Mafia è un termine che indica un tipo diorganizzazione criminale retta daviolenza,omertà,riti d'iniziazione[1] emiti fondativi[2]. Secondo il significato estensivo del termine, indica una qualsiasi organizzazione di persone dedite ad attività illecite, segreta e duratura, che impone la propria volontà con mezzi illegali violenti e armi, spesso facendo pagare una tassa per una falsa protezione, chiamata "pizzo", per conseguire interessi a fini privati e di arricchimento illegale anche a danno degli interessi pubblici.[3][4][5][6][7][8]
Cartina dellaSicilia del1900 che mostra la densità mafiosa dei comuni siciliani, pubblicata dal delegato diP.S. Antonino Cutrera nel libro "La mafia e i mafiosi".
Inizialmente, con il termineMafia spesso ci si riferiva aCosa Nostra, anche se storicamente si ritiene che la prima organizzazione mafiosa italiana sia laCamorra.[9] Organizzazioni ancor più antiche sono leTriadi cinesi e laYakuza giapponese.
Alcuni ritengono che abbia avuto origine dallasetta segretaspagnola dellaGarduna, secondo altri da quella deiBeati Paoli, operante inSicilia nelXII secolo circa. Secondo gli storici, la mafia siciliana nacque inepoca borbonica in una zona ben precisa dellaSicilia occidentale, compresa traPalermo,Agrigento eTrapani, dove vigeva il dominio dallatifondo che vessava una massa di contadini nella miseria e nello sfruttamento. Fra nobiltà terriera e contadini come intermediario era presente un ceto di spregiudicati e violentimassari,campieri ("guardie armate" del latifondo[10]) egabellotti (gestori dei feudi a gabella, cioè in fitto) che terrorizzavano i contadini e i proprietari con i loro sgherri, venivano a patti con ibriganti, amministravano una rozza giustizia che però non ammetteva alcuna forma di opposizione. I briganti, i ladri e i ribelli che infestavano le campagne siciliane avevano un ambiguo rapporto con i massari, i gabellotti e i campieri: i contadini servivano i massari e vedevano talvolta in loro degli alleati possibili contro i latifondisti che a loro volta si servivano dei massari e dei campieri, pur disprezzandoli e temendoli, come forza contro il latente pericolo costituito da possibili rivolte delle masse contadine. Massari, gabellotti e campieri si servivano dei briganti contro nobili e contadini ma sapevano anche spazzarli via con violenza quando dovevano dimostrare a tutti gli abitanti del feudo chi comandava effettivamente.[11] Per giungere al dominio del territorio la mafia controllava non solo il mondo rurale, itrasporti, l'attività mineraria, gliallevamenti, ma anche la delinquenza urbana, i tribunali, le centrali di polizia, i centri del potere. I mafiosi erano nel contempo imprenditori, organizzatori della produzione, giudici, gendarmi, esattori delle tasse poiché prelevavano quote di ricchezza dal lavoro e dalla rendita dei ceti sociali in mezzo ai quali vivevano ed operavano.[11]
Uno dei primi documenti che delineano bene il fenomeno mafioso che stava prendendo forma è una lettera di denuncia del 3 agosto1838 inviata al ministro Parisi dal procuratore generale di Trapani,P. Calà Ulloa:
«La generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senza altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di fare esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d'incolpare un innocente. Sono tante specie di piccoli governi nel governo...Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile[12][13]»
Secondo uno studio degli intellettuali toscaniLeopoldo Franchetti eSidney Sonnino, tale situazione andava ricercata nel fatto che nell'età moderna prima econtemporanea poi, mentre nella maggior parte dell'Europa i poteri legali e centrali si rafforzavano ed espandevano (fenomeno risaltato soprattutto dalla nascita dei primiStati nazionali), inSicilia vi era una situazione di legalità frammentata: i signorifeudali erano in concorrenza con i deboli poteri centrali, organizzati malamente in un groviglio digiurisdizioni e di competenze; i deboli erano esposti allo strapotere dei signori e degli sbirri; i fragili ceti produttivi e mercantili erano soggetti alle soperchierie di funzionari e baroni. La violenza, in questo contesto premessa per la sicurezza, si privatizza: i signorotti del posto hanno i loro sgherri, l'Inquisizione ha i suoi ufficiali ed agenti, lecorporazioni hanno le loro compagnie d'armi, i mercanti pagano le scorte armate per i trasferimenti di merci. Si assiste ad un continuo scontro di poteri e di interessi, in una terra in cui il continuo succedersi di poteri e dominazioni non ha favorito la coesione tra popoli e governanti.[14] In altre parti d'Italia, il fenomeno prende il nome dibravi, sgherri spesso provenienti dal centro e nord Europa al servizio dei signorotti feudali delNord Italia durante ladominazione spagnola.[15]
Dopo laproclamazione del Regno d'Italia (1861), i funzionari dellaDestra storica considerarono mafiosi tutti «i briganti e i renitenti alla leva, i notabili a capo dei partiti municipali e i piccoli delinquenti, gli avversari dell'ordine sociale e quelli dell'ordine politico», ossia gli oppositori politiciborbonici,mazziniani eclericali[16]. I parlamentari dellaSinistra storica accusarono a loro volta quelli della Destra di servirsi dei mafiosi per governare[17]. In un'indagine sulla Sicilia commissionata dal Parlamento delnuovo regno nel1876, si legge: «La mafia è la solidarietà istintiva, brutale [...] che unisce tutti quegli individui che amano trarre l'esistenza e gli agi non già dal lavoro, ma dalla violenza, dall'inganno, dall'intimidazione», negando il suo carattere diassociazione a delinquere organizzata e gerarchica.[18] I governi del tempo riuscirono a fare ben poco per sconfiggere tali associazioni criminose, che anzi continuarono a prosperare e a diffondersi, estendendo la propria zona di azione dapprima a tutto loStato italiano e poi anche ad alcune regioni d'Europa e inAmerica.[19]
Questa organizzazione era conosciuta dai suoi stessi affiliati comeCosa nostra, nome reso noto pubblicamente la prima volta nel1963 dal primopentito statunitenseJoe Valachi. Inizialmente ci si riferì con questo nome alle ramificazioni territoriali della mafia negliStati Uniti d'America ma neglianni ottanta il collaboratore di giustiziaTommaso Buscetta rivelò che anche in Sicilia gli affiliati utilizzavano il termine Cosa nostra e mai quello di mafia, considerato "un'invenzione letteraria".
Ben presto, il terminemafia fu associato anche ad altre organizzazioni dello stesso tipo come laCamorra campana, la'Ndrangheta calabrese o, fuori dall'Italia, lamafia russa, lamafia albanese o leTriadi cinesi, che poco o niente avevano a che fare con l'omologo siciliano.[21] Infatti il giudiceGiovanni Falcone affermò di essere contrario all'apposizione dell'etichetta "mafia" a fenomeni dicriminalità organizzata in generale:
«Mentre prima si aveva ritegno a pronunciare la parola «mafia» […], adesso si è persino abusato di questo termine […]. Non mi va più bene che si continui a parlare di mafia in termini descrittivi e onnicomprensivi perché si affastellano fenomeni che sono sì di criminalità organizzata ma che con la mafia hanno poco o nulla da spartire.»
Secondo le più recenti analisi, l'aspetto più preoccupante del fenomeno mafioso è oggi costituito dalla cosiddettazona grigia (o «borghesia mafiosa»)[23], quell'area intermedia fatta di individui che vivono nellalegalità (ad es. tecnici, esponenti dellaburocrazia,professionisti,imprenditori epolitici) ma che alimentano la mimetizzazione dell'economia mafiosa, fornendo collaborazione e supporto a questo tipo di organizzazioni[24].
Anche l'origine dellemma è incerta. Un primo utilizzo venne registrato in Sicilia nel 1863 nell'opera teatraleI mafiusi de la Vicaria, ambientata nel carcere della Vicaria diPalermo e scritta daGiuseppe Rizzotto eGaetano Mosca. La prima volta che il terminemaffia comparve ufficialmente accostato al senso tuttora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata è in un rapporto delprefetto di Palermo nel 1865,Filippo Antonio Gualterio, in cui denunciava l'esistenza di un'associazione criminale e sovversiva che metteva insieme delinquenti, filomazziniani e filoborbonici con l'obiettivo di rovesciare il neonatoRegno d'Italia.[25]
Una delle spiegazioni più celebri sull'origine della parola mafia fu data dall'etnologo sicilianoGiuseppe Pitrè:
«La voce mafia (con una, e non già con due effe, come si scrive fuori Sicilia) è tutt’altro che nuova e recente. [...] Se mafia derivi o abbia parentela col toscanomaffia (miseria), o col francesemaufe omeffier, non mi preme di vedere qui. Io son pago di affermare la esistenza della nostra voce nel primo sessantennio di questo secolo in un rione di Palermo, il Borgo, che fino a vent’anni addietro fiacea parte per se stesso, e si reputava, qual’era topograficamente, diviso dalla città. E al Borgo la voce mafia coi suoi derivati valse e vale sempre bellezza, graziosità, perfezione, eccellenza nel suo genere. Una ragazza bellina, che apparisca a noi cosciente di esser tale, che sia ben assettata (zizza), e nell’insieme abbia un non so che di superiore e di elevato, ha della mafia, ed è mafiusa, mafiusedda. Una casetta di popolani ben messa, pulita, ordinata, e che piaccia, è una casa mafiusedda, ammafiata, come e anche ’nticchiuta. Un oggetto di uso domestico, di qualità così buona che s’imponga alla vista, è mafiusu: e quante volte non abbiami tutti sentito gridare per le vie frutta, stoviglie mafiusi, e perfino le scope:Haju scupi d’a mafia! Haju chiddi mafiosi veru!...»
(G. Pitré,Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1889)
Si è spesso voluto associare il termine con un qualche vocabolo di originearaba, a causa della sua radice non facilmente accostabile a termini di origine invece latina o greca. Tale accostamento allalingua araba è stato forzatamente giustificato con la presenza in Sicilia nel corso del IX e del XI secolo, della componenteislamica, anche perché, come spiega lo storico e studiosoGiuseppe Carlo Marino[26], nella lingua araba il termine "mahyas" rivestirebbe lo stesso significato che ilPitrè attribuiva al termine "mafia". Questo perché, secondo l'opinione del Marino, l'organizzazione criminale siciliana è stata la prima organizzazione criminale del mondo e la prima ad essere appellata col nome "mafia"[27]. Tuttavia il lemmamahyas non ha esattamente lo stesso significato che forzatamente si associa alla definizione del Pitré, come dimostra il senso attribuitogli dallo studioso Diego Gambetta: secondo questi infatti il vocabolo "mafia" potrebbe provenire dall'arabo مهياص (mahyas) che significherebbe piuttosto "spavalderia", "vanto aggressivo"[28]. Claudio Lo Monaco propone piuttosto مرفوض (marfud = rifiutato)[29] da cui proverrebbe il termine mafiusu, che nel XIX secolo indicava una persona arrogante, prepotente, ma anche intrepida e fiera. Bisognerebbe quindi ammetterne la presenza nei documenti islamici relativi alla Sicilia pervenutici e raccolti fin qui, tuttavia i vocaboli esposti non appaiono mai menzionati: cfr. ad esempioMichele Amari,Biblioteca Arabo-Sicula- testi e traduzioni. 1857-1887. Tuttavia per Marino il termine arabo "mahyas" comunque in genere esiste nella lingua araba e ha proprio i significati su esposti e potrebbe essere una mancanza in buona fede dell'Amari il non aver indicato tale termine o termini simili. La presenza di più ipotesi spesso discordanti sul lemma in lingua araba che abbia fatto nascere il termine "mafia", l'assenza di una documentazione preesistente al XIX secolo, la mancata documentazione del fenomeno in età medioevale e l'assenza di un uso simile in altre comunità arabofone nel presente e nel passato tuttavia concorrono a mettere in seria crisi l'ipotetica origine del termine dalla lingua islamica.
Invece secondoSanti Correnti,[30] che rigetta le origini del termine dall'arabo, sarebbe un termine piuttosto recente, forse derivato daldialetto toscano, trovando un riscontro nella parolamaffia. Correnti sostiene l'origine toscana ritenendo che nei primi documenti giuridici riferentisi alla mafia, questo termine veniva trascritto con due "f", quindi "alla toscana". Tuttavia nei documenti menzionati, tale termine viene trascritto alternativamente sia con due "f" sia alla siciliana con una "f". Di una origine non siciliana quanto piuttosto dal nord Italia parla anche Pasquale Natella[31] che ricorda come aVicenza eTrento si usasse il vocabolo maffìa per indicare la superbia e la «pulizia glottologica» [...] va subito applicata in Venezia dove a centinaia di persone deve essere impedito di pronunciare S. Maffìa [...]. La diceria copriva, si vede, l'intera penisola e nessuno poteva salvarsi; in tutte le caserme ottocentesche maffìa equivaleva a pavoneggiarsi e copriva il colloquio quotidiano così inToscana come inCalabria, dove i delinquenti portavano i capelli alla mafiosa». In merito, Marino[27] ne ha voluto ribadire la propria opposizione, in considerazione del fatto che il Correnti (che comunque il Marino non menziona direttamente) ha negato finanche che la mafia avesse origine siciliana[32], avendola considerata un fenomeno di importazione, senza spiegare né come "un fenomeno importato" sia potuto attecchire in Sicilia in modo così capillare con caratteristiche quasi uniche, ignorando quindi le complesse vicende storiche, sociali, culturali ed economiche, tipiche della Sicilia e non accostabili a nessuna altra realtà territoriale esterna alla Sicilia[27], né in che modo un termine "non siciliano" sia potuto arrivare ed attecchire in Sicilia in modo così diffuso (e non solo in connessione con la celebre organizzazione criminale siciliana, ma anche nei significati riferiti dal Pitré) come in nessuna altra parte, tanto che è attraverso la Sicilia che tale termine è stato storicamente conosciuto a livello di massa, "provenendo da altre terre". Per Marino, quindi, il Correnti ha creduto di salvare l'onore della Sicilia adducendo sue personali considerazioni, senza base storica[27].
Va infine ricordato quanto scritto già nel 1876 daVincenzo Mortillaro nel suoNuovo dizionario siciliano-italiano[33] per mafia: «Voce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra». Tale definizione ci ricorda come, nel 1876, il lemma appare di lingua italiana e non di lingua siciliana. Altrettanto significativo il fatto che Mortillaro specifichi che il fenomeno mafioso in Sicilia prende il nome dicamorra. Tale importante riferimento dunque, può dimostrare come ogni tentativo di associare il terminemafia omaffia ad un qualsiasi vocabolo in lingua araba sia da considerarsi superato o comunque per nulla documentabile.
Nel1959, ossia quando il termine era ormai diffuso e aveva già subìto l'evoluzione storica del secondo conflitto mondiale,Domenico Novacco[34] invitava a una lettura critica del passo di Mortillaro, in quanto a suo dire la "boutade" del Mortillaro [...]era emessa nel solco d'un filo autonomistico siciliano antiunitario che dava ai sabaudi il demerito d'aver introdotto nella immacolata isola cattive tradizioni e tendenze para ispaniche».[35] Al di là di ciò che afferma il Novacco, resta comunque il fatto che il Mortillaro non ha spiegato in che modo un termine di presunta "origine piemontese", sia passato in Sicilia e si sia diffuso in modo così capillare, entrando prepotentemente nella lingua siciliana, considerato, che in piemontese ricopre un significato assai diverso dal siciliano. Il Marino ribadisce l'origine arabo-sicula del termine, adducendo che fosse cosa certa.[27]
In un suo studio apparso nel 1972 suStoria illustrata[36],Leonardo Sciascia ricostruisce con molta attenzione l'origine del termine mafia. Egli riprende anche la teoria relativa all'introduzione del vocabolo nell'isola, ricondotta all'unificazione del Regno d'Italia, espressa da Charles Heckethorn;[37] questa teoria, poi ripresa dall'economista e sociologoGiuseppe Palomba, afferma che il termine «MAFIA» non sarebbe altro che l'acronimo delle parole: «Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti». Va considerato il significato antropologico non privo di valore riguardo a un'organizzazione segreta a specchi capovolti che sarebbe nata nell'isola [Sicilia] con finalità più o menocarbonare.[38] Sempre con un acronimo il giornalista e studiosoSelwyn Raab tenta di spiegare le origini della mafia, riallacciandosi al "mito" deiBeati Paoli e ai precedenti moti antifrancesi durante i cosiddettiVespri siciliani, come già fece in sede di interrogatorioTommaso Buscetta, facendo derivare il termine dalla frase «Morte Alla Francia Italia Anela».[39]
La struttura tipica di unafamiglia mafiosa tradizionale
Le analisi moderne del fenomeno considerano la mafia, prima ancora che un'organizzazione criminale, un "sistema di potere" fondato sul consenso e l'omertà della popolazione e sul controllo sociale che ne consegue; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali sicuramente importanti, quanto nel consenso della popolazione e nelle collusioni con funzionari pubblici, istituzioni dello Stato e politici, ovvero nel supporto sociale.[40]
Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite. Le organizzazioni appartenenti al genere hanno una propria e tipica struttura, e spesso adottano comportamenti basati su un modello di economia statale ma parallela e sotterranea. L'organizzazione mafiosa trae profitti e vantaggi sia da tutti i tipi di attività illecite, ma anche dall'insediarsi nell'economia legale per investire ericiclare i lauti proventi.
I capimafia (spesso a causa della latitanza) comunicano principalmente in modo scritto (in Italia, ad esempio, fanno spesso uso di biglietti di carta dettipizzini) poiché non sempre sono in grado di comunicare di persona a tutti i loro sottoposti (capifamiglia, picciotti) con determinati mezzi di comunicazione (come il telefono e la posta) poiché suscettibili di intercettazioni. Un mezzo di comunicazione utilizzato specificamente nel passato era ilBaccaglio (in siciliano “baccagghiu”), ovvero ilgergo usato negli ambienti della malavita siciliana ed anche dai cantastorie nell’Opera dei Pupi per comunicare senza essere compresi dagli estranei al sodalizio[11]. I mafiosi, che vengono definiti in certi contesti «persone di rispetto» o «uomini d'onore», svolgono anche la funzione e il ruolo di "giudici" e "pacieri": ricevono le denunce al posto delle autorità, risolvono contrasti familiari ed economici, chiedono ed ottengonovoti per un dato candidato che, una volta eletto, ricambierà l'appoggio concedendo favori alla cosca infettando l'amministrazione pubblica e il sistema della giustizia. La mafia non si presenta quindi come un anti-Stato, ma come uno "Stato" parallelo alloStato di diritto, che offre "servizi di protezione", esige e gestisce le"tasse" (pizzo,usura, eccetera) e "amministra" con la violenza e l'intimidazione il suo territorio. Secondo il celebre giuristaSanti Romano, le mafie costituirebbero addirittura un vero e proprioordinamento giuridico:
«[…] È noto come, sotto la minaccia di leggi statuali, vivono spesso, nell’ombra, associazioni, la cui organizzazione si direbbe quasi analoga, in piccolo, a quella dello Stato: hanno autorità legislative ed esecutive, tribunali che dirimono controversie e puniscono, agenti che eseguono inesorabilmente le punizioni, statuti elaborati e precisi come le leggi statuali. Esse dunque realizzano un proprio ordine, come lo Stato e le sue istituzioni.»
(Santi Romano,L'ordinamento giuridico, 1917.)
I mafiosi fondano il loro potere soprattutto sul consenso sociale delle popolazioni, sul sostegno (estorto o volontario) di operatori economici (ad esempio si consideri il mondo dell'imprenditoria e dellebanche) e sul substrato culturale, ancora familistico e feudale, generalmente piuttosto arretrato dal punto di vista socio-culturale.
«La mafia fa affari ma non è una congrega di affaristi. Traffica, ma non è una banda di trafficanti. Tratta con i politici ma non è un partito politico. È un’organizzazione criminale ma non è solo «criminalità organizzata».»
Nella seconda metà dell'Ottocento, gli studiosimeridionalistiPasquale Villari eLeopoldo Franchetti diedero una spiegazione del fenomeno mafioso di matricepositivista che lo vedeva come frutto delle degenerazioni della vita amministrativa, economica e sociale delle popolazionimeridionali ma negarono il suo carattere diassociazione organizzata[41]. La tesi di Franchetti (che riscontrò parecchio successo ma ebbe varie critiche[42] e fu ripresa più di un secolo dopo dal sociologoDiego Gambetta e dal criminologoFederico Varese)[43] è che lamafia non fosse un'organizzazione centralizzata ma uncartello di bande indipendenti che, in mancanza di unoStato di diritto forte, vende ai privati i propriservizi di protezione[44]:
«La Mafia è unione di persone di ogni grado, d’ogni professione, d’ogni specie, che senza avere nessun legame apparente, continuo e
regolare, si trovano sempre riunite per promuovere il reciproco interesse, astrazione fatta da qualunque considerazione di legge e di giustizia e di ordine pubblico; è un sentimento medioevale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercè il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dalla azione dell’autorità e delle leggi.»
(Leopoldo Franchetti,Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, p. 63)
Tuttavia la più fortunata definizione del concetto dimafia per l'epoca fu fornita dall'antropologo sicilianoGiuseppe Pitrè nella sua operaUsi, costumi, usanze e pregiudizi del popolo siciliano (1889):
«La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti. […] Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino […]. La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individuale, “unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto di interessi e di idee”; donde la insofferenza della superiorità e, peggio ancora, della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso, non ricorre alla Giustizia, non si rimette alla Legge; se lo facesse, darebbe prova di debolezza, e offenderebbe l’omertà, che ritiene schifiusu, o ’nfami chi per aver ragione si richiama al magistrato. Egli sa farsi ragione personalmente da sé, e quando non ne ha la forza (nun si fida), lo fa col mezzo di altri de’ medesimi pensamenti, del medesimo sentire di lui. Anche senza conoscere la persona di cui si serve ed a cui si affida, il solo muover degli occhi e delle labbra, mezza parola basta perché egli si faccia intendere, e possa andar sicuro della riparazione dell’offesa o, per lo meno, della rivincita.»
(G. Pitré,Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1889)
Ai primi del'900 la definizione di mafia divenne oggetto di dibattito pubblico a seguito del clamore nazionale suscitato daldelitto Notarbartolo: gli intellettualiNapoleone Colajanni eGiuseppe De Felice Giuffrida considerarono la mafia come una sorta diautogoverno deisiciliani, «un sentimento medioevale nato e sviluppatosi come unica forma di sopravvivenza a secoli di dominazione straniera, di ingiustizia e anarchia».[45] Celebre anche l'opinione diGaetano Mosca (studioso palermitano fondatore dellascienza politica moderna), il quale, in un saggio apparso su unarivista, distingueva tra «spirito di mafia» e «mafia», quest'ultima intesa come complesso di singole associazioni di malfattori, dette «cosche», secondo lui tra loro reciprocamente autonome e non «federate»[46]; lospirito di mafia secondo Mosca «è una maniera di sentire che, come la superbia, come l’orgoglio, come la prepotenza, rende necessaria una certa linea di condotta in un dato ordine di rapporti sociali»: esso consiste nel«reputare debolezza o vigliaccheria il ricorrere alla giustizia ufficiale [...] per la riparazione [...] di certi torti ricevuti» [ibidem, 54], ed è strettamente associato a sentimenti quali l’onore e il desiderio di essere rispettati[47]. Minor fortuna ebbero invece gli studicriminologici di ispirazionelombrosiana sul fenomeno mafioso pubblicati dai funzionari diPubblica SicurezzaGiuseppe Alongi eAntonino Cutrera, i quali cercarono di decifrarne i significati in base alleindagini giudiziarie da loro condotte ma entrambi non ne danno una definizione certa: secondo Alongi la mafia indicherebbe un «modo di essere, di sentire e di operare» tipico dei siciliani ma spinto alle estreme conseguenze ed esisterebbero vari gruppi mafiosi più o meno strutturati ma indipendenti (alta ebassa mafia,mafia di montagna,delle marine,di borgata,di città, ecc..) che si distinguono o confondono con lacriminalità comune a seconda dei casi; anche per Cutrera la mafia sarebbe un «vizio sociale», una «degenerazione dell'omertà» che contraddistingue il popolo siciliano e che arriva a provocare «il delitto e l'associazione a delinquere» ma egli traccia una distinzione soltanto tramafia di città emafia di campagna: la prima non presenterebbe un'organizzazione definita e sarebbe costituita dairicottari (lenoni) mentre la seconda sarebbe strutturata in capi e gregari e troverebbe i suoi adepti nei ceti sociali deiguardiani,gabellotti ecampieri.[48]
Nelsecondo dopoguerra si affermò una corrente di pensiero di tiposocio-antropologico: secondoHenner Hess, la mafia non sarebbe un'organizzazione ma unaforma mentis tipica dellasubcultura siciliana (sicilianismo) che fa le veci di uno Stato estraneo o assente, mentreAnton Blok sostenne che si trattava di «unmodus vivendi tra le richieste della struttura politica formale da un lato e le tradizionali esigenze locali dall’altro», ossia una forma di mediazione tra le comunità locali e l'autorità centrale[49]. Queste teorie furono poi sviluppate daPino Arlacchi, che parlò della mafia come aspetto subculturale all'interno di un'economia agraria che si è trasformato in soggettoimprenditoriale nel contesto dell'evoluzionecapitalista econsumistica dellasocietà (cioè è diventatamafia imprenditrice), e daRaimondo Catanzaro, secondo cui il fenomeno è frutto di «un'ibridazione sociale», ossia la «risposta della periferia all’impatto del centro; ma non potrebbe affermarsi senza il sostegno di quest’ultimo».[50]
Parallelamente, ebbe notevole influenza la corrente di pensiero che proponeva un'interpretazione di stampomarxista, derivazione diretta delle analisi diAntonio Gramsci sullaquestione meridionale[51]. Importanti furono i contributi deglistorici di formazione marxistaEmilio Sereni (che vide il fenomeno mafioso come «borghesia impedita nel suo sviluppo» in conflitto con il sistemafeudale allora vigente)[52] edEric Hobsbawm (che considerò la mafia come una particolare forma dibanditismo sociale, «un sistema di potere, a carattere privato e parallelo a quello ufficiale»)[53]. Intellettuali disinistra comeMichele Pantaleone,Danilo Dolci,Giuseppe Fava eNando dalla Chiesa intesero invece la mafia come parte integrante delleclassi dirigenti che si erano succedute al potere[54]. Su quest'ultima posizione risultò anche il pensiero diLeonardo Sciascia, il quale, condividendo in pieno l'analisi di Hobsbawm ed Hess, affermò che la mafia è «una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta», che «sorge e si sviluppa [...] «dentro» lo Stato»[55] ma, gradualmente, si è trasformata in una «“multinazionale del crimine”, in un certo senso omologabile al terrorismo e senza più regole di convivenza e connivenza col potere statale e col costume, la tradizione e il modo di essere dei siciliani»[56]. Alla fine degli anni '90, lo studiosoUmberto Santino, anch'egli di formazione marxista, elaborò il cosiddetto “paradigma della complessità” per l’interpretazione del fenomeno mafioso basata soprattutto sull’ipotesi che esso sia il risultato della relazione interattiva tra criminali, soggetti sociali ed economici, aspetti politici e anche culturali, introducendo così la nozione di «borghesiamafiosa»[23], di cui si ha traccia già nel lavoro dello storicoGiuseppe Carlo Marino.[57]
«L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per
acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.»
La Obščina (Община, una parola russa che significa letteralmente "comunità") - conosciuta anche come mafia cecena - è una delle più grandi ed importanti forme di criminalità organizzata dell'ex-Unione Sovietica.
Cosa esattamente colleghi il crimine organizzato ceceno ai movimenti politici di natura indipendentista, al fondamentalismo islamico e, in generale, ai conflitti odierni del Caucaso è ancora oggetto di dibattito.
Le Triadi cinesi sono delle organizzazioni criminali raggruppate in diversi cartelli, che hanno il centro dei loro interessi adHong Kong e ramificazioni pressoché internazionali, in particolare in quasi tutta l'Asia (nel sud dellaCina in particolare ma anche aTaiwan e nelSud-est asiatico),Europa,Nord America,Oceania[74].
I gruppi emergenti attuali (dal2006), invece, sono chiamatiBACRIM (Bandas Criminales), nati dall'unione tra esponenti dei precedenti cartelli e deigruppi paramilitari colombiani, sempre dediti al traffico di cocaina traColombia,Nord America edEuropa. Le principali BACRIM sono:
Il grande banditismo tradizionalecorso-marsigliese è stato attivo soprattutto nel traffico di droga e nel riciclaggio. Tra glianni ’50 e’70Marsiglia è stata infatti il centro dellaFrench Connection, la rete criminale corsa che fornivaeroina agliStati Uniti. L’organizzazione è stata smantellata grazie alle indagini, tra gli altri, del giudicePierre Michel, poi ucciso nel1981. InMarsiglia diverse bande si scontrano nel 21 secolo per il controllo della droga.
LaCorsica presenta una cultura criminale simile alMezzogiornoitaliano. Diverse bande controllano il territorio dell’isola ed estendono le loro attività nella Francia continentale ea livello internazionale.
È segnalata inoltre l'attività di gruppi criminali stranieri:
Nel paese opera laYakuza,organizzazione criminale riconosciuta come legale inGiappone - eccetto che per alcune attività, che sono invece proibite - che è presente anche negliUSA.
Il fenomeno è estremamente diffuso nel Paese, con la presenza diorganizzazioni criminali tra le più forti al mondo, con ramificazioni, affari e alleanze in ogni continente. Le più famose per tradizione secolare sono:
La mafia marocchina, nota anche comeMocro Maffia, è un'organizzazione criminale specializzata nel traffico di grandi quantità di cocaina e droghe sintetiche, essendo uno dei partecipanti più dominanti nel mercato europeo traffico di droga.[89] La categoria "Mocro Maffia" include anche i boss dell'hashish marocchino e i trafficanti del Marocco meridionale che svolgono un ruolo chiave nel traffico di droga africano, così come nel traffico di esseri umani, nel traffico di armi e nel traffico di contrabbando come sigarette e alcol, sebbene siano visti come un'entità separata dalla Mocro Maffia stricto sensu.[90][91]
Le reti criminali marocchine in Europa sono attive principalmente daglianni 1990 ed esistono principalmente inBelgio e neiPaesi Bassi. Queste reti criminali hanno relazioni privilegiate con i cartelli della droga colombiani e messicani e spesso importano droga in Europa attraverso i porti diAnversa,Rotterdam eAlgeciras.[92][93] In Italia, la mafia marocchina è più presente nel traffico di droga e di esseri umani, e mantiene anche alleanze con laCamorra e con la'Ndrangheta.[94][95]
La mafia montenegrina (Crnogorska mafija/Црногорска мафија) è composta da varie organizzazioni criminali con sede inMontenegro o composte damontenegrini. Le bande montenegrine sono attive a partire dal1992 in tuttaEuropa, in particolare inSerbia. La maggior parte degli altri gruppi criminali organizzati ad alto rischio in Montenegro sono subordinati o alleati a uno dei due clan diCattaro, Kavač e Škaljari. I principali gruppi montenegrini sono specializzati nel contrabbando di stupefacenti, sebbene il contrabbando di sigarette altamente redditizio sia al centro dell'attenzione di diverse associazioni criminali.[96]
Nel paese operano diversicartelli dediti soprattutto altraffico di droga, all'origine della cosiddettaguerra messicana della droga. I cartelli messicani detengono il monopolio della produzione ed esportazione di stupefacenti destinati agliStati Uniti d'America (soprattuttococaina,marijuana,eroina emetanfetamine). Secondo l'FBI, i cartelli messicani si concentrano solo sulla distribuzione all'ingrosso, lasciando le vendite al dettaglio allebande di strada di origine messicana (La Eme,Nuestra Familia,Sureños e tante altre). Sono infatti collegati a numerosegang e non prendono posizione nei numerosi conflitti che si scatenano di tanto in tanto tre le bande degli Stati Uniti[97].
In Nigeria operano diverseconfraternite detteCults; la più importante è laBlack Axe, un'organizzazione di tipo mafioso nata negli anni '70 a seguito della crisi del petrolio. La Black Axe è operativa anche in paesi europei, americani, sudamericani, asiatici ma soprattutto in Africa dove essa viene considerata la più importante e potente. Le attività maggiormente svolte sono:narcotraffico,prostituzione, omicidio, traffico di armi, contrabbando, usura, estorsione, gioco d'azzardo e riciclaggio di denaro[62].
NeiPaesi Bassi si utilizza il termineslang "Penose" per indicare i gruppi criminali olandesi, che sono diventati leader mondiali nella produzione di droghe sintetiche[98].
Altre organizzazioni criminali non autoctone operanti in territorio olandese sono:[99]
Mafia marocchina
Narcotraffico, estorsione, sfruttamento della prostituzione, violenza e assassinio
Comunemente identificata comeOrganizatsya operava principalmente inRussia, ma si è espansa anche in Europa (soprattutto dell'est) e negli Stati Uniti d'America. In Italia è abbastanza diffusa inEmilia-Romagna. Le attività sono molto diversificate, con coinvolgimento anche neltraffico di organi.[105]
La Mafia serba in origine era dedita soprattutto al traffico di sigarette e alcontrabbando in generale, successivamente ha esteso la sua attività altraffico d'armi,traffico di droga,racket della prostituzione e gioco d'azzardo[62].
^Walter Minestrini,Saperbene 11, Ricerche - Tre secoli di viaggi, scoperte e invenzioni: Dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri, DeAgostini, 1994, pag. 134
^D. Novacco,Considerazioni sulla fortuna del termine "mafia", in "Belfagor", 1959, n. 14.
^Tuttavia le considerazioni di Novacco appaiono poste fuori da una considerazione cronologica corretta, giacché nell'anno in cui egli vorrebbe il filo autonomistico antiunitario e in particolare antisabaudo i siciliani erano usciti da poco tempo daimoti del 1848 e dalla breve vita dello Stato indipendente di Sicilia tra il 1848 e il 1849. A seguito del bombardamento della città diMessina, fatto che vide l'adozione del soprannome di "re Bomba" aFerdinando II, nei siciliani si instillò un sentimento di rancore nei confronti della dinastia borbonica, che semmai agevolò le simpatie nei confronti del progetto unitario sabaudo, considerata la grande affluenza nell'esercitogaribaldino di giovani isolani. Le spinte autonomistiche antisabaude appaiono più propriamente posteriori alla conquista delMezzogiorno da parte delle truppe garibaldine e in particolare solo a seguito del 1866, a partire dalla cosiddettarivolta del sette e mezzo.
^ora ripubblicato con il titoloLa storia della mafia
^Charles W. Heckethorn,Secret Societies of All Ages and Countries, London, G. Redway, 1897, il quale si sofferma sulla missione segreta diMazzini inSicilia avvenuta l'anno prima (1860) dell'Unità d'Italia,
^G. Palomba,Sociologia dello sviluppo - L'unificazione del Regno d'Italia Giannini, Napoli, 1962, pp. 203–204.
^«Una leggenda romantica sostiene che il termine MAFIA si tratti di una sigla nata nel tardo tredicesimo secolo nel corso dell'insurrezione contro le forze francesi degli Angioini a Palermo. Una donna siciliana morì nel tentativo di opporsi a uno stupro da parte di un soldato francese e per vendicarsi il fidanzato sgozzò l'aggressore. L'episodio immaginario si suppone abbia portato alla creazione di uno slogan acronimico formato dalle iniziali di ogni parola: "Morte Alla Francia Italia Anela". La rivolta del 1282 contro l'occupazione dell'esercito francese ebbe il nome di Vespri siciliani, perché il segnale della resistenza furono i rintocchi delle campane della chiesa per la funzione della sera"»; in Selwyn Raab,Le famiglie di Cosa Nostra. La nascita, il declino e la resurrezione della più potente organizzazione criminale americana, Newton Compton, 2009. Tuttavia è evidente come vengano mescolate ampiamente diverse leggende, come quella diGammazita a cui pare ispirato l'Autore per la vicenda dell'aggressione, episodio spesso arricchitosi di dettagli, tra cui la presenza didonna Macalda quale mandante del soldato francese e che ha ispirato anche il celebredipinto di Hayez. L'autore ricorda ancheche «nel 1860 Giuseppe Garibaldi sbarcò in Sicilia con un migliaio di combattenti, detti "Camicie Rosse" per la divisa che li caratterizzava. Aiutato dal sostegno popolare degli isolani, Garibaldi sconfisse senza difficoltà le truppe del re delle due Sicilie. Tra i ribelli che si unirono alle truppe di Garibaldi e si unirono al suo appello per la giustizia sociale vi furono anche circa duemila rozzi agricoltori giunti dalla campagna, i quali per sopravvivere alternavano il lavoro dei campi al banditismo, rifugiandosi nelle caverne. A simbolizzare il rispetto con cui venivano considerati questi coloni a mezzo servizio e briganti a tempo perso furono glorificati da Garibaldi come le sue "Squadre della mafia"».[Cosa si ipotizza in questo aneddoto per origine del termine?]
^Maurizio Catino,Le organizzazioni mafiose. La mano visibile dell'impresa criminale., 2020, il Mulino, Bologna,ISBN 978 88 15 28595 9
^Vedi:Pasquale Villari,Lettere meridionali (1875) eL. Franchetti,Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (1877)
^Vedi:Luigi Capuana,L'isola del sole, Giannotta, Catania, 1898.
^Diego Gambetta,La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992; Federico Varese,Mafie in movimento: come il crimine organizzato conquista nuovi territori, Torino: Einaudi, 2011.
^L. Franchetti,Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (1877)
^Si vedano a proposito i seguenti saggi: Henner Hess,Mafia,Roma-Bari,Laterza, 1970;Anton Blok,La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960, Torino, Einaudi,1986.
^Vedi: Pino Arlacchi,La mafia imprenditrice, Bologna,Il Mulino, 1983; Raimondo Catanzaro,Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Padova, Liviana Editrice, 1988.
^Emilio Sereni,La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, Roma, Einaudi, 1946.
^Eric Hobsbawm,I Ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 1966.
^Vedi: M. Pantaleone,Mafia e politica. 1943-1962, Einaudi, Torino 1962; Danilo Dolci,Chi gioca solo, Torino, Einaudi, 1966; N. Dalla Chiesa,Il potere mafioso. Economia e ideologia, Milano, Mazzotta, 1976; Giuseppe Fava,Mafia. Da Giuliano a Dalla Chiesa, I Siciliani editori, Catania 1982.
^L. Sciascia,Anche i generali sbagliano, L'Espresso, 20 febbraio 1983.
^G.C. Marino,Storia della mafia, Roma, Newton Compton, 1998.
^Vedi: Giuliano Turone,Le associazioni di tipo mafioso, Milano, Giuffrè, 1984; Giovanni Falcone e Giuliano Turone,Tecniche di indagine in materia di mafia, in Cassazione Penale, 1983; Giovanni Fiandaca,L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, in Foro italiano, 1985; Giovanni Falcone e Marcelle Padovani,Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991.
^Si vedano:S.F. Romano,Storia della mafia, Milano, SugarCo, 1963;V. Titone,Storia, mafia e costume in Sicilia, Milano, Edizioni del Milione, 1964;G. Falzone,Storia della mafia, Palermo,Flaccovio, 1984;F. Brancato,La mafia nell’opinione pubblica e nelle inchieste dall’Unità d’Italia al fascismo, Cosenza, Pellegrini, 1986.
^Si vedano: Paolo Pezzino,Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Milano, F. Angeli, 1990; N. Tranfaglia,La mafia come metodo nell’Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1991; Salvatore Lupo,Storia della mafia, Roma, Donzelli, 1993; G.C. Marino,Storia della mafia, Newton Compton, 1998; Francesco Renda,Storia della mafia, Palermo, Vittorietti, 1998; John Dickie,Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Bari, Laterza, 2004.
Selwyn Raab,Le famiglie di Cosa Nostra. La nascita, il declino e la resurrezione della più potente organizzazione criminale americana, Roma, Newton Compton, 2009.
Enzo Ciconte,Atlante delle mafie. Storia, economia, società, cultura, a cura di e conFrancesco Forgione eIsaia Sales, 4 voll., Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011-2016.