Nel gergoparlamentare, iltrasformismo indica una praticapolitica che consiste nella sostituzione del processo fisiologico di alternanza tra maggioranza e opposizione per via elettorale con lacooptazione nella maggioranza di elementi dell'opposizione[1].Nella storia dellapolitica italiana il trasformismo emerse dopo il1880 nelRegno d'Italia, come prassi comune ai gruppiparlamentari, di Destra e Sinistra, di variare le maggioranze in base a convergenze d'intenti su problemi circoscritti anziché su programmi politici a lungo termine. Il singolo parlamentare non era legato a un partito, per il semplice motivo che nell'Italia dell'Ottocento i partiti organizzati non esistevano. La candidatura alle elezioni era personale e ciò favoriva l'individualismo del singolo deputato. Il passaggio di un parlamentare da uno schieramento all'altro era segno della conclusione di una trattativa nella quale il deputato aveva mercanteggiato il proprio voto in cambio della soddisfazione di interessi privati[2]. Durante il periodo in cui il trasformismo fu prassi politica, le maggioranze parlamentari che di volta in volta si costituirono, poggiarono su singole personalità politiche che, manovrando il costituirsi delle varie combinazioni di gruppi parlamentari, risultarono l'unico elemento di stabilità politica[1].
Nella politica moderna il termine trasformismo ha acquistato una connotazione prettamente negativa. Viene infatti attribuito: a) ad azioni chiaramente dettate dallo scopo di mantenere il potere o di rafforzare il proprio schieramento politico; b) alla consuetudine di evitare il confronto parlamentare e ricorrere a compromessi,clientelismi e sotterfugi politici, senza tenere conto dell'apparente incoerenzaideologica di certi connubi o consociazioni[1]. Conseguenze negative in tal senso sono: la mancanza di scelta tra schieramenti che rappresentano interessi diversi e contrapposti; l'allontanamento del sistema politico dall'interesse collettivo (poiché il sistema politico obbedisce a logiche interne di proprio interesse, con spregio dellaresponsabilità verso gli elettori) e, in ultimo ma non per ultimo, la dimostrazione di scarsamoralità da parte dei parlamentari agli occhi dei cittadini elettori.
Il trasformismo trova un antecedente storico, anche se non nelle forme più propriamente note, durante larivoluzione francese nel gruppo dellaPianura (Plaine infrancese), cioè il centro moderato dellaConvenzione del quadriennio1792-1795. LaPalude, come veniva chiamata in modo spregiativo, nacque dalle elezioni del 1792 che ridisegnarono la geografia politica della nuova assemblea. Essa appariva come il polo più numeroso, ma più eterogeneo e fluido rispetto allasinistra montagnarda e al gruppobrissottiano (girondini). Le due ali estreme, tuttavia, non potevano prescindere dall'appoggio dei moderati dellaPalude, e in effetti fu solo grazie a essa che la sinistra poté trionfare sui girondini nel 1793, portando all'istituzionegiacobina delComitato di salute pubblica e alla stagione delTerrore. LaPalude risultò poi la reale vincitrice degli eventi perigliosi di tale intervallo con la presa del potere deiTermidoriani (1794) a seguito della morte diRobespierre. In questo periodo si era mostrata, a tutti gli effetti, l'ago degli equilibri, eliminando dapprima la destra brissottiana, appoggiando poi la sinistra montagnarda, ma sempre esercitando una ferma influenza sulla parte politica che aveva il controllo dell'assemblea, tanto all'epoca della Convenzione, quanto poi della svolta costituzionale del 1795 (Direttorio).
Famosi trasformisti o camaleontisti, che a volte finirono perfino a sostenere laseconda restaurazione, furonoTalleyrand,Fouché,Tallien,Stanislas Fréron,Jacques-Louis David,Barras,Sieyès,Bertrand Barère (uno dei maggiori artefici delle leggi delregime del Terrore),Cambacérès (Console conNapoleone) eLazare Carnot.
Nel XIX secolo anche i poeti, scrittori e politiciChateaubriand,Lamartine eVictor Hugo cambiarono diversi schieramenti durante la loro attività parlamentare.
(Agostino Depretis, discorso tenuto aStradella, 8 ottobre1882[3])
Il termine «trasformismo» si diffuse a partire dal 1882, durante ilquarto governo di Agostino Depretis. Il capo del governo, proveniente dallaSinistra liberale, auspicò che gli esponenti più progressisti dellaDestra entrassero nell'orbita della Sinistra. Venne così a crearsi un nuovo schieramento centrista moderatamente riformatore, che frenava l'azione dell'Estrema sinistra.
Alla base del fenomeno politico del trasformismo c'era una vera e propria tradizione italiana, manifestatasi inizialmente nel1852 grazie all'alleanza parlamentare dell'ala più progressista dalla maggioranza cavouriana con la componente più moderata della Sinistra; tale accordo prese il nome diConnubio e fu organizzato dall'azione mediatrice di Cavour con lo scopo di potere trovare una più ampia maggioranza che fosse poi in grado di attuare sostanziali riforme del paese.[4] Similmente, anche nellecamere subalpina eitaliana vi erano state sensibili manovre parlamentari.[4]
Il Connubio ebbe però connotati diversi rispetto al trasformismo diDepretis: non fu infatti caratterizzato dall'inclusione nello schieramento moderato di singoli parlamentari della parte politica avversa, bensì un'alleanza più o meno trasversale che non si risolse mai nell'assimilare completamente l'opposizione. Inoltre, il Connubio ebbe la particolarità di creare coesione fra singoli gruppi all'interno del paese e di alcune élite.[5] Parallelamente al trasformismo però, il Connubio spostò l'asse politico verso l'area centrale e moderata, eliminando gli scontri con le ali estreme e la loro incisività nello scontro politico.[5]
Tra il1861 e il1876 il governo dell'Italia unitaria fu guidato dallaDestra storica. Durante questo lasso di tempo gli eredi politici di Cavour incentrarono la propria azione politica sul risanamento del bilancio economico (attraverso l'aumento della pressione fiscale e il corretto controllo della riscossione delle tasse), causando però un progressivo scollamento della politica dalla dimensione sociale; ciò permise all'opposizione - la Sinistra storica - di cavalcare l'onda del dissenso, soprattutto riguardo a provvedimenti altamente impopolari come per esempio l'imposta sul macinato. Inoltre la Destra non fu capace di risolvere completamente i problemi delMezzogiorno. Gli unici provvedimenti adottati furono le alienazioni delle proprietà e la ricostituzione di un ceto borghese digrandi proprietari terrieri, incapace però di ridare slancio produttivo ed economico all'Italia meridionale; parallelamente la Destra non colse l'occasione di includere nel proprio progetto politico elementi di spicco della società civile meridionale,in primis le personalità legate al passato regimeborbonico.[4] Alle elezioni politiche del1876 la Destra fu sconfitta, consegnando per la prima volta il governo del Paese alla Sinistra.
Secondo l'analisi di Benedetto Croce le condizioni che resero possibile il manifestarsi del trasformismo inItalia sono da rintracciare non soltanto nella debolezza strutturale che aveva portato la Destra storica al tracollo elettorale[6], bensì nella composizione del ceto parlamentare, che non rappresentava le classi sociali esistenti nel Paese, essendo composto unicamente dalla grande borghesia e dal notabilato. Non era possibile distinguere nitidamente la Sinistra dalla Destra; i due schieramenti maggiori non corrispondevano alla comune distinzione fra "Progressisti" e "Conservatori". Per Croce le differenze maggiori erano evidenti soltanto in merito a questioni particolari, generalmente in relazione con la posizione politica del singolo parlamentare, e non del raggruppamento di cui faceva parte.[7]
Il 25 marzo1876 si insediò il primo governo dellaSinistra storica, formato da Agostino Depretis. Il governo nacque debole, essendo composto da esponenti provenienti unicamente dalle forze di Sinistra. Il nuovo presidente del Consiglio diede una dimostrazione della propria abilità politica riuscendo ad acquisire l'appoggio di alcuni elementi di Destra, cui promise la cancellazione del progetto di nazionalizzazione delleferrovie, argomento che aveva creato polemiche interne allo schieramento moderato. Tale provvedimento tuttavia spaccò al suo interno il raggruppamento di Sinistra. La conseguenza obbligata furono le elezioni, indette per il 5 novembre1876, che confermarono Depretis comeleader della maggioranza.[8] Alla formazione del nuovo governo contribuì l'ingresso di organi e clientele di potere nello schieramento di Sinistra, come per esempio le grandi industrie e, all'estremo opposto, ilreVittorio Emanuele II, che si augurava di potere ampliare la spesa pubblica per l'esercito. Depretis aprì un lungo ciclo che durò fino al luglio 1887, interrotto solo da due brevi governi diBenedetto Cairoli (marzo-dicembre 1878 e luglio 1879 - maggio 1881).
In opposizione al modello politico della Destra storica la Sinistra diDepretis riuscì a organizzare le proprie politiche in modo tale da includere al proprio interno il dissenso popolare nei confronti dell'operato della Destra, le nostalgie borboniche dell'elettorato del sud e le diverse componenti dei ceti più produttivi del paese.[4]
Agostino Depretis, ex membro dellaGiovine Italia emassone, aveva frequentato numerosi protagonisti delle lotte risorgimentali. Per il loro carattere rivoluzionario e anti-sistemico gli elementi più estremi erano sempre rimasti fuori dal Parlamento. Uno degli scopi che si prefisse il primo ministro fu quello di integrare tali protagonisti nell'arena parlamentare. L'azione riuscì pienamente, anche perché a quell'epoca i membri del Parlamento appartenevano in larga maggioranza al medesimo ceto sociale, ovvero a quello borghese.
La politica del Depretis si sforzò di includere nelle proprie schiere elementi quanto più vicini alla propria politica sotto il profilo del moderatismo, a prescindere dall'appartenenza o meno a uno schieramento alleato oppure d'opposizione.[5] Le esigenze politiche di Depretis si conciliarono con il desiderio di una parte della Destra Storica di tornare a coprire incarichi di potere.[9] Esemplare fu in questo senso il progressivo distaccarsi dalla Destra storica di esponenti politici che cercavano posizioni di prestigio nel governo, come per esempioCesare Correnti, che collaborò a lungo con Depretis[10], oppureMarco Minghetti, cavouriano che nel1883 si allineò con la maggioranza,[9].Esistono vari riscontri di questa pratica nella letteratura dell'epoca.Federico De Roberto, per esempio, nel suo romanzoL'Imperio esordisce con la descrizione di una seduta storica, certamente la più nota e drammatica dellaXV legislatura del Regno d'Italia: quella del 19 maggio 1883 in cui Depretis (nel romanzo, Milesio) ottiene un clamoroso voto di fiducia grazie a Minghetti (nel romanzo, Griglia) e alla Destra.[11]
Nel periodo dal 1876 al 1881 Depretis ampliò la sua base elettorale attraverso la realizzazione di una vera e propriariforma elettorale.[4] Tale allargamento era funzionale alla creazione di nuove maggioranze in Parlamento; esso fu dettato dalla necessità di allargare e conciliare maggioranze parlamentari via via più esigue.
L'inclusione degli esponenti più radicali già protagonisti delle lotte risorgimentali nell'alveo parlamentare e l'allargamento della base elettorale furono i cardini della politica trasformista di Depretis.
Agostino Depretis morì in carica, il 29 luglio1887.
Il successore di Depretis fuFrancesco Crispi, anch'egli esponente della Sinistra storica, giàPresidente della Camera nel1876. Fino al1886 Crispi appartenne a un gruppo di esponenti di Sinistra che si oppose a Depretis. Ma quando Depretis, qualche mese prima della morte, gli propose la carica diMinistro dell'interno nel suoottavo governo, Crispi accettò. Egli effettuò un cambio di schieramento politico, passando direttamente dallaPentarchia[12] alla collaborazione con l'ex avversario.
Similmente a quanto fu messo in atto dal suo predecessore, Crispi proseguì quella che era diventata oramai una prassi all'interno delParlamento.[7] Rappresentante della nuovaborghesia italiana, Crispi si dimostrò ampiamente trasformista, riuscendo a conciliare di volta in volta gli interessi delle clientele più influenti all'interno del parlamento. La fusione delle diverse esigenze utilitaristiche avvenne nel primo anno di governo, quando nel 1887 fu approvata una particolare tariffa, la quale innalzò idazi protettivi applicati ad alcuni prodotti importati e a gran parte delle merci che l'industria nazionale poteva produrre autonomamente. Attraverso l'introduzione di questa nuova impostaprotezionista, Francesco Crispi riuscì ad allineare assieme gli interessi delle anticheoligarchieagricole d'originerisorgimentale, lesocietà industriali protezioniste e i proprietari terrieri più conservatori. Il processo d'unificazione attuato attraverso la politica protezionista del Crispi mise in correlazione le clientele a livello locale e i gruppi di potere regionali, che si saldarono definitivamente con gli interessi generali a livello nazionale.[13]
Episodio paradigmatico della commistione trasformista tra il mondo degli affari e la maggioranza parlamentare di Crispi fu la nomina di ben ottantaquattro nuovi senatori, avvenuta durante il periodo di crisi finanziaria e di scandali bancari che fece ombra alla parte finale dei nove anni di predominanza crispina. La gran parte dei nominati apparteneva allanobiltà, e fra questi spiccavano tre grandi industriali dell'epoca (Vincenzo Breda,Pietro Bastogi eLuigi Orlando).[14] L'esperienza politica del governo di Francesco Crispi evidenziò inoltre una nettadicotomia - assimilabile anch'essa al trasformismo - oscillando di volta in volta fra l'anticlericalismo e la riconciliazione traStato eChiesa, tra ilpacifismo e l'interventismoimperialista, tra illiberalismo e l'autoritarismo.[7]
Il fenomeno del trasformismo, iniziato con Depretis e proseguito con Crispi, fu foriero di una serie di manifestazioni di immoralità eclientelismo fra i parlamentari, le quali culminarono più d'una volta in scandali e processi che impressionarono l'opinione pubblica e alimentarono il discredito popolare nei confronti delleistituzioni.È d'esempio la vicenda che vide coinvolto il deputato Filippo Cavallini, che sfruttò il mandato parlamentare per allacciare strette relazioni con numerosi colleghi, a prescindere dalle distanze politiche che lo dividevano da costoro; Cavallini fece da tramite fra i gruppi di potere della finanza, dell'industria e della politica procurando denaro, senza tuttavia riaverlo indietro, a imprese e personalità pubbliche. Quando le sue vicende divennero note al pubblico a causa del fallimento di unistituto di credito diComo, a Cavallini furono attribuiti dei legami diretti con lo stesso Francesco Crispi, accusato tra l'altro di essere il responsabile della reiterata impunità del deputato.[15]
In questo contesto si inserì la prima, nonché breve, esperienza al governo del liberaleGiovanni Giolitti, che costituì un governo di Destra il 15 maggio1892 dopo la prima, grande crisi del governo Crispi. Nonostante il cambio di maggioranza, la pratica del trasformismo proseguì, senza soluzione di continuità con la precedente maggioranza di Sinistra. Ne furono testimonianza evidente l'ormai consolidata pratica della cooptazione di personalità influenti a livello economico, come per esempio la nomina aSenatore del Regno diBernardo Tanlongo, governatore dellaBanca Romana che già era stato coinvolto in alcuni episodi di corruzione di uomini politici[16] e che fu poi consigliere finanziario di numerosi Presidenti del Consiglio ecardinali.[13]Il 15 dicembre1893 ilgoverno Giolitti I cadde a causa dell'emergere del suo coinvolgimento nelloscandalo della Banca Romana; il crollo dell'istituto evidenziò in modo inequivocabile la prassi consolidata, fra politica e mondo della finanza, fatta di relazioni di mutuo interesse trasversali rispetto agli schieramenti politici.[17]
Giolitti fu di nuovo capo del governo nel1903, rimanendo al vertice dell'esecutivo quasi ininterrottamente fino al marzo1914. Durante questo periodo fu ildominus della politica italiana. La sua azione politica fu volta a smussare le divergenze fra l'alaconservatrice e quella fortementeprogressista.[18] In un periodo, i primi anni del Novecento, caratterizzato da forti turbolenze sociali, con gliscioperi dei lavoratori salariati e le mobilitazioni di piazza, accompagnate dalla pressante richiesta di riforme quanto piùdemocratiche, Giolitti tentò di incanalare queste forze centrifughe in una forma di governo aperta alle loro istanze; ciò si espresse in una politica parzialmente innovatrice di continuo compromesso fra le differenti correnti politiche presenti in parlamento. Essa trovò inizialmente l'opposizione tanto delle frange più conservatrici quanto di quelle di Sinistra, mentre ricevette l'appoggio degli esponentiriformisti.[19]
L'azione di Giolitti mirava a integrare politiche conservatrici nell'ambito delle politiche di Sinistra, in modo tale da frenare le spinte centrifughe di socialisti, repubblicani (all'epoca collocati a sinistra) eradicali. Il tentativo di convergenza fra forze relativamente divergenti fu intrapreso dapprima cercando un'intesa con l'ala riformista del movimento socialista: nell'ottobre del1903 Giolitti cercò d'integrare nel proprioministero il socialistaFilippo Turati, che tuttavia non partecipò al governo giolittiano e restò all'opposizione;[20] analogamente, il medesimo tentativo fu effettuato nel1911 conLeonida Bissolati, che a sua volta rifiutò l'incarico offerto.[18] Nonostante tali fallimenti il governo riuscì a portare avanti la propria attività e a mantenere una maggioranza sufficiente grazie al contributo di alcuni esponenti radicali e di gruppi parlamentari di minoranza della Sinistra - vicini ai socialisti - disposti a offrire il proprio appoggio al governo.[20] Altra manovra del Giolitti fu quella di concedere ilsuffragio universale maschile, con l'intento nuovamente di integrare i socialisti riformisti nell'opera di governo - cosa che in parte riuscì grazie all'ottenimento dell'appoggio del P.S.I. in vista della ripresa del progettocoloniale inLibia.
Giolitti adottò provvedimenti volti all'aumento della base elettorale. L'azione di Giolitti apparve speculare a quella condotta a suo tempo da Depretis. Per Giolitti il fine era intercettare i voti dei cattolici (che, a causa delNon expedit diPio IX si astenevano in tutte le consultazioni elettorali) e convogliarli verso gli esponenti della Destra. A questo scopo impresse al suo governo una linea di non ostilità con la Santa Sede. I suoi sforzi furono coronati da successo: le elezioni del1904 videro per la prima volta una partecipazione massiccia dei cattolici.[21]
La partecipazione alle elezioni dei cattolici e il loro appoggio ai liberali fu confermata e accresciuta in occasione delle elezioni del 1909. In vista delle elezioni del1913 Giovanni Giolitti consentì a esponenti liberali di stringere un accordo elettorale con l'associazione che riuniva i cattolici impegnati in politica, guidata dalconteVincenzo Ottorino Gentiloni (che prese il nome di «Patto Gentiloni»). In base al Patto, che ottenne il benestare della Chiesa, furono selezionati dei candidati liberali graditi alla base cattolica.[22] Alle elezioni i cattolici indirizzarono i loro voti su di essi.
Come scrisseBenedetto Croce la politica giolittiana ebbe un chiaro carattere trasformista, anche se tale giudizio è totalmente privo di qualsiasi connotazione negativa; infatti per ilfilosofoidealista nel periodo storico nel quale Giolitti fu al governo si ebbe un progressivo attenuarsi dell'antitesi fra conservatori e rivoluzionari e di conseguenza l'unificarsi delle due tendenze, ovviamente libere da qualsiasi spinta estremista. In breve, Croce riconosce al metodo politico giolittiano la capacità d'avere conservato il potere dello Stato e la stabilità sociale pur compiendo un'azione riformista circa i nuovi bisogni della nazione.[18] Più negativo è invece il giudizio diGaetano Salvemini. Tralasciando le critiche alla politica di Giolitti nei confronti delmeridione d'Italia, è da sottolineare come, per lostorico epoliticomeridionalista, il senso del trasformismo giolittiano fu il volere perseguire attraverso i politici democratici, repubblicani e riformisti, un'azione di governo prettamente conservatrice; per Salvemini tale programma si attuò convincendo singoli parlamentari attraverso lusinghe individuali (nomine senatorie), oppure politiche, attuando riforme che, stando al giudizio di Salvemini, accontentavano le pretese politiche dell'ala riformista senza danneggiare direttamente le basi dello Stato (riforma del suffragio, leggi sociali).[23]
Lo stessoGabriele D'Annunzio, antigiolittiano, fu eletto a destra per passare immediatamente all'estrema sinistra dichiarando "vado verso la vita".
Benito Mussolini fu un noto trasformista, in gioventù fuanarchico, poisocialista emarxista; nel 1914 in pochi mesi passò dall'esseresocialistamassimalista,internazionalista,antimilitarista eneutralista, ad un acceso interventismo enazionalismo socialisteggiante, fino alla fondazione delfascismo. Diversi esponenti del fascismo, anche di primo piano, ne divennero a loro volta oppositori, mutando rapidamente campo: ad esempioDino Grandi,Pietro Badoglio,Curzio Malaparte.
Già da tempo la vita politica italiana ha vissuto fenomeni di trasformismo, come per esempio lo slittamento al centro delPartito Socialista Italiano, avvenuto molto tempo prima della crisi del1992. Sul finire dellaPrima Repubblica, la trasformazione politica dei partiti è culminata con la progressiva perdita delle classiche discriminanti fra laDemocrazia Cristiana e ilPartito Comunista Italiano, venute meno in virtù degli sconvolgimenti politici nazionali, come la vicenda diMani pulite, e internazionali, come lacaduta del muro di Berlino; il primo e più rapido a trasformarsi è il PCI, che il 3 febbraio1991 si scioglie, riaggregandosi nel nuovoPartito Democratico della Sinistra, passando dall'ideologiacomunista alsocialismo democratico e allasocialdemocrazia. Allo stesso modo degli ex-PCI, personalità eminenti dei partiti laici comeGiorgio La Malfa eMariotto Segni costituiscono una piccola coalizione denominataAlleanza Democratica. La dialettica politica scade, perdendo di pregnanza ideologica: le posizioni politiche divengono sempre più trasversali, le alleanze si fondano e si sciolgono facilmente, le coalizioni politiche si rivelano fragili, sempre soggette al ricatto di singoli individui politici - o talvolta di gruppi più numerosi.[24]
NellaSeconda Repubblica il trasformismo è rimasto la costante più radicata nella politica italiana, accentuando tuttavia le proprie caratteristiche in una evoluzione su più larga scala, capace di stravolgere non più un solopartito o un'interaclasse sociale, bensì il sistema politico nella sua interezza. Secondo lo storicobritannicoPerry Anderson, la classe politica italiana, alla luce delloscandalo di Tangentopoli, non è stata in grado di rinnovarsi con il passaggio dallaPrima Repubblica alla Seconda, non è riuscita a invertire la tendenza alla corruttela e al malcostume politico, trasformando sé stessa e i suoi propositi d'evoluzione nella propria nemesi.[25]
Nel1993, circa un anno prima delleelezioni politiche del 1994 che segnarono la fine della Prima Repubblica, in un suo articolo pubblicato sulle pagine delCorriere della Sera ilgiornalistaErnesto Galli della Loggia ha definito la stessa nascita della Seconda Repubblica, sviluppatasi sulle ceneri della Prima, come una sorta dirivoluzione passiva (concetto teorizzato daGramsci e che comprende fra i suoi fattori di sviluppo la presenza di fenomeni trasformistici nello scenario politico) poiché sviluppatasi con chiari connotati trasformistici: il vecchio e il nuovo, i "vincitori" e i "vinti" della politica italiana si sono ben mescolati durante il ricambio politico tra la Prima e la Seconda Repubblica, garantendo continuità al sistema stesso.[26]
Benché spesso deprecato nel caso di politici in carica, specie dai partiticomunisti epopulisti, esso non è vietato poiché secondo laCostituzione della Repubblica Italiana, di ispirazioneliberaldemocratica[27], il parlamentare non deve rendere conto al partito che lo ha candidato o all'elettore che lo ha votato, ma a tutta la Nazione, in piena coscienza (è invece reato di corruzione il trasformismo attuato in cambio di denaro).
(Articolo 67)
Tra i politici italiani più trasformisti dell'epoca moderna, un nome degno di nota è senza dubbio quello diClemente Mastella, il quale, dal suo ingresso in politica neglianni settanta, pur rimanendo sempre schierato ideologicamente su posizionicentriste, ha militato in numerosi partiti ed ha sostenuto più volte sia le coalizioni dicentro-destra che quelle dicentro-sinistra. Alcuni politici, oltre ad ammettere il proprio trasformismo, lo hanno di fatto reso un loro tratto caratteristico. Uno di essi èVittorio Sgarbi, che si è definito «il più grande trasformista d'Italia» e negli anni ha preso parte a più di dieci movimenti, alcuni anche opposti ideologicamente (dalPLI, all'MSI, allaDC, alPCI ecc.), ed è passato anche da opinioni cattoliche ad anti-clericali e viceversa in maniera repentina.
Il manifestarsi del trasformismo in ambito prettamente politico coincide, generalmente, con lo svuotarsi di significato dello scontro politico e delle stesse istanze ideologiche alla base dei diversi movimenti politici.[9]Per esempio, con il costituirsi delgoverno Depretis I, da più parti si profilava il timore dell'arrivo al potere di un gruppo dirigente altamente pericoloso, poiché avverso alle dinamiche politiche dei suoi predecessori -Cavour in primis. Invece, grazie alla cooptazione di clientele e gruppi dominanti, grazie all'inserimento degli elementi più estremi nelle strutture governative, grazie all'assorbimento di elementi moderati delle altre parti politiche, le stesse radici democratiche e repubblicane alla base del pensiero politico della Sinistra vennero meno, diventando sovrastrutture retoriche prive di un corrispettivo nell'azione di governo, che invece si spostava sempre più su posizioni centriste, moderate e conservatrici.[9]
Nonostante alcune azioni riformatrici dellaSinistra come per esempio l'allargamento delsuffragio e lariforma dell'istruzione, di fatto il trasformismo di Depretis immobilizzò lo scontro politico italiano e lo scambio dialettico divenne sempre più una sorta di scambio di favori e clientele fra le diverse parti del Grande Centro. Fulcro di questi scambi era sempre il capo del governo, che provvedeva a mediare e armonizzare le parti, a scapito di una più chiara e trasparente vita politica.[9]
Diversa è l'analisi storico-politica che ne fa Benedetto Croce, il quale ritiene fisiologico il trasformismo per l'evoluzione delparlamentarismo moderno; considerando la mancanza di schieramenti politici o propriamenteriformatori o propriamenteconservatori, per lo storico l'avvicinarsi di alcuni membri della Destra attorno al polo di Sinistra fu il sintomo evidente che il processo parlamentare italiano si stava sviluppando correttamente.[7]Inoltre Croce si discosta dal giudizio negativo che molti storici hanno formulato in merito al trasformismo di Depretis, puntualizzando come l'opera di avvicinare alcuni membri dello schieramento opposto non fosse affatto un'azione politica moralmente deplorevole, bensì una dimostrazione di pragmatismo: attraverso la pratica deltrasformarsi, fu possibile trovare convergenze comuni in merito a delle singole questioni che difficilmente potevano essere contestualizzate nei programmi propriamente di Destra o di Sinistra.[7]
Antonio Gramsci inserisce invece il concetto di trasformismo nella più ampia e vasta analisi dellarivoluzione passiva, ovvero quel fenomeno, teorizzato dallo stesso filosofomarxista, secondo cui gli sconvolgimenti politici, sociali, culturali e storici avvengono senza il coinvolgimento delle grandi masse popolari, e che a suo giudizio si era manifestato fin dall'Unità d'Italia; il trasformismo viene associato alCesarismo come mezzo attraverso il quale si effettua la Rivoluzione passiva, poiché consente di assimilare in un grande partito i potenziali leader delle classi subalterne. Per analogia, secondo Gramsci il trasformismo riesce a impedire lo sviluppo di idee potenzialmente pericolose per il sistema politico, evitando la formazione di un'opposizione organica - specialmente da parte del proletariato, delle classi meno abbienti - in grado di inserirsi nella lotta politica.[28]
Il trasformismo, iniziato con Depretis, continuò con i governi diGiovanni Giolitti, assumendo sempre più una connotazione negativa, in quanto strettamente legato a fenomeni dicorruzione, degradomorale e scarso coinvolgimento dell'opinione pubblica nella vita politica del Paese; quest'ultima connotazione coincide con la progressiva eliminazione del modellobipartitico in luogo del trasformismo, che tende a rendere la politica eccessivamente omogenea.
Si può ritenere dunque che il trasformismo sia sempre stato una costante della storia della democrazia italiana, che neglianni 1980 ha preso la configurazione diconsociativismo.
Il ritorno a un modello bipolare e tendenzialmente bipartitico nella Seconda Repubblica non ha tuttavia posto fine alle pratiche trasformistiche, che sono facilitate dall'assenza di contrapposizioni ideologiche e divergenze di programma politico, che fanno sembrare un cambio di appartenenza politica meno incoerente e più accettabile dal punto di vista etico.
Un aspetto caratteristico delle pratiche trasformistiche è la personalizzazione dello scontro politico, per la quale un cambio di partito più che essere dovuto a nuove idee e convinzioni personali, è giustificabile come una rivalità personale con illeader del partito di appartenenza, oppure è visto come un tradimento di questi.
Il trasformismo è favorito dalle Costituzioni moderne che conferiscono piena libertà morale ai parlamentari eletti, i quali hanno un patto di fiducia politica con l'elettorato, scevro di diritti e doveri, nessun mandato imperativo verso il proprio collegio elettorale. Hanno un obbligo puramente morale, non giuridico, e una volta eletti hanno piena indipendenza di opinioni e di condotta e, dal punto di vista della legge, non rappresentano altro che sé stessi.
Altri progetti