Di Polverara si parla per la prima volta in un documento risalente al 1130 in cui ilvescovo di Padova,Bellino, conferma il possesso della chiesa di San Fidenzio alla cattedrale di Padova. La leggenda narra che la chiesa fu fatta erigere nel luogo esatto in cui fu ritrovato il corpo di san Fidenzio, indicato dal vescovo Bellino dopo una visione.
La presenza di ben tre Monasteri (S. Margherita, S. Maria e S. Agnese) sin dall'anno mille testimonia l'importanza del monachesimo nelle immediate vicinanze del Padovano.
Nel 1276 Polverara diventò podestaria. Da questo periodo in poi iniziarono le guerre, le devastazioni e i danni derivanti dal "pensionatico" cioè dalla pratica del pascolo libero, anche all'interno delle proprietà private, dei greggi dei pastori vicini.
Il territorio, complice anche la vicinanza con molti fiumi, fu spesso oggetto di inondazioni e di tempeste anche in epoca più recente, come la disastrosa inondazione del 1968, che colpì, in particolare, Via Riviera.
Antica strada romana che partiva daAdria per arrivare adAquileia passando perPadova.
Da studi effettuati sul territorio, questa antica arteria costruita dagli imperatori romani passava per il comune di Polverara seguendo una direttrice che corrisponde alle attuali via Trieste e via Punta.
L'unica testimonianza ancora esistente della presenza dei tre monasteri è la torre o "colombara" del monastero olivetano; costruzione leggermente staccata dal corpo del monastero che comprendeva 52 stanze disposte su due piani, una chiesa e un terreno recintato, in parte coltivato dai monaci e in parte dai contadini locali. Fino all'epocarinascimentale questo convento rivestì un ruolo di primaria importanza nell'Italia centro settentrionale perché collegato con monaci e abati dello stesso ordine che risiedevano inToscana. La torre venne usata come postazione di avvistamento e di difesa, in un periodo in cui erano frequenti le incursioni barbariche, sfruttando la sua vicinanza al fiume che era usato come via di comunicazione per il commercio e gli spostamenti degli uomini. Intorno al 1770 laSerenissima soppresse sia il monastero che la chiesa che nell'anno successivo vennero acquistati dal nobile venezianoAndrea Quercini del Zanne.La torre colombara di Polverara rappresenta per il territorio un importante patrimonio edilizio rurale-religioso, testimone del fervido momento storico in cui l'ansa del Bacchiglione su cui sorge era abitata e vissuta dai monaci della congregazione benedettina di Monte Oliveto e con essi dall'intera comunità laica. La torre è l'unica testimonianza rimasta dell'antico monastero di Santa Maria della Riviera e rappresenta un'eredità preziosa da salvaguardare e tutelare ricca di immagini semplici il cui studio ha suscitato curiosità e meraviglia per la scoperta dei significati contadino-religiosi che dietro di esse si nascondono.La torre colombara è situata lungo l'argine sinistro del fiume Bacchiglione, al margine sud-ovest del territorio del comune di Polverara, censita nel Catasto Terreni al foglio n. 9, mappale 258.Il monastero di Santa Maria delle Riviera è il primo insediamento nel nord Italia della congregazione benedettina di Monte Oliveto già presente in Toscana, Lazio ed Umbria; un documento datato 19 marzo 1230 ne attesta l'esistenza in località Riviera di PolveraraI documenti storici hanno consentito di riprodurre il monastero in una visione tridimensionale attendibile e sufficientemente coerente con i dati raccolti. Complessivamente c'erano quattro cortili: il primo, lungo e stretto, fungeva da sagrato vero e proprio sul quale si affacciava la chiesa del monastero; il secondo il classico chiostro, più protetto e inaccessibile dai forestieri, di forma pressoché quadrata, con colonnato tutto attorno per distribuire gli ambienti e le stanze dove i religiosi vivevano; il terzo e quarto invece più grandi e aperti, dove molto probabilmente si sviluppava l'attività quotidiana “contadina” dei monaci negli orti. In uno di questi ultimi due cortili, in mezzo ad esso, sorgeva la torre colombara. Il campanile e la chiesa erano le costruzioni più alte dell'intero insediamento.La torre è invece circondata da baracche ad un piano dove l'attuale proprietario svolge quotidianamente la sua attività di fabbro.La torre colombara consiste in un fabbricato a base quadrata, lato 6 metri, che si sviluppa per tre piani fuori terra raggiungendo un'altezza massima al colmo della copertura di circa 13 m. I materiali e le tecnologie costruttive sono quelle tipiche rurali dell'epoca: il laterizio per le murature, il legno per gli orizzontamenti e la pietra per le finiture.Il piano terra consiste in un volume aperto chiuso ai lati da quattro arcate impostate su quattro pilastri d'angolo di lato 125 cm. Il volume è chiuso in sommità da una volta a crociera. L'altezza massima libera nel punto centrale del piano terra è di 4,40 m. Il manufatto è impreziosito da alcuni dettagli costruttivi di pregio quali i marcapiani, il cornicione superiore, la volta a botte sulla scala del piano terra, la volta a crociera dipinta in sommità alla scala stessa, l'orologio in pietra sul lato nord della torre (rivolto verso il monastero). La presenza dell'orologio in facciata, di tipo meccanico, ha permesso di spiegare le tracce visibili di vecchi fori presenti sul 1º e 2º solaio, nonché la singolare disposizione della struttura portante del 2º solaio. L'orologio meccanico era una macchina ingombrante funzionante con pesi, argani, ruote dentate, congegni che richiedeva per il suo corretto funzionamento una certa altezza libera. Forse l'orologio non è stato realizzato nello stesso periodo della torre ma quasi sicuramente la torre è stata costruita per l'inserimento dell'orologio. La lettura dei caratteri costruttivi della torre, con un piano terra molto nobile, ne smentiscono un uso originale come colombara, sicuramente serviva per la sicurezza come torre di avvistamento.L'intenzione dell'amministrazione pubblica prevede il ritorno della torre allo stato originario, come torre campanaria, con la ricostruzione dell'orologio meccanico e i suoi congegni. Questa ambiziosa volontà si inserisce nel quadro progettuale più generale di rendere più accessibile e vivibile da parte di tutti l'argine sinistro del Bacchiglione attraverso la realizzazione di una pista ciclabile dalla passerella pedonabile-ciclabile in acciaio di Roncajette fino al Santuario di San Lorenzo a Bovolenta.
Monumento nazionale, l'attuale chiesa parrocchiale costruita sul luogo ove sorgeva la prima struttura, edificata nelX secolo, sorta per raccogliere i resti mortali disan Fidenzio, terzovescovo di Padova nel 166. Ampliata e ristrutturata tra il1235 e il1245 instile romanico che mantenne fino alla fine delXIX secolo quando, per soddisfare il numero crescente di parrocchiani ne venne deciso l'ampliamento che la portò allo stato attuale. Attualmente il parroco di Polverara è don Daniele Hudorovich.[6]
A Polverara ha sede il Tempio Vien Y, gestito dall'AssociazioneBuddhistiVietnamiti in Italia sotto la responsabilità del venerabile Thic Nhu Dien.Il tempio è di tradizioneMahayanaamidista che, pur essendo diffusissima inAsia orientale, inEuropa è tra le tradizioni buddhiste meno conosciute.Il tempio Vien Y è affiliato al tempio Viên Giác diHannover inGermania che ha una sede anche aBodhgaya inIndia. Saltuariamente si tengono anche meditazioni secondo la tradizionesoncoreana.
L'unica frazione di Polverara è Isola dell'Abbà, un piccolo borgo di fronte aRoncajette lungo la riva sinistra del canale omonimo. La denominazione di "Isola" deriva chiaramente dal corso molto tortuoso dell'originario "Roncajette" (ne resta a testimonianza il cosiddetto "canal morto"), che in tale luogo circondava una porzione di terreno emerso. L'aggiunta poi di "Abbà" è dovuta alla donazione del Vescovo Ulderico, nel 30 marzo 1076, di quella porzione di Legnaro all'Abate del Monastero diSanta Giustina in Padova.
Documenti riportano l'esistenza di una chiesa in Isola dell'Abbà all'inizio del XIII secolo, e certo fu fabbricata dalMonastero di Santa Giustina di Padova; fu ampliata dal parroco don Bartolomeo Moro tra gli anni 1828-1840 (prolungamento del coro e innalzamento del medesimo e della navata), che la rese artisticamente ed esteticamente pregiata. La chiesa fu consacrata dal vescovoModesto Farina il 23 agosto 1840.
In questa chiesa vi sono tre altari; quello titolato a Leonardo fu consacrato insieme alla chiesa e contiene le reliquie dei santi martiriGrisogono eGerione (la mensa era già nella vecchia chiesa, gli angeli provengono dallaChiesa degli Eremitani di Padova, il tabernacolo dalla chiesa di Tribuno, l'altare della SS. Concezione dalla chiesa arcipretale diPiove di Sacco; possiede due colonne di marmo greco, la statua che sta nel mezzo è opera deiBonazza, intagliatori e scalpellini di Padova). L'altare delle Vergini e Martiri Lucia, Agata, Apollonia, Marta e Giustina apparteneva alla soppressa chiesa di San Francesco di Piove di Sacco. L'elegante pulpito di stile barocco proviene dal refettorio del monastero di Santa Giustina a Padova. Nel 1907 il sacerdote donDemetrio Alpago dipinse nel coro laTrasfigurazione del Signore e dei quattro evangelisti. La costruzione del campanile appare datata al 1572; vi sono attualmente tre campane.
Il palazzo adiacente, una volta deiRezzonico di Venezia, fu nel XIX secolo proprietà del professore di diritto Internazionale e Canonico nell'Università di PadovaGiambattista Pertile di Asiago; nel giardino di tale palazzo fu collocata nel XVIII secolo la statua in pietra dura della madonna col bambino, alta più di un metro e mezzo, che si trova nell'angolo del canale Roncajette. Nel piedistallo porta lo stemma dei Rezzonico, segno evidente che fu eretta dalla famiglia patrizia veneta che diede alla Chiesa il ponteficeClemente XIII (1758-1769).La presenza di ordini religiosi, in particolare monastici, è sempre stata forte in quest'area, come testimoniato da numerosi documenti e dalla corte Benedettina diLegnaro.
Restano i pochi segni di un mulino sulBacchiglione, quasi di fronte alla chiesa di Isola, sotto al ponte pedonale di ferro, ponte che fu comprato il secolo scorso dal Comune di Polverara e spostato più a monte, per permettere una più agevole comunicazione tra le parrocchie di Isola e di Roncajette.
L'allevamento è radicato nelle tradizioni economiche del territorio tanto da aver generato alcune curiosità. Racconti popolari narrano dell'esistenza di una razza digalli dal piumaggio di colorenero intenso e di grandi dimensioni rispetto alla norma. La razza era nota già nelXVII secolo in quanto ne fa menzione ilpoetamodeneseAlessandro Tassoni nella sua opera più nota,La secchia rapita, ma già nell'Ottocento non se ne trovava più traccia imbastardita probabilmente con la più notagallina padovana.
Tuttavia a ricordo della centenaria attività la presenza di ungallo anche nello stemma comunale, con una zampa poggiata su un ramo dirovere a simboleggiare il bosco in cui fu ritrovato il corpo senza vita di San Fidenzio.[8].