(italiano) «Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta.»
(Marco Porcio Catone)
Marco Porcio Catone (in latinoMarcus Porcius Cato; nelle epigrafiM·PORCIVS·M·F·CATO;Tusculum,234 a.C. circa –Roma,149 a.C.) è stato unpolitico,generale escrittoreromano, chiamato ancheCatone il Censore (Cato Censor),Catone il Sapiente (Cato Sapiens),Catone l'Antico (Cato Priscus),Catone il Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma oCatone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal pronipoteCatone l'Uticense.
«[…] Quanto al suo aspetto, aveva capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l'autore di questo poco benevolo epigramma: Rosso, mordace, dagli occhi azzurri, Persefone non accoglie Porcio in Ade neanche da morto.[1]»
«Fisicamente era ben piantato; il suo corpo s'adattava a qualunque uso, era tanto robusto quanto sano, poiché fin da giovane si applicò al lavoro manuale - saggio metodo di vita - e partecipò a campagne militari.[1]»
Nacque nel 234 a. C. aTusculum, da un'antica famigliaplebea che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che non aveva mai avuto esponenti tra le più importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la tradizione dei suoi antenatilatini, perché divenisse agricoltore, attività alla quale egli si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Ma, avendo attirato l'attenzione diLucio Valerio Flacco, fu condotto aRoma, e divenne successivamentequestore (204),edile (199),pretore (198) econsole nel 195 percorrendo tutte le tappe delcursus honorum assieme al suo vecchio protettore; nel 184 divenne infinecensore.
Marco Porcio Catone è considerato il fondatore dellaGens Porcia.Ebbe due mogli: la prima fu Licinia, un'aristocratica dellaGens Licinia, da cui ebbe come figlioMarco Porcio Catone Liciniano; la seconda, è Salonia, figlia di un suoliberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbeMarco Porcio Catone Saloniano, nato quando il Censore aveva 80 anni.
Nel 204 a.C. prestò servizio inAfrica come questore conScipione l'Africano, ma lo abbandonò dopo un litigio a causa di presunti sperperi. Nel 195 a.C. si oppose invano all'abrogazione dellalex Oppia, emanata durante laseconda guerra punica per contenere il lusso e le spese esagerate da parte delle donne. Comandò poi inSardegna, dove per la prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica, e inSpagna, che assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la fama di trionfatore (194 a.C.).
Nel191 a.C. ricoprì il ruolo di tribuno militare nell'esercito diManio Acilio Glabrione nella guerra controAntioco III il Grande diSiria, giocò un ruolo importante nellabattaglia delle Termopili e attaccando alle spalle Antioco permise la vittoria dei romani, che segnò la fine dell'invasioneseleucide della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo sia controScipione l'Africano sia contro il fratelloScipione l'Asiatico, accusandoli di aver concesso dei favori personali al re di SiriaAntioco III e di aver dissipato il tesoro dello Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno dei più grandi scandali della Repubblica Romana, considerando che, soprattutto Scipione L'Africano, era considerato l'eroe dellaSeconda Guerra Punica.
La sua reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel momento in poi egli preferì servire lo Stato a casa, esaminando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non essendo egli personalmente coinvolto nel processo per corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco contro di loro. Persino Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere all'accusa, affermando solo: "Romani, questo è il giorno in cui io sconfissi Annibale", venendo assolto per acclamazione, trovò necessario ritirarsi, auto-esiliandosi, nella sua villa aLiternum. L'ostilità di Porcio Catone risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa e stravagante che quest'ultimo conduceva.
Al secondo tentativo, nel 184, egli fu eletto censore ed esercitò questa carica per quattro anni così bene che gli venne assegnato il soprannome di Censore (anche per il suo carattere severo, per il suo austero moralismo e per l'asprezza delle critiche rivolte da lui contro ogni indizio di corruzione delle antiche virtù romane).
Catone si oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il diffondersi della cultura ellenistica, che egli riteneva minacciasse di distruggere la sobrietà dei costumi del vero romano, sostituendo l'idea di collettività con l'esaltazione del singolo individuo. Fu nell'esercizio della carica dicensore che questa sua determinazione fu più duramente esibita e ovviamente il motivo dal quale gli derivò il suo celebre soprannome. Revisionò con inflessibile severità la lista dei senatori e degliequites, cacciando da ogni ordine coloro che riteneva indegni, sia per quanto riguarda la moralità, che per la mancanza dei requisiti economici previsti. L'espulsione diLucio Quinzio Flaminino per ingiustificata crudeltà, fu un esempio della sua rigida giustizia.
La sua lotta contro illusso fu assai serrata. Impose una pesante tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici (leggi sumptuariae). Nel181 a.C. appoggiò lalex Orchia (secondo altri egli prima si oppose alla sua introduzione, e successivamente alla sua abrogazione), la quale prescriveva un limite al numero di ospiti in un ricevimento, e nel169 a.C. lalex Voconia, uno dei provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne,nei cui confronti in realtà Catone appare quasi un nemico. Ne limitò il lusso degli abiti e dei gioielli, e si oppose al possesso da parte della donna di denaro e ricchezza, sempre in difesa dei valori morali della Repubblica.[senza fonte]Con le donne di casa, mogli, figlie o schiave, fu assai severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia; una delle cause di dissenso con gli Scipioni era proprio la libertà e il lusso che questi concedevano alle donne.
Fu assai disgustato, assieme a molti altri dei romani piùconservatori, dalla diffusione dei riti misterici deiBaccanali, che egli attribuì all'influenza negativa dei costumi greci; perciò sollecitò con veemenza l'espulsione dei filosofi greci (Carneade,Diogene lo Stoico eCritolao), che erano giunti come ambasciatori daAtene, sulla base della pericolosa influenza delle idee diffuse da costoro.
Catone provava ripugnanza per i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio diPolibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante se il Senato non avesse niente di più importante da discutere del fatto che qualche greco dovesse morire a Roma o nella sua terra. Era quasi ottantenne quando, secondo quanto dicono le fonti biografiche, ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca; anche se, dopo aver esaminato i suoi scritti, è verosimile ritenere che possa aver avuto un contatto con le opere greche per gran parte della sua vita.
Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti verso laterza guerra punica e la distruzione diCartagine. Nel157 a.C. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi eMassinissa,re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito dalle prove della prosperità dei cartaginesi a tal punto da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem delendam esse.» ("Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta."). È noto che egli ripeteva ciò alla conclusione di ogni suo discorso.
Riguardo alle altre questioni egli fece riparare gliacquedotti di Roma, pulire le fognature, impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale, ordinò la demolizione di edifici che ostruivano le vie pubbliche, e costruì la prima basilica nelForo vicino allaCuria (Livio,Ab Urbe condita, XXXIX, 44; Plutarco,Vita di Catone, 19). Aumentò inoltre la somma dovuta allo stato dai pubblicani per il diritto di riscuotere le tasse e allo stesso tempo diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici.
Dalla data della sua carica di censore (184 a.C.) alla sua morte, avvenuta nel149 a.C. sotto il consolato diManio Manilio Nepote eLucio Marcio Censorino[2], Porcio Catone non occupò nessun'altra carica pubblica, ma continuò a distinguersi inSenato come tenace oppositore ad ogni nuova influenza.
Solo dopo la sua morte si iniziò la spedizione controCartagine (149 a.C.), che lui aveva voluto.
Per Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, e la vita pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolopater come il principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di opere; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi dipendenti.
Per i Romani stessi ci fu poco nella sua condotta che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi romani. Nel notevole passo (XXXIX, 40) in cuiLivio descrive il carattere di Porcio Catone, non c'è alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.
Porcio Catone è tra le principali personalità dellaletteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e trattatista. Fu autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i quali intendeva difendere i valori tradizionali delmos maiorum contro le tendenzeellenizzanti dell'aristocrazia legata alcircolo degli Scipioni, indirizzata al figlio Marco, iLibri ad Marcum filium oPraecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto ilLiber de agri cultura, in cui esamina, soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi in età imperiale.[3] Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani anche in unCarmen de moribus, di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi frammenti.
Fin dalla giovinezza si dedicò all'attivitàoratoria: sul finire della Repubblica erano note ben 150 sue orazioni,[4] mentre attualmente sono conservati solo frammenti, di varia estensione, riconducibili a circa ottanta orazioni diverse.[5] Si distinguono tra esseorationes deliberativae, ovvero discorsi pronunciati inSenato a favore o contro una proposta di legge, eorationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.
Fu inoltre autore, in vecchiaia, della prima opera storiografica inlingua latina, leOrigines, il cui argomento era lastoria romana dalla leggendariafondazione fino alII secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di vista ideologico, si conservano scarsi frammenti.[6] Catone individua nel culmine del percorso educativo la formazione di unvir bonus, dicendi peritus (uomo di valore, esperto nel dire), espressione che sarà il cardine del successivo modello educativo romano.[7]
L'opera letteraria di Catone, in particolare quella storica e oratoria, fu elogiata daCicerone,[8] che definì il censore primo grande oratore romano e il più degno d'essere letto. Nella primaetà imperiale, nonostante l'ideologia catoniana coincidesse in buona parte con la politica restauratrice delmos maiorum promossa daAugusto, l'opera di Catone fu oggetto di sempre minore interesse. Con l'affermarsi delle tendenze arcaizzanti nelII secolo, invece, essa fu oggetto di grandi attenzioni, seppure a carattere esclusivamente linguistico ed erudito:Gellio eCornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatoreAdriano dichiarò di preferirlo addirittura a Cicerone.[9]
A partire dalIV secolo iniziò a perdersi la conoscenza diretta della sua opera, con l'eccezione del manuale sull'agricoltura. Grande diffusione ebbe invece la raccolta di proverbi inesametri erroneamente attribuitagli, denominataDisticha Catonis (con anche alcuniMonosticha Catonis), in realtà composta probabilmente nelIII secolo.[9]
Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum Ienson, 1472 [Contiene iDe re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio Tauro Palladio] (editio princeps).
De agri cultura liber, Recognovit Henricus Keil, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1895.
De agri cultura, ad fidem Florentini codicis deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1962.
Marci Porci Catonis Oratio pro Rhodiensibus. Catone, l'Oriente Greco e gli Imprenditori Romani. Introduzione, Edizione Critica dei Frammenti, Traduzione Ital. e Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna 1978.
^Antonio Saltini,Storia delle scienze agrarie, vol. I,Dalle civiltà mediterranee al Rinascimento europeo, 3ª ediz., Firenze, Nuova Terra Antica, 2010, pp. 41-50.
(Per la bibliografia specifica sulDe agri cultura e sulleOrigines si rimanda alle rispettive voci)
L. Alfonsi,Catone il censore e l'umanesimo romano, Napoli, Macchiaroli, 1954 (estr.).
A.E. Astin,Cato the Censor, Oxford, Clarendon press, 1978.
C.C. Burckhardt,Cato der Censor, Basel, Reinhardt, 1899.
L. Cordioli,Marco Porcio Catone il censore e il suo tempo, Bergamo, Sestante, 2013.
F. Della Corte,Catone Censore. La vita e la fortuna, Torino, Rosemberg e Sellier, 1949 (rist. Firenze, La Nuova Italia, 1969).
P. Fraccaro,Sulla biografia di Catone maggiore sino al consolato e le sue fonti, Mantova, G. Mondovì, 1910 (estr.).
F. D. Gerlach,Marcus Porcius Cato der Censor, Basel, C. Schultze, 1869.
F. Marcucci,Studio critico sulle opere di Catone il maggiore, vol. I [unico pubblicato],Analisi delle fonti, questioni varie, Orazioni del periodo consolare e degli anni posteriori fino alla censura, Orazioni del periodo censorio, Pisa, succ. fratelli Nistri, 1902.
E.V. Marmorale,Cato maior, Catania, G. Crisafulli, 1944 (II ed. Bari, Laterza, 1949).
C. Ricci,Catone nell'opposizione alla cultura greca e ai grecheggianti. Nota, Palermo, D. Lao e S. De Luca, 1895.
E. Sciarrino,Cato the Censor and the beginnings of Latin prose. From poetic translation to elite transcription, Columbus, Ohio State University Press, 2011.
(LA, FR)Les agronomes latins, Caton, Varron, Columelle, Palladius, avec la traduction en français, M. Nisard (a cura di), Paris, Firmin Didot Fréres, 1856,pagg. 1 sgg.