. Filofrancese per motivi natali, in una città filospagnolaper convenienza , essendo di personalità complessa e turbolenta  e di carattererissoso e violento, gli costò in varie tappe processi, perquisizioni dellacasa, arresto ed esilio. Finché nel 1610 poté risiedere a Genova(non come ambasciatore ma solo come ciambellano econsigliere di stato di Luigi XIII, perché la Repubblica ammetteva rapportisolo con l’ambasciatore spagnolo); intale veste fece rappresentante politico della Francia nelle guerre dapprimacontro, poi a favore dei Savoia fino a divenire ambasciatore francese a Torinoe consigliere dei Savoia nel ricercare ‘lo sbocco al mare del regno sabaudo’attaccando Genova: forti dell’appoggio francese, il re Carlo Emanuele I con unesercito piemontese di 14mila fanti e 2500 cavalieri, guidati dal connestabiledi Lesdiguières e dal maresciallo DeCréqui, nel 1625 attaccò le mura; ma insoccorso arrivarono  70 galee spagnole che costrinsero i piemontesi a rientraredei loro territori. Fallito l’atto di forza, il re tentò di impadronirsi dellacittà con l’inganno pagando un parente De MariniVincenzoche lavorava come direttore generale nell’ufficio postale della repubblica,affinché aprisse la corrispondenza e rivelasse i contenuti; l’infedele fuscoperto, arrestato, sottoposto a tortura  e decapitato nella torre del palazzoDucale ed in più depennato con gli eredi dal Libro d’Oro della nobiltà; ancheClaudio fu processato in contumacia e confiscato dei beni: la casa in piazzaSalvago rasa al suolo (al suo postosorgerà la chiesa di san Bernardo; altrettanto dura sarà la risposta del re diFrancia contro Genova poiché  mise al bando i genovesi in Francia e nesequestrò i beni). Morì a Torino nel1629.

===Contemporanei a Claudio,due patrizi omonimiDomenico; uno studioso e scrittore di scienze, di teologia  efilosofia. Divenuto vicario generale dell’ordine dei domenicani, fu consacratonel 1648 arcivescovo di Avignone.

L’altroDomenicoanche lui avviato allavita ecclesiastica perché secondogenito, arrivò ad essere vescovo di Albenganel 1611, governatore di Perugia nel 1612 ed arcivescovo di Genova nel 1616-35: fu partecipe di un grave attrito diplomatico tra la Repubblica e loStato Pontificio quando quest’ultimo aveva chiesto -tramite l’arcivescovo-l’arresto in città del prete secolare Antonio Montenegro, nobile cittadinogenovese dimorante a Napoli, reo di aver pubblicato libelli antipapali: ilsenato genovese accondiscese purché si procedesse solo all’arresto e non allapena capitale prevista nel caso; ma appena il sacerdote fu trasferito a Roma,fu decapitato nel Castel sant’Angelo.  Fu questo arcivescovo che ricevette ingrande solennità la reliquia di san Bernardo abate in Chiaravalle che nel 1625era stato eletto a patrono della città per decreto votivo legato alla guerracon i Savoia dello stesso anno (una vertebra,  distratta dalla teca conservatadai frati del santuario di Chiaravalle e consegnata al console genovesemarchese Agostino Centurione).  Morì a 72 anni; e fu tumulato in san Lorenzo nel febbraio 1635.

===Di DeMarinisGiorgio, è testimonianza una lapide murata nelcorridoio alla sacrestia della Cella, ove si legge pure lo stemma dellafamiglia; il nobile -nell’anno 1619- per sé e per la moglie Nicoletta Grimaldi,ordina delle messe all’altare di san Francesco da fare in perpetuo.

===Un altroMarino,nato illegittimo a Venezia da ignota nobildonna locale durante una missionediplomatica del padre in quella città; poi riconosciuto legittimo ed ascrittoal patriziato genovese. Troppo spesso fuori città per fuggire i creditori, èfamoso perché nel 1634  inventò una nuova bombarda  (interessante e di attualità in unperiodo assai inquieto -era ancora recente l’assalto dei piemontesi del 1625- ,più leggera -quindi facilmente trasferibile sulle mura e laddove occorresse-,ed anche meno costosa: prevedeva minimo impiego di metallo limitato alla boccada fuoco, alla parte interna della canna, ed alcuni anelli intervallati, iltutto circondato da corda impeciata e doghe di legno coperte di cuoio, conrivestimento esterno di carta pecora dipinta a finto bronzo; regalatal’invenzione al Senato della Repubblica, ebbe in cambio il brevetto ed unacatena d’oro del valore di 1200 lire; l’efficacia bellica però risultòdeludente, e l’arma non fu riprodotta).

===De MariniFrancesco, natoa Genova nel 1630, battezzato in san Pietro in Banchi, seguì la vocazionesacerdotale con una rapidissima ascesa tanto che a 25 anni era già vescovo di Albenga.Di carattere zelante ma focoso e puntiglioso, assai poco diplomatico; in attritocon tutti , spesso con alterata e scomposta reazione sia contro gliamministratori della città, sia i suoi stessi sacerdoti anelanti maggioreautonomia; arrivò a interdire il culto della messa in cattedrale perchécontrastato nella scelta di un predicatore (con una breve pontificia fuobbligato a ripristinare l’officio), e lo stesso fece a Pietra Ligure nel 1658quando arrivò anche ad alzare le mani addosso  e poi scomunicare  un fratesuperiore cappuccino con cui era venuto a diverbio (fu richiamato a Roma per un anno ove dovettegiustificare il suo operato; e nel 1660 il tribunale ecclesiastico gli diedetorto negandogli anche lo ‘ius visitandi’ per Pietra Ligure). Trasferito a Molfetta, preferì ritirarsi a Roma oveseguì la carriera ecclesiastica fino a divenire arcivescovo di Theodosia nel1676. Forse è di lui che cita il notaio GB Badaracco, parlando dell’arciprete Gio.VittorioAngeletti, figlio di Angelo da Vezzano, “familiare dell’arcivescovo De Marini:il 23 sett.1647 riscuote la decima dei pesci dai pescatori di Sampierdarena”.

===Paolo Battista Gerolamo Maria, fu ambasciatore in Francia quando Luigi XIVapprofittando della debolezza della Repubblica non più protetta dagli spagnoli,espresse richieste provocatorie e lesive alla sovranità genovese; grande erroredel DeMarini fu il non aver capito la gravità degli eventi ed i preparativi diuna flotta a Tolone ed a Marsiglia (maanche a Genova non si erano accorti degli innumerevoli pittori, turisti,commercianti, studenti francesi che con le più disparate scuse spiarono ognidifesa, punto debole delle fortificazioni, i traffici del porto e quant’altropotesse offrire vantaggio militare in caso di offesa da terra o dal mare): il re ordinò una azione punitiva rinchiudendo il DeMarini nella Bastiglia; facendo bombardare la città dal 15 al 20 maggio 1684sparando su essa ben 13mila colpi; e concludendo il tutto con l’umiliantecondizione di una possibile trattativa solo se il Doge si fosse recatoumilmente a Versailles: il De Marini, liberato (aveva dimostrato nel carcere la fierezza dei genovesi, mai umiliandosied anzi –seppur censito nei messaggi alla Repubblica- generoso invitando ildoge di ‘non prendersi alcuna pena per lui perché contento di soffrire senecessario per aver ben operato per la patria’),  ottenne che la delegazione fosse considerata una ambasciata di puroossequio e ricevesse gli onori riconosciuti ad una grande potenza; così il dogeGian Francesco Maria Imperiale Lercari, con quattro senatori (Giannettino Garibaldo, Agostino Lomellino, ParideSalvago, Marcello Durazzo), poté recarsiil 15 maggio 1685 a Versailles, ove col famoso ‘mi chi’ riparò il grave disagioe l’umiliazione diplomatica con un successo  personale (vedi anche a Imperiale). Il DeMarini, tornato a Genova, divenne senatore nel 1690 e poi anchepadre del Comune negli anni 1693-4 e 1701.

===De MariniFerdinando(1718-1800), collocò lafamiglia nell’alto patriziato genovese, ricoprendo numerose magistrature edivenendo senatore; coltivò anche interessi letterari, componendo sonetti.

===  Un De MariniDomenico Vincenzo,nato nel 1763, definito ‘nobile e gran proprietario, dotato di eminenti qualitàe di grande sensibilità culturale’; fu abile amministratore e politico  nelperiodo della caduta della Repubblica: sia con gli austriaci che con i francesie poi dopo con i reali torinesi ottenne cariche di alto prestigio, fino asenatore,  consigliere regio, e sindaco di prima classe nel 1828; durante ilsuo mandato fece collocare lungo le scale dell’Università molte antiche lapididi grande importanza storica (che furono rimosse dai successori). Morì nel 1847quando ancora era in piena attività .

===Paolo Ferdinando fu funzionario del regno di Sardegna , intendentegenerale della Divisione di Genova ed insignito della croce di cavalieredell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro; fu anche presidente della Camera diCommercio e di molte altre istituzioni cittadine .

===Cappellini aggiunge  unDomenicovissuto nel 1449, patriarca di Gerusalemme dopo essere stato legato dell’Umbriae governatore di Roma.GiovanniAgostino,1572-1642, doge 1641-2, fratello dell’arcivescovo Domenico, sventò le mire diconquista di CarloEmanueleI di Savoia.GiovanniAmbrogiofu nel XVII secolo sacerdote e letterato lasciando molte prose e poesie. Girolamo di Francesco 1595-1668?, senatore,scrittore nel 1666 dell’operetta ‘Genua’ descrivente il dominio ed il governodella Repubblica.Oliviero del XVI secolo, benefattore e fondatore nel1538 di un collegio per orfani.Pietrodomenicano,uno dei primi 12 teologi dell’Università di Torino fondata nel 1405, priore di s.Domenico.

 

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=noncitati su Enciclopedia Motta; Enciclopedia Sonzogno; Grillo-origine storicalocalità; catalogo ville genovesi 

=partedella bibliografia delle due prime chiese di NS delle Grazie sono in via Dottesio(da cui provengono lerelazioni, ma dove sono rimasti i riferimenti bibliografici)

 


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