Laletteratura cristiana consiste in quel corpus di opere originate dall'avvenimento cristiano, dalla figura diGesù e dalla sua incidenza nella storia.
L'interesse per la letteraturapatristica intesa come argomento a sé risale alIV secolo, e compare poi nella trattazioneteologica eomiletica; l'intento non è storico-scientifico ma piuttosto apologetico, volto cioè a dimostrare e avallare le idee e le tesi espresse.
Diviene oggetto diricerca scientifica e pertanto studiato in epocaumanistica, grazie alla curiosità per l'antico diffusa in quel periodo, e anche alla presenza inItalia di dotti greci comeGiovanni Bessarione che raccoglie una vasta biblioteca di opere mai pervenute inOccidente e in seguito donate alla città diVenezia (primo nucleo di testi che poi costituiranno laBiblioteca Marciana). Un altro esempio di studioso con interesse umanistico efilologico per i testi patristici fuErasmo da Rotterdam. In questo periodo vengono recuperati e ristampati autori sino ad allora dimenticati, comeLattanzio. L'umanesimo non ebbe dimensionipagane o anti-cristiane; al contrario, diversi autori cristiani si occuparono di studi sul mondo pagano, comeLorenzo Valla che denuncia la falsità dellaDonazione di Costantino.
Nella prima metà del'500, durante laRiforma protestante e le conseguenti dispute teologiche, lo studio dei Padri si innesta come "tradizione" cui essere aderenti ("verità delle origini"), e guida per risolvere le dispute teologiche: in questo periodo l'interesse per il corpus letterario antico è prevalentementecontroversistico-teologico e spesso strumentale e tendenzioso. Gli studi dell'epoca vanno perciò letti oggi secondo quest'ottica. Di contro, nascono discussioni sulla legittimità delle prassi adottate dalle chiese antiche.
Intesa come disciplina scientifica, la letteratura cristiana raccoglie e indaga itesti letterari di tutti gli autori dichiaratisicristiani, tra cuicattolici,ortodossi,Padri della Chiesa e ancheeretici, differendo pertanto dallaPatristica e dall'Agiografia che indagano ambiti più ristretti.
Nella letteratura cristiana antica convergono due distinti filoni:
È un corpus di scritti accumulato nei secoli (non corrisponde allaBibbia che è un concetto teologico astratto), e comprende:
Esistono inoltre due filoni che risentono dell'influenza ellenistica, la letteratura omiletica e la letteraturaapocalittica.
I quattrovangeli canonici sono dettisecondoMatteo,secondoMarco,secondoLuca esecondoGiovanni; riportano la vita e i detti di Gesù, esposti con un peculiare stile letterario, secondo punti di vista in parte diversi.
Lo stesso autore delVangelo secondo Luca scrisse anche gliAtti degli Apostoli, in cui narra la storia delle prime comunità cristiane sotto la guida diPietro,Giacomo e soprattuttoPaolo. A motivo della loro intestazione, dello stile e dei contenuti, ilVangelo secondo Luca e gliAtti degli Apostoli formano quasi un'unica opera, divisa in due parti.
Seguono lelettere di Paolo: si tratta di scritti inviati a varie comunità in risposta a esigenze particolari o a temi generali, assieme ad altri destinati a singoli individui. Gli scritti autentici di Paolo di Tarso sono i più antichi documenti del Cristianesimo conservatisi, a partire dallaPrima lettera ai Tessalonicesi, poiGalati,Filippesi,Prima eSeconda Lettera ai Corinzi,Romani eFilemone. La maggior parte degli studiosi considera «deuteropaoline» (attribuite a Paolo, ma scritte dopo la sua morte)Efesini,Colossesi, e laSeconda Lettera ai Tessalonicesi e, per comune consenso, lelettere pastorali (Prima eSeconda lettera a Timoteo,Lettera a Tito).
LaLettera agli Ebrei potrebbe essere un'anticaomelia rivolta a cristiani di origine ebraica tentati di ritornare alle istituzioni giudaiche. L'autore, ignoto, conosceva molto bene le norme sacerdotali ebraiche, le Scritture di Israele e le loro tecniche interpretative.
Le altre sono dettelettere cattoliche, perché indirizzate non alla comunità cristiana di una città particolare, ma a tutte le chiese, o più semplicemente perché non hanno precisato il destinatario. Esse sono laPrima e laSeconda lettera di Pietro, laLettera di Giacomo, laLettera di Giuda (tutte di ambiente giudeo-cristiano), e le treLettere di Giovanni.
L'Apocalisse chiude il Nuovo Testamento, con temi desunti dall'apocalittica giudaica reinterpretati e utilizzati alla luce della fede in Gesù.
Sinossi riassuntiva dei libri del Nuovo Testamento | |||||
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Libro (e sigla) | Lingua | Capitoli e versetti | Autore | Composizione | Contenuto |
Vangeli eAtti | |||||
Matteo (Mt) | greco[Nota 2] | 28 1071 | Levi detto Matteo, figlio di Alfeo, apostolo | Antiochia (?), circa 80-90 d.C.[1] | Ministero diGesù, ilMessia atteso, descritto ai giudeo-cristiani, riscatto diGesù |
Marco (Mc) | greco | 16 678 | Giovanni detto Marco | Roma, circa 65-70[1] | Ministero diGesù,Figlio di Dio, descritto ai non ebrei |
Luca (Lc) | greco | 24 1151 | Luca | Grecia (?), circa 80-90[1] | Ministero diGesù, salvatore di tutti gli uomini |
Giovanni (Gv) | greco | 21 879 | Giovanni, apostolo, figlio diZebedeo | Efeso, circa 100[1] | Ministero diGesù, incarichi di Pietro |
Atti degli Apostoli (At) | greco | 28 1007 | Luca | Grecia (?), circa 80-90[1] | Storia della comunità cristiana dopo lamorte di Gesù (30 d.C.?) fino al 63 d.C. circa, descrivente in particolare l'operato diPietro ePaolo |
Lettere di Paolo | |||||
Lettera ai Romani (Rm) | greco | 16 433 | Paolo | Corinto, 57-58 | 1-11: importanza dellafede in Gesù per la salvezza, vanità delle opere della legge 12-16: esortazione |
Prima lettera ai Corinzi (1Cor) | greco | 16 437 | Paolo | Efeso, 55-56 | Esame di vari temi discussi tra le primitive comunità cristiane: matrimonio e celibato; divisioni nella comunità; eucaristia; rapporto col mondo pagano |
Seconda lettera ai Corinzi (2Cor) | greco | 13 257 | Paolo | Macedonia, 56-57 | 1-7: direttive alla comunità di Corinto; 8-9: colletta per i cristiani di Gerusalemme; 10-13: difesa del proprio ministero |
Lettera ai Galati (Gal) | greco | 6 149 | Paolo | Efeso, 56-57 | Difesa del proprio ministero, importanza della fede in Gesù contro le opere della legge, esortazioni |
Lettera agli Efesini (Ef) | greco | 6 155 | Paolo (?) | Se autentica: in prigionia aRoma, circa 62; sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Meditazioni teologiche su Gesù, Chiesa, salvezza per grazia, condotta morale |
Lettera ai Filippesi (Fil) | greco | 4 104 | Paolo | Efeso, 56-57 | Meditazioni teologiche su Gesù, esortazioni |
Lettera ai Colossesi (Col) | greco | 4 95 | Paolo (?) | Se autentica: in prigionia aRoma, circa 62; sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Ruolo di Gesù (identificato come primogenito dellacreazione), Chiesa, salvezza per grazia, condotta morale |
Prima lettera ai Tessalonicesi (1Ts) | greco | 5 89 | Paolo | Corinto, 51 | Elogio, esortazione, ruolo di Gesù (identificato come l'arcangelo) |
Seconda lettera ai Tessalonicesi (2Ts) | greco | 3 47 | Paolo (?) | Se autentica: poco dopo 1Ts; sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Fermezza nella fede nonostante il ritardo dellaparusìa |
Prima lettera a Timoteo[2] (1Tm) | greco | 6 113 | Paolo (?) | Se autentica:Roma, dopo il 63 (?); sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Esortazioni, indicazioni circa i ruoli della comunità |
Seconda lettera a Timoteo[2] (2Tm) | greco | 4 83 | Paolo (?) | Se autentica: in prigionia aRoma, circa 62; sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Esortazioni |
Lettera a Tito[2] (Tt) | greco | 3 46 | Paolo (?) | Se autentica:Roma, dopo il 63 (?); sepseudoepigrafa: posteriore alla morte di Paolo (64-67), verso fine I secolo | Esortazioni circa la guida della comunità |
Lettera a Filemone (Fm) | greco | 1 25 | Paolo | In prigionia aCesarea oRoma, circa 62 | Esortazione a Filemone a considerare lo schiavo Onesimo come un fratello |
Lettera agli Ebrei (Eb) | greco | 13 303 | Paolo (?) | forse poco prima del 70 | Esaltazione del sacrificio di Gesù, paragone fra i patti |
Altre lettere olettere cattoliche[Nota 3] | |||||
Lettera di Giacomo (Gc) | greco | 5 108 | Giacomo (?) | Se autentica: prima del 62; sepseudoepigrafa: 80/90 | Importanza di fede ed opere |
Prima lettera di Pietro (1Pt) | greco | 5 105 | Pietro (?) | Se autentica: prima del 64; sepseudoepigrafa: 70/80 | Esortazioni varie |
Seconda lettera di Pietro (2Pt) | greco | 3 61 | pseudoepigrafa diPietro | 125 (?) | Esortazioni, attesa dellaparusìa |
Prima lettera di Giovanni (1Gv) | greco | 5 105 | Giovanni (?) | Efeso, fine I secolo (?) | Esortazioni,Anticristo |
Seconda lettera di Giovanni (2Gv) | greco | 1 13 | Giovanni (?) | Efeso, fine I secolo (?) | Esortazioni,Anticristo |
Terza lettera di Giovanni (3Gv) | greco | 1 14 | Giovanni (?) | Efeso, fine I secolo (?) | Esortazioni |
Lettera di Giuda (Gd) | greco | 1 25 | pseudoepigrafa diGiuda, fratello diGiacomo | 80-90 | Esortazioni, falsi maestri |
Apocalisse | |||||
Apocalisse o Rivelazione (dicitura protestante) (Ap o Riv) | greco | 22 404 | Giovanni (?) | Isola di Patmos, fine I secolo (?) | Descrizione simbolica della vittoria dell'agnello (Gesù) sui re della terra e della venuta del Regno di Dio |
Il cultosinagogale comprendeva per gli ebrei in esilio l'insegnamento delle Sacre Scritture tramite lettura in pubblico del testo, ed omelia (o commento omiletico) con funzioneesegetica. L'esegesi omiletica durante la predica liturgica diverrà l'attualeLiturgia della Parola.
La letteratura apocalittica esprime l'attesaescatologica e la conseguenteapocalisse intesa come rivelazione degli avvenimenti futuri e finali, al fine della salvezza eterna; un esempio è ilLibro di Daniele, soprattutto nei capitoli finali. Si sviluppa nel tardo giudaismo del II secolo a.C., e ci testimonia la volontà ed il bisogno di conoscere il futuro da parte di un popolo oppresso e disperato.
La letteratura cristiana è ricca di apocalissi, la più nota è l'Apocalisse di Giovanni, la cui escatologia differisce dalle precedenti perché associaGesù alla figura delMessia, unto da Dio (si noti come ancheCiro II di Persia fu detto messia, poiché unto da Dio per aver liberato gli ebrei dallaschiavitù babilonese).
Uno dei dilemmi che si posero i primi cristiani fu cosa mantenere dei libri sinora considerati di culto: mantenere la LXX? I testi giudaici servono al culto cristiano o no?Vi furono prese di posizione discordi, radicali o meno; il diteistaMarcione ad esempio fu un sostenitore del rifiuto radicale nell'Antico Testamento, poiché sosteneva che il Dio ebreo non fosse ilvero Dio dell'Amore, rivelato col Cristo nelNuovo Testamento, e ritenevaPaolo di Tarso unico autentico apostolo.
Ilcanone biblico si costituisce tra il I e il II secolo, formando una Bibbia composta da AT e NT, attraverso tagli, scelte e conflitti interpretativi in particolare tra il160 e il180.
Il cristianesimo assorbe gran parte dei testi e dei generi giudaici, tra cui ilromanzo, pur mantenendo un rapporto polemico.
Comprende scritti in greco e latino antecedenti al cristianesimo, in gran parte perduti nell'incendio dellaBiblioteca di Alessandria, di cui restano vari frammenti. Questocorpus assume importanza per i cristiani, mentre questisalgono nellascala sociale e si diffondono nel mondo e nei contesti culturali precostituiti (come avverrà secoli dopo con lemissioni cattoliche, la cultura cristiana entra inosmosi con la civiltà locale). Così, quando avvengono conversioni di adultiellenici o romani, costoro introducono sé stessi e il proprio entroterra culturale nel cristianesimo, in una sintesi che inevitabilmente introduce nuovi elementi, anche letterari.
Alcune forme letterarie tipiche del mondo greco-romano, che convergono nella letteratura dei cristiani ellenici:
La letteratura cristiana antica raccoglie il corpus di scritti a partire dal primo pervenuto, laPrima lettera ai Tessalonicesi diPaolo di Tarso risalente al51, sino al750 circa, in corrispondenza con la morte diGiovanni Damasceno.Gli autori maggiori scrissero fino al450, poi iniziò a diffondersi una tradizione manualistica.
Il corpus di scritti si divide in due filoni:
Gli autori cristiani antichi operarono nelmondo mediterraneo e nel territorio dell'Impero romano, dove avvenivano i processi interni di cristianizzazione (indicativamente, dallaSpagna allaPersia). Dopo il V secolo, molta letteratura cristiana si inserì nei nuoviregni barbarici.
Oltre algreco ed allatino, entro l'VIII secolo esiste una produzione patristica locale in altre lingue, vale a dire insiriaco, inarmeno, incopto e forse anche inarabo. Molte altre lingue conservano traduzioni di opere perdute in greco, perché vennero considerate eretiche oppure erano diventate obsolete. Oltre allatino, fra queste lingue si possono menzionare, accanto a quelle già citate, ilgeorgiano, l'etiopico classico, il nubiano, ilgotico, ilsogdiano, ilpaleoslavo.
L'ellenismo introdotto daAlessandro Magno e radicatosi saldamente nel mediterraneo orientale, influenza anche il mondo romano. Fino all'inizio delIV secolo infatti, il greco viene sovente preferito al latino negli scritti teologici efilosofici. Alcuni esempi illustri:Marco Aurelio nel170 comunica in greco coi filosofi; l'egizianoPlotino insegna aRoma nella propria scuolaneoplatonica dal240 al270, dove parla e scrive in greco apolitici esenatoriromani;Ippolito a Roma nel 240 scrive ai cristiani in greco. Va inoltre messo in evidenza che alcuni grandi filosofi e intellettuali romani, comeSeneca eCicerone, pur esprimendosi in latino, avevano studiato con dei precettori di espressione greca e conoscevano perfettamente tale idioma.
Tra la fine delIII secolo e l'inizio del IV, si verifica nell'Impero romano una trasformazione radicale delle istituzioni,Diocleziano dalla corte diNicomedia instaura laTetrarchia, e nel contempo chiama alla corte imperiale maestri di lingua latina (tra cuiLattanzio, all'epoca non ancora convertitosi al cristianesimo) per insegnarla ai giovani di lingua greca, ribadendo così la supremazia del latino come lingua del potere, del diritto, dell'amministrazione, dell'impero. Ciò nonostante, anni dopo, l'imperatoreGiuliano scrive ancora nella "lingua della cultura filosofica" in auge presso colti amatori e retori professionisti.
Verso la fine del IV secolo, il latino attrae invece gli intellettuali: il siro ellenofonoAmmiano Marcellino lo adopera per le sueHistoriae eClaudiano, poeta egizio originariamente di espressione greca, celebra il generaleStilicone nellalingua dell'Impero. Il cristianesimo accelera la diffusione del latino che si impone in Occidente come lingua della filosofia e della teologia grazie anche al prestigio di alcuni grandi pensatori che si esprimono in tale lingua, fra cuiSofronio Eusebio Girolamo,Ambrogio da Milano e soprattuttoAgostino d'Ippona, il massimo filosofo cristiano del primo millennio[Nota 4]. Un testo in greco come laTeosofia di Tubinga delVI secolo cita in latinoLattanzio.
Delle opere greche non è pervenuto alcun originale manoscritto; molte fonti dirette possono essere però ricondotte ad unarchetipo, che a sua volta non è il testo originale: ad esempio, diPorfirio esistono solo frammenti in manoscritti miscellanei, estrapolati dal contesto originale. Fonti indirette sono le citazioni in testi di altri autori, in cui si presenta la problematica dell'interpretazione: il citante può travisare il senso dello scritto altrui e quindi utilizzare impropriamente parole di altri autori.
Dalla fine dell'Ottocento sono stati ritrovati diversi frammenti di papiro con testi di autori cristiani, non inseriti in collezioni storiche come il Migne.
In alcunegrotte sono state rinvenute intere biblioteche:
Breve cronologia riepilogativa:
Il periodo patristico termina tradizionalmente in Occidente con Sant'Isidoro e in Oriente con San Giovanni Damasceno o al massimo con il Secondo Concilio di Nicea (787). Alcuni autori successivi, tuttavia, vengono talvolta indicati come "padri" per sottolineare l'importanza dei loro scritti.
LaSupplica è unaapologia di 30 capitoli indirizzata "agli imperatoriMarco Aurelio eLucio Aurelio Commodo, conquistatori dell'Armenia e dellaSarmazia, e, quel che più conta, filosofi" tesa a difendere i Cristiani dalla triplice accusa, rivolta già agliebrei, diateismo (la mancanza di fede nelle divinità pagane),incesto ecannibalismo (bambini come cibo nei banchetti). In base alla dedica e alla citazione della pace nel primo capitolo, la data di composizione dellaSupplica è stata fissata fra la fine del176 e il principio del177. Gli argomenti utilizzati da Atenagora per ribattere ai tre capi di accusa sono di naturarazionale.
Ai due imperatori pertanto Atenagora chiedeva per i Cristiani gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri cittadini romani.
Ad Atenagora, ma con molte riserve, è attribuito un secondo lavoro intitolatoΠερί αναστάσεως νεκρών ("La Risurrezione dei Morti"). Iltrattato è diviso in due parti, nella prima vengono confutate le obiezioni contro la tesi dellarisurrezione, nella seconda si dimostra che la resurrezione è possibile. Rifiutando il dogmaplatonico del corpo come prigione dell'anima, ed affermando la complementarità tra materia e spirito, Atenagora accetta la risurrezione fisica dei morti sulla base dell'onnipotenza di Dio allo scopo di rendere manifesta per l'eternità l'immagine umana.
Il più antico testo di quest'opera di Atenagora si trovava nelCodex parisinus graecus (anno 914), immediatamente dopo al testo dellaSupplica per i Cristiani, copiato perAreta di Cesarea dal suo segretario Baanes[5]. L'attribuzione ad Atenagora di quest'opera viene tuttavia di solito negata per motivi di stile e di contenuto[6].
È considerato uno tra i principaliscrittori e teologicristiani dei primi tre secoli. Di famiglia greca, fu direttore della «scuola catechetica» di Alessandria (Didaskaleion). Interpretò la transizione dalla filosofia pagana al cristianesimo e fu l'ideatore del primo grande sistema di filosofia cristiana.
Pochi autori furono prolifici come Origene. Epifanio stimava in 6.000 il numero delle sue opere, sicuramente considerando separatamente i diversi libri di un'unica opera, le omelie, le lettere, e i suoi più piccoli trattati (Haereses, LXIV, LXIII). Questa cifra, pur riportata da molti scrittori ecclesiastici sembra, tuttavia, grandemente esagerata. Girolamo assicurava che l'elenco delle opere di Origene steso daPanfilo di Cesarea non contenesse più di 2.000 titoli (Contra Rufinum, II, XXII; III, XXIII); ma questo elenco era evidentemente incompleto.
Origene dedicò tre generi di scritti all'interpretazione delle Sacre Scritture: commentari, omelie, escholia (San Girolamo,Prologus interpret. homiliar. Orig. in Ezechiel).
Il merito più importante di Origene fu quello di iniziare lo studiofilologico del testo biblico nella scuola di Cesarea. Tale tecnica avrebbe, in seguito, influenzato anche Girolamo.
Il prodotto di tale attività furono gliExapla, una vera e propria edizione critica della Bibbia redatta per offrire alle varie comunità un testo unitario e attendibile, con un metodo non dissimile da quello filologico ellenistico (cui si richiamava anche per i segni con cui si indicavano parti notevoli o difficili del testo). Il titolo dell'opera indica le "sei versioni" del testo disposte su sei colonne:
Nel caso deiSalmi, l'edizione diventava unOktapla, cioè presentava altre due colonne con altrettante traduzioni supplementari. Vista la mole dell'opera, essa era disponibile in un solo esemplare ed era un lavoro di scuola a cui Origene fece da sovrintendente. Purtroppo di questo lavoro esistono pochissimi frammenti, ma, grazie a scrittori successivi, se ne conosce il piano.
L'Apologia ad Autolico è il più antico scritto a noi pervenuto in cui compare (II,15) il terminetriás (τριας). Teofilo ne parla commentando i primi tre giorni della creazione, che egli pone in corrispondenza con laTrinità composta da Dio Padre, dal Logos (= il Verbo) e dallaSapienza. La corrispondenza fraGesù e il Logos è evidente nel prologo delvangelo di Giovanni. Benché nel Nuovo Testamento si utilizzi generalmente il termineSpirito Santo per indicare la Sapienza di Dio, la scelta di quest'ultimo termine costituisce un riferimento alla radice veterotestamentaria della dottrina sullo Spirito Santo e in particolare all'ottavo capitolo delLibro dei Proverbi. Questa scelta terminologica è coerente con il resto dello scritto di Teofilo, in cui si citano quasi esclusivamente i libri dell'Antico Testamento.
Per gli studiosi non è stato facile riassumere i punti principali degli insegnamenti di Clemente, infatti, mancava di precisione tecnica e non ricercò mai un'esposizione ordinata. È facile, perciò, mal giudicarlo. Attualmente, viene accettato il giudizio di Tixeront: le regole della fede di Clemente erano ortodosse; accettava l'autorità delle tradizioni della Chiesa, inoltre, prima di tutto, era un cristiano che accettava "la legge ecclesiastica", tuttavia, si sforzava anche di rimanere filosofo, e portava la speculazione sul perché della vita nelle materie religiose. «Sono pochi», affermava «coloro i quali avendo fatto bottino dei tesori degli egiziani, ne fanno arredi per il Tabernacolo.». Egli si predispose, perciò, ad usare la filosofia come strumento per trasformare la fede in scienza, e la rivelazione in teologia. Clemente non aveva nulla, se non la fede come base per le sue speculazioni. Per questo motivo non può essere accusato di aver volontariamente sviluppato posizioni non ortodosse. Ma Clemente era un pioniere in un'impresa difficile e si deve ammettere che fallì nel suo alto intendimento. Era cauto nell'accostarsi alle Sacre Scritture per sviluppare la sua dottrina, tuttavia adoperò male il testo e ne uscì unaesegesi difettosa. Aveva letto tutti i libri delNuovo Testamento ad eccezione dellaSeconda lettera di Pietro e dellaTerza lettera di Giovanni. «Infatti», dice Tixeront, i «suoi studi sulla forma primitiva delle scritture Apostoliche sono del valore più alto.». Sfortunatamente, interpretò le Sacre Scritture secondo lo stile di Filone, pronto a trovareallegorie dappertutto. I fatti narrati nell'Antico Testamento divennero, così, puramente simbolici. Tuttavia, non si permise tale ampia libertà col Nuovo Testamento.
Lo speciale interesse che Clemente coltivava lo condusse ad insistere sulla differenza tra la fede del cristiano ordinario e la scienza del perfetto, tanto che i suoi insegnamenti su questo punto sono proprio la sua caratteristica principale. Il cristiano perfetto ha una comprensione particolare dei "grandi misteri" dell'uomo, della natura, della virtù, che il cristiano ordinario accetta senza comprendere. Ad alcuni è sembrato che Clemente esagerasse il valore morale della conoscenza religiosa; si deve tuttavia ricordare che non lodava la mera conoscenza fine a sé stessa, ma la conoscenza che si trasformava in amore. È la perfezione cristiana che egli celebrava. Il cristiano perfetto, il vero gnostico, che Clemente amava descrivere, deve condurre una vita di calma inalterabile. E qui il pensiero clementino è indubbiamente intriso diStoicismo. In questo caso, infatti, non stava realmente descrivendo il cristiano, con i suoi sentimenti e i suoi desideri sotto il dovuto controllo, ma l'ideale Stoico che ha sopito i suoi sentimenti. Il perfetto cristiano, quindi, doveva condurre una vita di devozione assoluta; l'amore nel suo cuore lo avrebbe dovuto incitare a vivere in una unione sempre più stretta con Dio attraverso la preghiera, a lavorare per la conversione delle anime, ad amare i suoi nemici e, persino, a sopportare ilmartirio stesso.
Clemente fu anche un precursore dellacontroversia Trinitaria. Insegnò che nella Divinità erano presenti tre Termini. Alcuni critici dubitano se li distinguesse come Persone, ma un'attenta lettura delle sue opere lo prova. Il Secondo Termine della Trinità era il Verbo. Fozio credeva che Clemente professasse una molteplicità di Verbi mentre, in realtà, Clemente tratteggiava soltanto una distinzione tra l'attributo immanente dell'intelligenza del Padre Divino ed il Verbo fatto Persona che era il Figlio, eternamente generato ed in possesso di tutti gli attributi del Padre. Essi, insieme, erano un unico Dio. Fino a questo punto, infatti, questa nozione di unità proposta da Clemente sembrava avvicinarsi alModalismo, o, addirittura all'errore opposto delSubordinazionismo. Ciò, tuttavia può essere spiegato altrimenti: Clemente dovrebbe essere giudicato, a differenza di quanto si fa generalmente con gli altri scrittori, non da una frase colta qui o là, ma dalla globalità dei suoi insegnamenti. DelloSpirito Santo non parlò molto e, quando si riferiva alla terza Persona dellaTrinità, si basava strettamente su quanto riportato dalle Sacre Scritture. Era, inoltre, un convinto assertore della duplice natura di Cristo. Cristo era l'Uomo-Dio che ci beneficia sia come Dio che come uomo. Clemente, evidentemente, vedeva Cristo come una Persona (il Verbo). Fozio accusava Clemente anche diDocetismo. Tuttavia, Clemente riconosceva chiaramente in Cristo un vero corpo, ma lo credeva immune dalle necessità comuni della vita, come mangiare e bere e pensava che l'anima di Cristo fosse esente dalle passioni, dalla gioia e dalla tristezza.
Per questi motivi Clemente è considerato il primognostico cristiano. Per Clemente era problema essenziale mostrare come il cristianesimo fosse superiore a qualsiasi filosofia, tuttavia cercava anche di spiegare che nella fede cristiana era contenuto quanto di meglio la filosofia avesse prodotto prima di Cristo. Egli distingueva tra la funzione svolta dalla filosofia prima di Cristo e la funzione che avrebbe dovuto svolgere dopo di lui. Sottolineava come, attraverso la filosofia, fosse possibile avvicinarsi alla verità che comunque si sarebbe completata solo attraverso larivelazione. ComeGiustino, Clemente individuava in tutti gli uomini la presenza di una scintilla divina che permetteva di accedere alla fede. Secondo questa prospettiva, il cristianesimo appariva non come la negazione, bensì come il completamento della tradizione filosofica: esso non ha il carattere settario attribuito alle scuole filosofiche o ai gruppi gnostici, non è prerogativa di una minoranza, Dio chiama a sé tutti indistintamente.Questa lettura della fede attraverso la filosofia potrebbe essere stata scelta da Clemente per avvicinare le classi colte dell'Alessandria del suo tempo, presso le quali la filosofia godeva di molto prestigio.
Eusebio fu il vescovo più erudito della sua epoca: oratore, esegeta, apologista, teologo e storico, tipografo e bibliofilo. Va ricordata anche la sua attività di reperimento e collezione di fonti letterarie ed archivistiche[10].
Della sua vastissima produzione letteraria si ricordano laCronaca (Chronicon), che venne considerata un archetipo per tutte le opere cronologiche seguenti, e laStoria ecclesiastica, che tratta dei primi secoli dello sviluppo delCristianesimo, dalla costituzione della Chiesa sino alla vittoria di Costantino su Licinio (324). Nella stesura della Cronaca utilizzò, per quanto riguarda lastoria dell'Egitto, le opere diManetone ora perdute.
Eusebio mise a punto un sistema di dieci tavole-canoni, note come Tavole canoniche o Tavole di concordanza, ove si raffrontano i passi uguali dei quattrovangeli: una tabella con l'episodio (es. ilbattesimo) indica il riferimento alla sezione interessata di ogni vangelo, con centinaia di sezioni indicate (oltre mille in areasiriaca); in un foglio delCodex Rossanensis è stata rinvenuta una lettera di Eusebio aCarpiano sull'uso delle tavole.Tra le sue opere vi è anche una biografia di Costantino, laVita di Costantino.
Benché non fosse un brillante pensatore, Didimo contribuì notevolmente alla comprensione dellaTrinità con la sua formula: «Una sostanza e treipostasi». Difese anche l'esistenza di un'anima umana nella persona diCristo, ma non parlò di fusione della natura umana con quella divina, bensì dell'esistenza di due nature e di due volontà. Partendo dallacristologia, Didimo si occupò della dottrina delloSpirito Santo, che considera increato come il Figlio: Esso è Dio ed è uguale al Padre. Per Didimo, lo Spirito Santo è il dispensatore digrazie divine nellaChiesa. Grazie a lui, la Chiesa si trasforma inMater dei cristiani, ai quali dispensa la luce di Cristo mediante ilBattesimo. Ciò nonostante, Didimo preferisce chiamare la Chiesa «Corpo di Cristo», anziché «Madre». L'asceta, seguendo la dottrina cattolica ortodossa, afferma che ilpeccato originale consiste nella caduta diAdamo edEva, e viene trasmesso dai genitori ai figli attraverso l'atto sessuale ed ilconcepimento, il che spiega perché Gesù dovesse essere partorito da una vergine. Il Battesimo cancella il peccato originale ed ha come conseguenza l'adozione a figli di Dio. Per questo motivo il Battesimo è indispensabile per la salvezza, sebbene possa venire sostituito dalmartirio. Didimo nega inoltre la validità del Battesimo dato daglieretici. Lamariologia di Didimo insiste sul fatto cheMaria fu sempre vergine, sia prima che dopo la nascita di Gesù; inoltre, insiste nel chiamarlaMadre di Dio (Theotokos). Sul pianoantropologico, Didimo condivideva l'eresiaorigenista di sostenere che l'anima fosse stata rinchiusa nel corpo come castigo per i precedenti peccati, appoggiando in questo modo l'ideaplatonico-origenista della preesistenza. Sul pianoescatologico, benché Girolamo (Adv. Ruf., I, 6) sostenesse che Didimo era anche origenista, credendo in una salvezza universale alla fine dei tempi, è certo che a partire dai suoi scritti risulta difficile accettare una tale opinione. D'altronde è innegabile che negli stessi scritti Didimo parli ripetutamente dell'inferno e dell'eterno castigo (De Trin., II, 12; II, 26). Il professorJohannes Quasten ha sottolineato che la testimonianza di Girolamo può considerarsi corretta posto che Didimo intendesse per "salvezza universale" che nel mondo futuro non vi sarà più peccato e che gliangeli ribelli desiderino essere redenti, ma entrambe le affermazioni non necessariamente devono vedersi contrapposte alla tesi di un castigo eterno per i condannati[11]. Da Origene, infine, Didimo sembra aver ereditato anche l'idea diPurgatorio.
Nacque aArianzo, cittadina pressoNazianzo, attualeGüzelyurt inCappadocia. Figlio diGregorio eNonna. Il padre, che era ebreo della setta degliIpsistari, fu convertito dalla moglie al cristianesimo e divenne vescovo di Nazianzo. Il fratello Cesario (morto nel368) fu dottore presso la corte dell'imperatoreGiuliano e governatore diBitinia.
Gregorio, nato qualche anno dopo il concilio di Nicea nel quale si condannò l'eresia ariana, fu fortemente condizionato per tutta la vita dalle lotte che si scatenarono attorno alla definizione della vera natura della Trinità.Studiò prima aCesarea in Cappadocia, dove conobbe e divenne amico diBasilio, poi aCesarea marittima e adAlessandria presso ilDidaskaleion, infine, tra il350 e il358, adAtene, sottoImerio; qui conobbe il futuro imperatore Giuliano.
Raggiunse poi l'amico Basilio nelmonastero di Annisoi, nelPonto. Ma abbandonò presto questa esperienza per tornare a casa, dove sperava di condurre una vita ancora più ritirata e contemplativa. Nel361 fu ordinatosacerdote suo malgrado, dal padre, Vescovo di Nazianzo. Dapprima reagì fuggendo, ma poi accettò di buon grado la decisione paterna. "Mi piegò con la forza", ricorderà nella sua autobiografia. Nel372 l'amico Basilio, allora Vescovo diCesarea, costretto dalla politica ariana dell'imperatoreFlavio Valente a moltiplicare il numero delle diocesi sotto la sua giurisdizione per sottrarle all'influenza ariana, lo nominòvescovo di Sasima. Gregorio non raggiunse mai la sua sede vescovile in quanto solo con le armi in pugno sarebbe potuto entrarvi. Morto il padre, tornò a Nazianzo, dove diresse la comunità cristiana. Nel379, salito al tronoTeodosio I, Gregorio fu chiamato a dirigere la piccola comunità cristiana che a Costantinopoli era rimasta fedele a Nicea. Nella capitale dei cristiani di Oriente pronunciò i cinque discorsi che gli meritarono l'appellativo di "Teologo". Fu lui stesso a precisare che la "Teologia" non è "tecnologia", essa non è un'argomentazione umana, ma nasce da una vita di preghiera e da un dialogo assiduo con il Signore.Nel380 Teodosio lo insediò vescovo diCostantinopoli e lo fece riconoscere come tale dalConcilio di Costantinopoli I nel maggio del381.
Le discussioni conciliari furono quanto mai accese e lo stesso Gregorio fu accusato di occupare illegittimamente, in quanto vescovo di Sasima, la sede di Costantinopoli, a proposito ebbe a dire:
(Discorsi 6, 3)
infine, confessandosi incapace di mediare tra le opposte fazioni, abbandonò il concilio nel giugno del 381:
(Discorsi 42, 20-21)
Di lui rimangono una rappresentazione sacra,La Passione di Cristo, lettere, numerosi poemi sacri (tra cui un poema autobiografico-spirituale di quasi duemila versiSulla sua vita), ma soprattutto 45 discorsi od omelie, per la maggior parte risalenti al vescovado costantinopolitano; tra essi possiamo ricordare gli elogi funebri dell'amico Basilio e del padre Gregorio, una giustificazione della sua fuga dalla sede vescovile di Sasima, due discorsi contro l'imperatore Giuliano, che influenzarono molto il giudizio dei bizantini su questo sovrano[12] e soprattutto i discorsi "teologici" (27-31), che gli valsero presto il titolo di "Teologo", precedentemente assegnato al solo Giovanni evangelista.
Nei primi due anni dopo la sua ordinazione sacerdotale Crisostomo scrisse anche otto omelie sui giudei e i "giudaizzanti" dal titoloContro i Giudei[13]. Dato che la seconda omelia è circa un terzo delle altre gli studiosi hanno sospettato che l'unico manoscritto a noi pervenuto fosse incompleto. Infatti nel1999 Wendy Pradels scoprì aLesbo un manoscritto con il testo completo.
Queste omelie di Crisostomo sono considerate da alcuni studiosi «la più orribile e violenta denuncia del giudaismo negli scritti di un teologo cristiano»[14]. La loro notorietà è legata al fatto che furono prese, pretestuosamente, dai nazisti in Germania nel tentativo di legittimare l'Olocausto e utilizzate in generale dagli antisemiti per giustificare la persecuzione degli ebrei[15], così come diffusero l'opinione che gli ebrei fossero collettivamente responsabili della morte di Gesù[16], mettendo a rischio dipogrom le minoritarie comunità ebraiche che vivevano nelle città cristiane[17].
Secondo Rodney Stark[18] l'intento di Crisostomo è di separare nettamente cristianesimo e giudaismo mettendo i cristiani giudaizzanti di fronte alla necessità di una scelta radicale.
Nelle otto omelie, quindi, Crisostomo cerca di dimostrare di quali nefandezze fossero colpevoli i giudei, secondo il tipico metodo della polemica anti-giudaica e anti-ereticale, consistente nella diffamazione dell'avversario. Per esempio, Crisostomo sostiene che le sinagoghe sono «postriboli, caverne di ladri e tane di animali rapaci e sanguinari», i giudei sono infatti «animali che non servono per lavorare ma solo per il macello»[19], anzi sono animali feroci: «mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità»[20] e i cristiani non devono avere «niente a che fare con quegli abominevoli giudei, gente rapace, bugiarda, ladra e omicida»[21].
Cometeologo, fu coinvolto nelle disputecristologiche che infiammarono la sua epoca. Si oppose aNestorio durante ilconcilio di Efeso del431 (del quale fu la figura centrale). In tale ambito, per contrastare Nestorio (che negava la maternità divina di Maria), sviluppò una teoria dell'Incarnazione che gli valse il titolo didoctor Incarnationis e che è considerata ancora valida dai teologi cristiani contemporanei. Perseguitò inovaziani, gliebrei[22] ed ipagani[23], sino a quasi annientarne la presenza nella città. Alcuni storici lo indicano come il mandante dell'omicidio della scienziata e filosofaneoplatonicaIpazia[Nota 6].
Divenuto vescovo e patriarca di Alessandria nel412, secondo lo storicoSocrate Scolastico acquistò «molto più potere di quanto ne avesse avuto il suo predecessore» e il suo episcopato «andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali». Cirillo giunse a svolgere anche un ruolo dalla forte connotazione politica e sociale nell'Egitto greco-romano di quel tempo. Le sue azioni sembrano essersi ispirate al criterio della difesa dell'ortodossia cristiana a ogni costo: espulse gliebrei dalla città; chiuse le chiese dei novaziani, confiscandone il vasellame sacro e spogliando il loro vescovo Teopempto di tutti i suoi possedimenti; entrò in grave conflitto con il prefetto imperialeOreste.
Le sue opere sono raccolte in dieci volumi dellaPatrologia Graeca delMigne (PG 68-77).Sull'adorazione e il culto, 17 libri;Glaphyra, 13 libri;Commento al Vangelo di Giovanni, 12 libri di cui due perduti;Commenti a Isaia e ai dodici profeti minori. Contro gli ariani scrive ilThesaurus de sancta et consubstantiali Trinitate e ilDe sancta et consubstantiali Trinitate. Contro i nestoriani scriveAdversus Nestorii blasphemias contradictionum libri quinque,Apologeticus pro duodecim capitibus adversus orientales episcopos, Epístola ad Evoptium adversus impugnationem duodecim capitum a Theodoreto editam e laExplicatio duodecim capitum Ephesi pronuntiata; si conservano poi tre lettere a Nestorio, delle quali la seconda e la terza furono approvate nel concilio di Efeso del431, nel concilio di Calcedonia del451 e dalConcilio di Costantinopoli II del553; sua è la lettera indirizzata aGiovanni di Antiochia, dettaSimbolo efesino, approvata nelconcilio di Calcedonia.
Degli ultimi anni sono i dieci libri conservatisi dellaPro sancta christianorum religione adversus libros athei Juliani, contro l'imperatore romanoGiuliano (360-363).
Una classificazione più attenta degliAtti dei Martiri riunisce gliActa principali in tre categorie:
La terza categoria è quella in cui rientrano il maggior numero diActa. Anche se in base al contenuto si può discutere molto sull'appartenenza o meno a questa categoria, e anche se studi più approfonditi potrebbero far passare qualcheActa ad una categoria più alta, molti altri sono chiamati con il nome diActa Martyrum, ma la loro storicità è minima o nulla. Sonoromanzi, a volte costruiti attorno ad alcuni fatti veri che sono stati preservati dalla tradizione popolare o letteraria, altre volte lavori di puraimmaginazione, senza nessun fatto vero.
Fra i romanzi storici possiamo citare la storia di Felicita e dei suoi settefigli, che nella sua forma presente sembra essere una variazione di2 Mac 7[24], e ciononostante non ci possono essere dubbi sulla storicità dei fatti soggiacenti, uno dei quali è stato effettivamente confermato dalla scoperta da parte diGiovanni Battista de Rossi della tomba di Januarius, il figlio il più vecchio del racconto.
Secondo critici severi comeM. Dufourcq[25] eHippolyte Delehaye[26], ilLegendarium romano non può essere catalogato in una categoria più alta che questa; cosicché, a parte le tradizioni suimonumenti, laliturgia e latopografia, la maggior parte della testimonianza letteraria sui grandi martiri di Roma è nascosta inromanzi storici.
GliAtti di Perpetua e Felicita (latino:Acta Perpetuae et Felicitatis; composto nel203 circa) sono un resoconto di testimoni oculari della morte diPerpetua e Felicita (oltre ai loro compagni Saturo, Revocato, Saturnino e Secondino), due donne cristiane messe a morte aCartagine il 7 marzo203; parte dei racconti sono opera diTertulliano, ma alcuni capitoli sono i diari di Perpetua stessa. Di questiAtti si sono conservate due edizioni, una in latino e l'altra in greco.
GliAtti, una delle pagine migliori dell'antica letteratura cristiana, sono composti da tre parti:
Questa opera ebbe un tale successo che due secoli dopo i fattiAgostino d'Ippona volle avvertire i propri lettori di non avere per gliAtti la stessa considerazione che avevano per le scritture[28].
L'edizione in lingua latina fu scoperta daLuca Olstenio e pubblicata daPierre Poussines nel1663. Nel 1890Rendel Harris scoprì un altro resoconto scritto ingreco, che pubblicò in collaborazione conSeth Gifford.
Quasi nulla è noto della vita di Minucio Felice. Il suoOctavius è simile all'Apologeticum diTertulliano, e la datazione della vita di Felice dipende dal rapporto tra la sua opera e quella dello scrittore africano morto nel 230. Nelle citazioni degli autori antichi (Seneca, Varrone, Cicerone) viene considerato più preciso di Tertulliano e questo concorderebbe col suo essere anteriore ad esso, come afferma ancheLattanzio; Sofronio Eusebio Girolamo lo vuole invece posteriore a Tertulliano, sebbene si contraddica dicendolo posteriore aTascio Cecilio Cipriano in una lettera e anteriore in un'opera. Per quanto riguarda gli estremi della sua esistenza, Felice menzionaMarco Cornelio Frontone, morto nel 170; il trattatoQuod idola dii non sint è basato sull'Octavius; dunque se quello è di Cipriano (morto nel 258), Minucio Felice non fu attivo oltre il 260, altrimenti il termineante quem è Lattanzio, attorno al 300.
Anche la zona d'origine di Felice è sconosciuta. Lo si ritiene talvolta di origine africana, sia per la sua dipendenza da Tertulliano, sia per i riferimenti alla realtà africana: la prima ragione, però, non è indicativa, in quanto dovuta al fatto che all'epoca i principali autori di lingua latina erano africani, e dunque il loro era lo stile cui ispirarsi; la seconda, inoltre, potrebbe dipendere esclusivamente dal fatto che il personaggio pagano dell'Octavius, Cecilio Natale, era africano, come attestato da alcune iscrizioni. Cionondimeno, è significativo che entrambi i personaggi dell'Octavius abbiano nomi citati in iscrizioni africane[29], e che lo stesso valga per il nome Minucio Felice[30].
I personaggi dell'Octavius sono reali, tutti e tre avvocati. Il pagano, Cecilio Natale, era nativo diCirta (dove l'omonimo registrato dalle iscrizioni aveva ricoperto cariche sacerdotali) e viveva a Roma, come Minucio, di cui seguiva l'attività forense; Ottavio, invece, è appena arrivato nella capitale all'epoca in cui è ambientata l'opera, e ha lasciato la propria famiglia nella provincia d'origine.
L'Octavius è un dialogo che ha per protagonisti lo stesso scrittore, Cecilio e Ottavio e che si svolge sulla spiaggia di Ostia. Mentre i tre passeggiano sul litorale, Cecilio, di origine pagana, compie un atto di omaggio nei confronti della statua di Serapide. Da ciò nasce una discussione in cui Cecilio attacca la religione cristiana ed esalta la funzione civile della religione tradizionale, mentre Ottavio, cristiano, attacca i culti idolatrici pagani ed esalta la tendenza dei Cristiani alla carità e all'amore per il prossimo. Alla fine del dialogo Cecilio si dichiara vinto e si converte al Cristianesimo, mentre Minucio, che funge da arbitro, assegna ovviamente la vittoria ad Ottavio.
Tertulliano nacque aCartagine verso la metà delII secolo (intorno al155) da genitoripagani (patre centurione proconsulari[31], figlio di un centurione proconsolare) e, dopo essere stato verosimilmente iniziato ai misteri diMitra, compì gli studi diretorica ediritto nelle scuole tradizionali imparando ilgreco. Visse durante l'impero diSettimio Severo eCaracalla.
Dopo aver esercitato la professione di avvocato dapprima inAfrica e in seguito aRoma, ritornò nella città natale e probabilmente verso il 195, dopo una giovinezza dissipata, si convertì alcristianesimo, attratto forse dall'esempio dei martiri (Cfr.Apol. 50,15;Ad Scap. 5,4) Nel197 scrisse la sua prima opera,Ad nationes ("Ai pagani").
È il primo teologo sistematico di lingua latina.
Importantissima risulta storicamente e dogmaticamente la sua operaDe praescriptione haereticorum, in cui egli giunge alla conclusione fondamentale che è inutile disputare con gli eretici sulla base della Scrittura, poiché essi continueranno a loro volta a fare lo stesso. Laregula fidei contiene l'interpretazione autorevole della Scrittura ed essa è trasmessa integralmente e fedelmente solo dove sussiste la successione apostolica, cioè dai vescovi legittimi, appartenenti all'unica Chiesa cattolica e ortodossa; il ruolo primaziale nella conservazione dell'autentico deposito della fede lo ha la sede vescovile di Roma.
Presi gliordini sacerdotali, adottò posizionireligiose molto intransigenti e nel213 aderì allasetta religiosa deimontanisti, nota proprio per la sua intransigenza e il suofanatismo[32]; anche nel periodo montanista, per Tertulliano la Chiesa è sempre "Madre".
Negli ultimi anni della suavita abbandonò il gruppo per fondarne uno nuovo, quello deiTertullianisti. Quest'ultima setta era ancora esistente all'epoca diSant'Agostino, che riferisce di averla fatta rientrare nell'alveo dell'ortodossia. Le ultime notizie che si possiedono su Tertulliano risalgono al220. La sua morte si data dopo il 230.
Sono pervenute trenta opereteologiche e polemiche contro i pagani, contro gli avversari religiosi e contro alcunicristiani che non condividevano le sue tesi.
Il poco che può essere desunto da san Cipriano sulla Trinità e sull'Incarnazione, in base agli standard successivi, era corretto. Sulla rigenerazione battesimale, sulla reale presenza di Cristo nell'Eucaristia e sul sacrificio della messa, la sua fede veniva confessata chiaramente e ripetutamente, particolarmente nell'Ep. LXIV sul battesimo infantile e nell'Ep. LXIII sul calice misto, scritta contro l'abitudine sacrilega di usare acqua senza vino per la messa. Sulla penitenza è chiaro, come in tutti gli antichi, che per coloro che furono separati dalla Chiesa dal peccato non ci potesse essere ritorno senza un'umile confessione (exomologesis apud sacerdotes), seguita dallaremissio facta per sacerdotes. Il ministro di questosacramento era ilsacerdos per eccellenza, il vescovo; ma i presbiteri potevano amministrarlo in conformità a quanto da lui stabilito e, in caso di necessità, ilapsi potevano essere riabilitati da un diacono. Non aggiungeva, come dovremmo fare oggi, che, in questo caso, non ci sarebbe sacramento; tali distinzioni teologiche non gli erano confacenti. Nella Chiesa occidentale delIII secolo non c'era che un abbozzo dilegge canonica. Secondo Cipriano, ogni vescovo rispondeva solamente a Dio delle sue azioni, anche se si sarebbe dovuto avvalere della consulenza del clero e dellaicato in tutte le questioni importanti. Il vescovo di Cartagine aveva una posizione privilegiata come capo onorario di tutti i vescovi delle province dell'Africa Proconsolare, di Numidia e della Mauretania, che erano circa cento; ma non aveva una realegiurisdizione su di loro. Sembra, inoltre, che si riunissero ad ogni primavera a Cartagine, ma le loro decisioni conciliari non avevano forza di legge. Se un vescovo fosse caduto nell'apostasia, fosse diventato eretico o avesse commesso un peccato grave, poteva essere deposto dai suoi comprovinciali o dal papa stesso. Cipriano, probabilmente, riteneva che le questioni sull'eresia fossero sempre troppo evidenti per avere bisogno di molte discussioni. Pensava che, dove era interessata la disciplina interna, Roma non dovesse interferire e che l'uniformità non era desiderabile.
Nelle sue opere, Cipriano si rivolgeva ad un pubblico cristiano; il suo fervore aveva libero gioco, il suo stile era semplice, anche se impetuoso e a volte poetico, per non dire fiorito. Pur senza essere classico, il suo stile era corretto per la sua epoca e il ritmo con cui cadenzava le frasi era rigoroso e comune a tutte le sue opere migliori. Nel complesso, la bellezza del suo stile raramente fu eguagliata dai padri latini e fu sorpassata solo dall'energia e dallo spirito diSan Girolamo.San Cipriano fu il primo grande scrittore cristiano in latino, dato che Tertulliano cadde nell'eresia e il suo stile era aspro e complesso. Fino ai giorni di Girolamo e di Agostino, le opere di Cipriano non ebbero rivali in tutto l'occidente.
Le scarse notizie biografiche provengono dasan Girolamo che, (Chronica ad annum;De viris illustribus, III, 79, 80;Lettera 58), afferma che Arnobio fu un retore pagano di Sicca Veneria, nell'Africa proconsolare, che avrebbe avuto per discepoloLattanzio e avrebbe anche scritto contro la dottrina cristiana. Convertitosi alla fine delIII secolo grazie a un sogno, chiese di ricevere il battesimo per poter far parte della comunità cristiana; allo scopo di superare i dubbi del suo vescovo sulla sincerità della conversione scrisse, dopo la fine del regno diDiocleziano (284 -305) e prima dell'Editto di Milano (313), un'opera apologetica in sette libri,Adversus gentes, intitolata poiAdversus nationes, nel manoscritto più antico pervenutoci nelIX secolo.
Scritti per lettori ignari dei contenuti della fede cristiana, con lo stile del retore, letterario e ampolloso ma anche, quando occorre, ironico e realistico, i libri I e II espongono la divinità della figura di Cristo e della religione cristiana - che egli considera in accordo con le teorie dei migliori filosofi pagani, rilevando tendenze cristiane già inPlatone - trattano una teoria dell'anima e ribattono le accuse dei pagani al cristianesimo di essere responsabile delle tragedie che colpiscono l'umanità; i libri III, IV e V attaccano lamitologia pagana, considerata contraddittoria e immorale, riportando preziose notizie su templi, riti e idoli; i libri VI e VII difendono i cristiani dalle accuse di empietà.
Scarsi sono i riferimenti alNuovo Testamento e sembra sorprendente la mancanza di citazioni dall'Antico Testamento del quale non riconoscerebbe i presupposti al Nuovo; del resto, la sua concezione del Dio cristiano è del tutto estranea alla visione ebraica: deriva dall'epicureismo l'inaccessibilità indifferente fra esso,Deus summus, e tutte le altre creature, compresi gli altri dei, che per Arnobio esistono realmente ma sono subordinati alDeus princeps.
Una derivazione gnostico - platonica si nota nella sua concezione dell'anima, materiale e creata da undemiurgo (II, 36): l'uomo è unessere cieco che non conosce se stesso ma la convinzione dell'esistenza del divino è innata nell'anima, malgrado la sua materialità (I, 33) perché la rivelazione lo ha reso partecipe della sapienza divina, ed essa può pertanto raggiungere l'immortalità attraverso la grazia di Dio, mentre le anime dei dannati si dissolvono tra le fiamme dell'inferno (II, 32 e 61).
Nato da famiglia pagana, fu allievo diArnobio aSicca Veneria. Per la propria fama di retore fu chiamato daDiocleziano, su consiglio di Arnobio, aNicomedia, inBitinia, capitale della parte orientale dell'Impero e residenza ufficiale dell'imperatore, come insegnante diretorica (290 circa).
Fu costretto a lasciare il suo ufficio nel303 a causa dellepersecuzioni contro icristiani, alla cuireligione si era convertito. Lattanzio abbandonò quindi la Bitinia nel306, per farvi ritorno cinque anni dopo, in seguito all'editto di tolleranza diGalerio. Nel317Costantino I lo chiamò aTreviri, inGallia, come precettore del figlio Crispo. Probabilmente morì a Treviri qualche tempo dopo.
Per il suo stile elegante e il periodare articolato si guadagnò il soprannome di "Cicerone cristiano" da parte dei più importanti uomini delRinascimento, comeAngelo Poliziano eGiovanni Pico della Mirandola.
Le opere pervenute sono:
Sono perdute le opere del periodo pagano e le lettere, è incerta l'attribuzione a Lattanzio del poemetto in ottantacinquedisticiDe ave phœnice (L'uccello fenice), dove il mito dellafenice è assimilato alla passione, morte e resurrezione diCristo.
In quest'opera, composta negli anni 303-304 d.C., Lattanzio polemizza con le tesi delle filosofie ellenistiche e soprattutto con quelle degli epicurei, sostenendo la grandezza della Provvidenza divina e l'intervento di Dio anche nella costituzione fisiologica dell'uomo, che è sufficiente già di per sé a mostrare la perfezione del disegno di Dio.
Questo scritto, affine ai due precedenti per tono e argomento, fu composto intorno al 313. In esso Lattanzio, contrapponendosi alla tesi degli stoici e degli epicurei, sostiene che è ammissibile la collera divina, come espressione di opposizione e rifiuto del male, e che Dio punisce l'uomo colpevole e peccatore dinanzi all'eterna giustizia divina, mirando attraverso ciò a ripristinare l'ordine compromesso dall'insorgere e dal prevalere del male[33].
Di attribuzione incerta[34], scritto probabilmente tra il 316 e il 321, affronta il problema delle persecuzioni da parte degli imperatori contro i Cristiani. Gli imperatori si sono rivelati malvagi e poco onorevoli anche per la storia di Roma, ma prima o poi tutti sono stati colpiti dalla punizione divina e hanno concluso in modo tragico od inglorioso la propria vita, costituendo per i posteri un monito chiaro ed esemplare.
Quest'opera, composta tra il 304 e il 313 in sette libri, da cui più tardi egli stesso ricavò un'epitome in un solo libro, polemizza con i pagani, confutando i fondamenti ed il culto della loro religione ed espone in maniera sistematica la dottrina cristiana. Al primo scopo Lattanzio dedica i primi tre libri del trattato (De falsa religione,De origine erroris,De falsa sapientia), all'altro suo intento i rimanenti quattro (De vera sapientia et religione,De justitia,De vero cultu,De vita beata). Lattanzio chiarisce esplicitamente la finalità dell'opera quando dice di scrivere:
Particolarmente apprezzabile è il suo tentativo di recuperare e inglobare i valori della cultura e della civiltà antica, le stesse speculazioni filosofiche, nella nuova verità cristiana.
Proveniente da una famiglia aristocratica gallo-romana, Ilario fu subito attratto dallafilosofia. Era sposato e padre di una bambina di nome Abra, quando i religiosi della sua comunità lo acclamaronovescovo di Poitiers nel353. Prese sotto la sua protezionesan Martino, futurovescovo di Tours.
Ancora poco addentro ai problemi della fede, scoprì solo nel354 ilsimbolo di Nicea. Fu presente al sinodo diBéziers nel356 e al concilio di Seleucia inIsauria nel359, dove ottenne l'unità tra i sostenitori del simbolo di Nicea e chi sosteneva che ilCristo era simile nella sostanza al Padre.
A causa della sua forte opposizione all'arianesimo, per la quale fu soprannominato "l'Atanasio dell'occidente", nel 356 venne mandato in esilio inFrigia dall'imperatoreCostanzo II.
Nei cinque anni seguenti ebbe modo di approfondire il pensiero dei padri orientali, maturando dentro di sé i frutti che gli permisero di scrivere la sua opera più famosaSulla Trinità (De Trinitate).Di sant'Ilario restano degli scritti esegetici e teologici ed alcuni inni.
Altre opere:
Le sue opere vennero pubblicate daErasmo da Rotterdam aBasilea nel1523,1526 e1528.
Fu una delle personalità più importanti nella Chiesa delIV secolo. È venerato comesanto da tutte leChiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, laChiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimidottori della Chiesa d'Occidente, insieme asan Girolamo,sant'Agostino esan Gregorio I papa
Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, per il luogo di nascita, o più comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a sanCarlo Borromeo esan Galdino è patrono e della quale fuvescovo dal374 fino alla morte, nella quale è presente labasilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.
Conosciuto semplicemente comesant'Agostino[35] èPadre,dottore esanto dellaChiesa cattolica, detto ancheDoctor Gratiae ("Dottore della Grazia"). SecondoAntonio Livi,filosofo,editore esaggista italiano di orientamentocattolico, è stato «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto»[36]. Se leConfessioni sono la sua opera più celebre,[37] si segnala per importanza, nella vastissima produzione agostiniana,La città di Dio[38].
(Incipit delleConfessioni)
L'opera è costituita da un continuo discorso che Agostino rivolge aDio (libri 1-9), da cui il termineconfessione, e inizia con unaInvocatio Dei ("invocazione di Dio").
Successivamente (capitoli I-IX) l'autore incomincia con la narrazione, interrotta frequentemente da ampie e profonde riflessioni, della sua infanzia, vissuta aTagaste, e degli anni dei suoi studi e poi di professione comeretore nella città diCartagine. Durante questo periodo Agostino vive una vita dissoluta e corrotta, fino a quando a 19 anni la lettura dell'Hortensius diCicerone (opera andata perduta) lo indirizza sulla via dellafilosofia che lo porta all'adesione alManicheismo. Il suo lavoro lo porta quindi aRoma e poi aMilano, dove avviene la sua conversione alCristianesimo e vienebattezzato dall'alloravescovo di Milano,Sant'Ambrogio. La narrazione autobiografica si conclude con il ritorno inAfrica e la nomina avescovo diIppona, carica che ricopre a partire dal395.
Negli ultimi 4 capitoli l'autore rivolge la sua attenzione ad una serie di considerazioni sull'essenza del tempo, sul suo ruolo nella vita dell'uomo, e sulla sua origine (risalente allaCreazione), effettuando un commento dei relativi passi dellaGenesi.
Nella sua opera Agostino svela quindi i tre significati del termineconfessio:
L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica dellastoria dal punto di vista cristiano, principalmente per controbattere alle accuse della società pagana contro i cristiani: Agostino afferma che la vita umana è dominata dall'alternativa fondamentale tra il vivere secondo la carne e il vivere secondo lo spirito, avendo quindi un'alternativa. Quest'ultima si svolge e divide in due città: la "Civitas Terrena", ossia la città della carne, la città terrena, la città del diavolo, fondata da Caino che è Babilonia e la "Civitas Dei", ossia la città dello spirito, la città celeste fondata da Abele. Importante notare anche la simbologia scritturistica in cui Caino è un contadino e in quanto tale strettamente legato alla terra, la deve far sua per avere da essa un guadagno; Abele invece è un pastore, sfrutta la terra ma non vi è legato in quanto passa sulla terra e non si stanzia, tende, per un certo verso, a una meta più ambita e fruttifera: il cielo.
(La città di Dio, XIV, 28)
Nessuna città prevale sull'altra. Nella storia, infatti, le due città sono mischiate e mai separate, come se ogni uomo vivesse contemporaneamente nell'una e nell'altra. Sta quindi a quest'ultimo la scelta di decidere da che parte schierarsi. L'uomo si trova al centro tra queste due città e solo il giudizio universale può separare definitivamente i beati dai peccatori.
Ognuno potrà capire a quale città appartiene solo interrogando se stesso.
Agostino, in corrispondenza dei sei giorni (Exameron) della creazione distingue sei periodi storici:
Questo schema viene poi affiancato da un'ulteriore suddivisione delle epoche storiche, stavolta tripartita: nella prima non lottano contro le tentazioni del mondo, in quanto senza leggi; nella seconda tentano di vincere i beni materiali, ma invano; nella terza riescono finalmente a lottare contro i beni mondani, uscendone poi vittoriosi.
In particolare, nel pre-epilogo deLa città di Dio, XXII, 30, 5, Agostino scrive:
Ipse etiam numerus aetatum, veluti dierum, si secundum eos articulos temporis computetur, qui Scripturis videntur expressi, iste sabbatismus evidentius apparebit, quoniam septimus invenitur; ut prima aetas tamquam primus dies sit ab Adam usque ad diluvium, secunda inde usque ad Abraham, non aequalitate temporum, sed numero generationum; denas quippe habere reperiuntur. Hinc iam, sicut Matthaeus evangelista determinat, tres aetates usque ad Christi subsequuntur adventum, quae singulae denis et quaternis generationibus explicantur: ab Abraham usque ad David una, altera inde usque ad transmigrationem in Babyloniam, tertia inde usque ad Christi carnalem nativitatem. Fiunt itaque omnes quinque. Sexta nunc agitur nullo generationum numero metienda propter id quod dictum est: Non est vestrum scire tempora, quae Pater posuit in sua potestate. Post hanc tamquam in die septimo requiescet Deus, cum eumdem diem septimum, quod nos erimus, in se ipso Deo faciet requiescere. De istis porro aetatibus singulis nunc diligenter longum est disputare; haec tamen septima erit sabbatum nostrum, cuius finis non erit vespera, sed dominicus dies velut octavus aeternus, qui Christi resurrectione sacratus est, aeternam non solum spiritus, verum etiam corporis requiem praefigurans. Ibi vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus. Ecce quod erit in fine sine fine. Nam quis alius noster est finis nisi pervenire ad regnum, cuius nullus est finis?»
Se anche il numero delle epoche, confrontato ai giorni, si calcola secondo i periodi di tempo che sembrano espressi dalla sacra Scrittura, questo sabatismo acquisterebbe maggiore evidenza dal fatto che è al settimo posto. La prima epoca, in relazione al primo giorno, sarebbe da Adamo fino al diluvio, la seconda dal diluvio fino ad Abramo, non per parità di tempo ma per numero di generazioni, perché si riscontra che ne hanno dieci ciascuna. Da quel tempo, come delimita il Vangelo di Matteo, si susseguono fino alla venuta di Cristo tre epoche, che si svolgono con quattordici generazioni ciascuna: la prima da Abramo fino a Davide, la seconda da lui fino alla deportazione in Babilonia, la terza fino alla nascita di Cristo (Matteo 1, 17[39]). Sono dunque in tutto cinque epoche. La sesta è in atto, da non misurarsi con il numero delle generazioni per quel che è stato detto: Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato al suo potere (Atti degli Apostoli 1, 7[40]). Dopo questa epoca, quasi fosse al settimo giorno, Dio riposerà quando farà riposare in se stesso, come Dio, il settimo giorno, che saremo noi. Sarebbe lungo a questo punto discutere accuratamente di ciascuna di queste epoche; tuttavia la settima sarà il nostro sabato, la cui fine non sarà un tramonto, ma il giorno del Signore, quasi ottavo dell'eternità, che è stato reso sacro dalla risurrezione di Cristo perché è allegoria profetica dell'eterno riposo non solo dello spirito ma anche del corpo. Lì riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco quel che si avrà senza fine alla fine. Infatti quale altro sarà il nostro fine, che giungere al regno che non avrà fine?»
Quindi in chiusura di testo l'Ipponate non solo attesta, e su base scritturale, una concezione del tempo non più ciclica come per i filosofi Greci bensì lineare e universale in cui si innesta laProvvidenza, ma allude anche a unoctavus aeternus, "quasi ottavo dell'eternità", per indicare il riposo non tanto comeshabbatico approdo del lavoro dei precedenti sei giorni della creazione, quanto come riposo eterno e dunque extratemporale, fine che "non sarà un tramonto".
Agostino fu un autore molto prolifico, notevole per la varietà dei soggetti che produsse, come scritti autobiografici, filosofici, apologetici, dogmatici, polemici, morali, esegetici, raccolte di lettere, di sermoni e di opere in poesia (scritte inmetrica non classica, bensì accentuativa, per facilitare la memorizzazione da parte delle persone incolte). Bardenhewer ne lodava la straordinaria varietà di espressione ed il dono di descrivere gli avvenimenti interiori, di dipingere i vari stati dell'anima e gli avvenimenti del mondo spirituale. In generale, il suo stile è nobile e casto; ma, diceva lo stesso autore, "nei suoi sermoni e negli altri scritti destinati al popolo, intenzionalmente, il tono scendeva ad un livello popolare".
Queste opere, in gran parte composte nella villa di Cassiciacum, dalla conversione al battesimo (388-387), continuano l'autobiografia di Agostino iniziando il lettore alle ricerche e alle esitazioni platoniche della sua mente. Sono saggi letterari, la cui semplicità rappresenta il culmine dell'arte e dell'eleganza. In nessun'altra opera lo stile di Agostino è così castigato e la sua lingua così pura. La loro forma dialogica dimostra che erano di ispirazione platonica e ciceroniana. Le principali sono:
Le sue opere apologetiche rendono Agostino il grande teorico della fede, e delle sue relazioni con la ragione. «Lui è il primo dei Padri» - affermavaAdolf von Harnack (Dogmengeschichte, III 97) - «che sentì il bisogno di costringere la sua fede a ragionare».
I più notevoli dei suoi lavori biblici illustrano o una teoria dell'esegesi (generalmente approvata) che si diletta nel trovare interpretazioni mistiche ed allegoriche, o lo stile della predicazione che si fonda su quei punti di vista. La sua produzione strettamente esegetica è ben lontana, tuttavia, dall'eguagliare il valore scientifico di quella diGirolamo: la sua conoscenza delle lingue bibliche era insufficiente. Comprendeva il greco con qualche difficoltà e, per quanto riguarda l'ebraico, tutto ciò che si può desumere dagli studi di Schanz e Rottmanner è che aveva familiarità con il punico, una lingua simile all'ebraico. Inoltre, le due grandi qualità del suo genio, la prodigiosa sottigliezza e l'ardente sensibilità, lo portarono a destreggiarsi tra interpretazioni che a volte erano più ingegnose che realistiche. Tra le sue opere vanno ricordate:
Nato a Stridone inIlliria, studiò aRoma e fu allievo diGaio Mario Vittorino e diElio Donato. Si dedicò anche agli studi di retorica, terminati i quali si trasferì aTreviri, dove era ben nota l'anacoresiegiziana, insegnata per qualche anno daSant'Atanasio durante il suo esilio[41]. Si trasferì poi adAquileia, dove entrò a far parte di una cerchia di asceti riunitisi in comunità sotto il patronato dell'arcivescovoValeriano, ma, deluso dalle inimicizie che erano sorte fra gli asceti, partì per l'Oriente[41]. Ritiratosi nel deserto dellaCalcide, vi rimase un paio di anni (375 -376) vivendo una dura vita dianacoreta.
Fu questo periodo ad ispirare i numerosi pittori che lo rappresenteranno comeSan Girolamo penitente ed è a questo periodo che risale l'episodio leggendario del leone che, afflitto da una spina penetratagli in una zampa, gli sarebbe poi stato accanto, grato poiché Girolamo gliel'avrebbe tolta; così come la tradizione secondo la quale Girolamo era uso far penitenza colpendosi ripetutamente con un sasso[41].
Deluso anche qui dalle diatribe fra gli eremiti, divisi dalladottrina ariana, tornò adAntiochia, da dove era passato prima di venire in Calcide, e vi rimase fino al378, frequentando le lezioni diApollinare di Laodicea e divenendopresbitero, ordinato dal vescovoPaolino di Lucca. Si recò quindi aCostantinopoli, dove poté perfezionare lo studio delgreco sotto la guida diGregorio Nazianzeno (uno deiPadri cappadoci). Risalgono a questo periodo le letture dei testi diOrigene e diEusebio.
Allorché Gregorio Nazianzeno lasciò Costantinopoli, Girolamo tornò a Roma, nel382, dove fu segretario dipapa Damaso I, divenendone il più probabile successore. Qui si formò un gruppo di vergini e di vedove, capeggiate da una certa nobile Marcella e dalla ricca vedovaPaola, cui si accompagnavano le figlieEustochio e Blesilla, che vollero dedicarsi ad una vita ascetica fatta dipreghiera,meditazione,astinenza e penitenza e delle quali Girolamo divenne padre spirituale[42].
Il rigore morale di Girolamo, però, che era decisamente favorevole all'introduzione delcelibato ecclesiastico e all'eradicazione del fenomeno delle cosiddetteagapete, non era ben visto da buona parte delclero, fortemente schierato su posizionigiovinianiste. In una lettera adEustochio, Girolamo si esprime contro le agapete nei seguenti termini:
(dallaLettera a Eustochio, Sofronio Eusebio Girolamo)
Alla morte di papa Damaso I, la curia romana contrastò con grande determinazione ed efficacia l'elezione di Girolamo, anche attribuendogli una forte responsabilità nella morte della sua discepola Blesilla. Questa era una nobile ventenne romana, appartenente allagens Cornelia, che era rimasta vedova ancor fanciulla e che aveva seguito la madre Paola e la sorella Eustochio nel gruppo di dame che avevano deciso di seguire la vita monastica con le rigide regole di Girolamo, morendo ben presto, probabilmente a causa dei troppidigiuni. Data la singolarità dell'evento e la grande popolarità della famiglia di Blesilla, il caso sollevò un grande clamore. Gli avversari di Girolamo affermarono che le mortificazioni corporali teorizzate erano semplicemente degli atti di fanatismo, i cui perniciosi effetti avevano portato alla prematura morte di Blesilla. Caduta la sua candidatura, sul finire del384, fu eletto papa il diaconoSiricio.
Girolamo, seguito dal fratello Paoliniano, dal prete Vincenzo e da alcuni monaci a lui fedeli, s'imbarcò daOstia nell'agosto del385, seguito poco dopo anche dalle discepole Paola, Eustochio ed altre appartenenti alla comunità delle ascete romane[43], e tornò in Oriente, dove continuò la sua battaglia in favore del celibato clericale. Grazie anche ai fondi della ricca vedova Paola, Girolamo fondò aBetlemme un monastero maschile, dove andò a vivere, e uno femminile. Dal385 alla morte visse nel monastero da lui fondato. Qui visse dedicandosi alla traduzione biblica, alla redazione di alcune opere ed all'insegnamento ai giovani. Anche questo periodo ha ispirato numeroso pittori, che lo ritrarranno come scrittore nella sua cella monastica, ispirato dalloSpirito Santo ed accompagnato dal fido leone[43]. Nel 404 morì la sua discepola Paola, che verrà poi venerata come santa, ed alla quale egli dedicòpost mortem l'Epitaphium sanctae Paulae.
Morì nel420, proprio nell'anno in cui il celibato, dopo essere stato lungamente disatteso, venne imposto al clero da una legge dell'imperatoreOnorio.
LaVulgata, prima traduzione completa inlingua latina dellaBibbia, rappresenta lo sforzo più impegnativo affrontato da Girolamo. Nel 382, su incarico dipapa Damaso I, affrontò il compito di rivedere la traduzione deiVangeli e successivamente, nel 390, passò all'antico testamento in ebraico, concludendo l'opera dopo ben 23 anni.
Il testo di Girolamo è stato la base per molte delle successive traduzioni della Bibbia, fino alXX secolo, quando per l'antico testamento si è cominciato ad utilizzare direttamente iltesto masoretico ebraico e laSeptuaginta, mentre per ilNuovo Testamento si sono utilizzati direttamente i testi greci. La Vulgata è ancora oggi il testo liturgico della messa in latino.
Girolamo fu un celebre studioso dellatino in un'epoca in cui questo implicava una perfetta conoscenza delgreco. Fu battezzato all'età di venticinque anni e divenne sacerdote a trentotto anni. Quando cominciò la sua opera di traduzione non aveva grandi conoscenze dell'ebraico, perciò si trasferì a Betlemme per perfezionarne lo studio.
Girolamo utilizzò un concetto moderno di traduzione che attirò le accuse da parte dei suoi contemporanei; in una lettera indirizzata a Pammachio, genero della nobildonna romana Paola, scrisse:
(Epistulae 57, 5, trad. di R. Palla)
Nel trattatoAdversus Iovinianum, scritto nel393 in due libri, l'autore esalta la verginità e l'ascetismo, spesso derivando le sue argomentazioni da autori classici comeTeofrasto,Seneca,Porfirio.
Tra gli altri argomenti, Girolamo difende strenuamente l'astinenza dalla carne:
(Adversus Jovinanum, I, 30)
Nello specifico, all'interno del trattato, la parte relativa all'alimentazione corrisponde alla terza sezione [PL 23,303-326]. In essa Gerolamo per controbattere alla tesi di Gioviniano, secondo la quale “l'astinenza non è migliore dell'assunzione riconoscente del cibo”, ribadisce l'importanza del digiuno non solo nella tradizione della Chiesa ma anche nella storia della filosofia[44]
IlDe Viris Illustribus, scritto nel392, intendeva emulare le "Vite"svetoniane dimostrando come la nuova letteratura cristiana fosse in grado di porsi sullo stesso piano delle opere classiche. Sono presentate le biografie di 135 autori in prevalenza cristiani (ortodossi ed eterodossi), ma anche ebrei e pagani, che però hanno avuto a che fare con il cristianesimo, con uno scopo dichiaratamente apologetico:
(Prologo, 14)
Le biografie hanno inizio daPietro apostolo e terminano allo stesso Girolamo ma, mentre nelle successive Girolamo elabora conoscenze personali, le prime 78 sono frutto di conoscenze di seconda mano non sempre completamente affidabili, tra cuiEusebio di Cesarea.
L'opera venne talora indicata da Girolamo stesso col titoloDe scriptoribus ecclesiasticis.
L'opera è una traduzione latina delChronicon diEusebio di Cesarea, composta nelIV secolo e perduta nella sua originale versione greca. Ultimata nel381, ilChronicon tratta dei periodi storici e mitici della Storia universale a partire dalla nascita diAbramo fino all'anno325. I protagonisti sono sia figure mitologiche comeMinosse, il reEdipo ePriamo, che esseri realmente esistiti, come il Gran ReSerse I di Persia,Giulio Cesare eDario III di Persia.
L'opera, composta nel378 circa, rappresenta un dialogo traLucifero di Cagliari, un antiariano, e un ortodosso anonimo.
L'opera scritta nel383 Gerolamo inveisce controElvidio il quale dichiarava che la VergineMaria dopo aver generatoGesù avesse partorito altri figli. Nella seconda parte del testo Gerolamo esalta con lodi la verginità della Madonna.
Orosio ritornò in Africa e, spinto da Agostino, scrisse la prima storia universale cristiana: gliHistoriarum adversus paganos libri septem[Nota 8] (Patrologia Latina, XXXI, 663 - 1174 oOrosii opera, ed. Zangemeister, in "Corpus script. eccl. lat.", V, Vienna, 1882), pensati come un complemento aLa città di Dio (De civitate Dei) del maestro, in particolare al terzo libro, nel quale Agostino dimostra che l'Impero romano soffriva di varie calamità tanto prima quanto dopo l'affermarsi delCristianesimo comereligione di Stato, contro la tesi pagana secondo la quale l'aver abbandonato gli dei romani era stata la causa delle calamità.
Agostino voleva che ciò fosse dimostrato in un'opera sé stante analizzando per intero la storia di tutte le popolazioni dell'antichità, e con l'idea fondamentale che Dio determina i destini delle nazioni. In base alla sua teoria, due imperi principalmente avevano governato il mondo:Babilonia a est eRoma a ovest. Roma aveva ricevuto l'eredità di Babilonia tramite gli imperi Macedone e poi Cartaginese. Così sostiene che ci furono quattro grandi imperi nella storia: un'idea ampiamente accettata nelMedioevo. Il primo libro descrive brevemente il mondo e ne traccia la storia dal Diluvio alla fondazione di Roma; il secondo fornisce la storia di Roma fino al sacco della città a opera deiGalli, dellaPersia fino aCiro II e dellaGrecia fino allabattaglia di Cunassa; il terzo si occupa principalmente dell'impero macedone sottoAlessandro Magno ed i suoi successori, così come la storia romana contemporanea; il quarto porta la storia di Roma fino alla distruzione diCartagine; gli ultimi tre libri trattano solo la storia romana, dalla distruzione di Cartagine fino ai giorni dell'autore. Il lavoro, ultimato nel 418, mostra i segni di una certa fretta. Oltre alle Sacre Scritture e allaCronica diEusebio di Cesarea rivista da Girolamo, utilizzò come fontiLivio,Eutropio,Cesare,Svetonio,Floro eGiustino. Conformemente allo scopo apologetico, sono descritte tutte le calamità sofferte dalle varie popolazioni.
Sebbene superficiale e frammentario, il lavoro è apprezzabile perché contiene informazioni contemporanee sul periodo dopo il 378.
Fu ampiamente utilizzato durante il Medioevo come compendio. L'opera è tramandata da quasi 200 manoscritti. È arrivata fino ai giorni nostri una traduzione anglosassone delleHistoriae adversus paganos di Alfredo il Grande, nota anche comeOrosio anglosassone (ed. H. Sweet, Londra, 1843);Bono Giamboni ne diede una traduzione in italiano (ed. Tassi, Firenze 1849; edd. parziali inCesare Segre,Volgarizzamenti del Due e del Trecento, Torino 1953 e inCesare Segre,La prosa del Duecento, Milano-Napoli 1959); dalla traduzione diBono Giamboni deriva una traduzione aragonese ancora inedita.
Scritta durante la carcerazione, i cinque libri dellaDe consolatione philosophiae si presentano come un dialogo nel quale la Filosofia, personificata da «una donna di aspetto oltremodo venerabile nel volto, con gli occhi sfavillanti e acuti più della normale capacità umana; di colorito vivo e d'inesausto vigore, benché tanto avanti con gli anni da non credere che potesse appartenere alla nostra epoca», dimostra che l'afflizione patita da Boezio per la sventura che lo ha colpito non ha in realtà bisogno di alcuna consolazione, rientrando nell'ordine naturale delle cose, governate dallaProvvidenza divina.
Si può dividere l'opera in due parti, una costituita dai primi due libri e l'altra dagli ultimi tre. È una distinzione che corrisponde a quanto raccomandato dallostoicoCrisippo nella cura delle afflizioni: quando l'intensità della passione è al culmine, prima di ricorrere ai rimedi più efficaci, occorre attendere che essa si attenui. Così infatti si esprime la Filosofia (I, VI, 21): «siccome non è ancora il momento per rimedi più energici, e la natura della mente è tale che, respingendo le vere opinioni, subito si riempie di errori, dai quali nasce la caligine delle perturbazioni che confonde l'intelletto, io cercherò di attenuare a poco a poco questa oscurità in modo che, rimosse le tenebre delle passioni ingannevoli, tu possa conoscere lo splendore della luce vera».
Una medicina leggera, «qualcosa di dolce e di piacevole che, penetrato al tuo interno, apra la strada a rimedi più efficaci», è la comprensione della natura della fortuna, esposta nel II libro utilizzando temi della filosofia stoica edepicurea. La fortuna (II, I, 10 e segg.) «era sempre la stessa, quando ti lusingava e t'illudeva con le attrattive di una felicità menzognera […] se l'apprezzi, adeguati ai suoi comportamenti, senza lamentarti. Se aborrisci la sua perfidia, disprezzala […] ti ha lasciato colei dalla quale nessuno può essere sicuro di non essere abbandonato […] ti sforzi di trattenere la ruota della fortuna, che gira vorticosamente? Ma, stoltissimo fra tutti i mortali, se si fermasse, non sarebbe più lei». Del resto, quello che la fortuna ci dà, saremo noi stessi a doverlo abbandonare in quell'ultimo giorno della nostra vita che (II, III, 12) «è pur sempre la morte della fortuna, anche della fortuna che dura. Che importanza credi allora che abbia, se sia tu a lasciarla morendo, o se sia lei a lasciarti, fuggendo?».
Se dunque ci rende infelice tanto il suo abbandono durante la nostra vita, quanto il fatto che, morendo, dobbiamo abbandonare i doni che quella ci ha elargito in vita, allora la nostra felicità non può consistere in quei doni effimeri, in cose mortali, e neppure nella gloria, nel potere e nella fama, ma deve essere dentro noi stessi. Si tratta allora di conoscere «l'aspetto della felicità vera», dal momento che ciascuno (III, II, 1) «per vie diverse, cerca pur sempre di giungere a un unico fine, che è quello della felicità. Tale fine consiste nel bene: ognuno, una volta che l'abbia ottenuto, non può più desiderare altro». Dimostrato che (III, IX, 2) «con le ricchezze non si ottiene l'autosufficienza, non la potenza con i regni, non con le cariche il rispetto, non con la gloria la fama, né la gioia con i piaceri», tutti beni imperfetti, occorre determinare la forma del bene perfetto, «questa perfezione della felicità».
Ora, il bene perfetto, il «Sommo Bene», è Dio, dal momento che, secondo Boezio, sviluppando una concezione neoplatonica (III, X, 8) «la ragione dimostra che Dio è buono in modo da poterci convincere che in lui vi è anche il bene perfetto. Se infatti non fosse tale, non potrebbe essere l'origine di ogni cosa; vi sarebbe altro, migliore di lui, in possesso del bene perfetto, a lui precedente e più prezioso; è chiaro che le cose perfette precedono quelle imperfette. Pertanto, per non procedere all'infinito col ragionamento, dobbiamo ammettere che il sommo Dio sia del tutto pieno del bene sommo e perfetto; ma s'era stabilito che il bene perfetto sia la vera felicità: dunque la vera felicità è posta nel sommo Dio».
Nel IV libro (I, 3) Boezio pone il problema di come «pur esistendo il buon reggitore delle cose, i mali esistano comunque e siano impuniti […] e non solo la virtù non venga premiata ma sia persino calpestata dai malvagi e punita al posto degli scellerati». La risposta, secondo lo schema platonico, della Filosofia, è che tutti, buoni e malvagi, tendono al bene; i buoni lo raggiungono, i malvagi non riescono a raggiungerlo per loro propria incapacità, mancanza di volontà, debolezza. Perché infatti i malvagi (IV, II, 31 - 32) «abbandonata la virtù, ricercano i vizi? Per ignoranza di ciò che è bene? Ma cosa c'è di più debole della cecità dell'ignoranza? Oppure sanno cosa cercare ma il piacere li allontana dalle retta via? Anche in questo caso si dimostrano deboli, a causa dell'intemperanza che impedisce loro di opporsi al male? oppure abbandonano il bene consapevolmente e si volgono al vizio? Ma anche così cessano di essere potenti e cessano persino di essere del tutto». Infatti il bene è l'essere e chi non raggiunge il bene è privo necessariamente dell'essere: dell'uomo ha solo la parvenza: «tu potresti chiamare cadavere un uomo morto, ma non semplicemente uomo; così, i viziosisono malvagi ma nego che essisiano in senso assoluto».
Nel quinto e ultimo libro Boezio tratta il problema della prescienza eprovvidenza divina e dellibero arbitrio. Definito il caso (I, I, 18) «un evento inaspettato prodotto da cause che convergono in cose fatte per uno scopo determinato», per Boezio il concorrere e confluire di quelle cause è «il prodotto di quell'ordine che, procedendo per inevitabile connessione, discende dalla provvidenza disponendo le cose in luoghi e in tempi determinati». Il caso, dunque, non esiste in sé stesso, ma è l'evento di cui gli uomini non riescono a stabilire le cause che lo hanno determinato. È compatibile allora il libero arbitrio dell'uomo con la presenza della prescienza divina e a cosa dovrebbe servire pregare che qualcosa avvenga o meno, se già tutto è stabilito? La risposta della Filosofia è che la previdenza di Dio non dà necessità agli eventi umani: essi restano la conseguenza della libera volontà dell'uomo anche se sono previsti da Dio.
Ma questo stesso problema, così posto dall'uomo, non è nemmeno corretto. Dio è infatti eterno, nel senso che non è soggetto al tempo; per lui non esiste il passato e il futuro, ma un eterno presente; il mondo, invece, anche se non avesse avuto nascita, sarebbe perpetuo, ossia soggetto al mutamento e dunque soggetto al tempo; nel mondo esiste pertanto un passato e un futuro. La conoscenza che Dio ha delle cose non è a rigore un "vedere prima", una previdenza, ma una provvidenza, un vedere nell'eterno presente tanto gli eventi necessari, come sono quelli regolati dalle leggi fisiche, che gli eventi determinati dalla libera volontà dell'uomo.
Discendente da una famiglia di antico lignaggio, risalente addirittura all'età romana, perse presto i genitori Severiano e Turtura e fu cresciuto dal fratello Leandro, che più tardi, intorno all'anno 600, avrebbe avvicendato sul soglio dell'arcidiocesi. Anche Leandro fu fatto santo, come gli altri due fratelliSan Fulgenzio, vescovo diÉcija, eSanta Fiorenza,badessa di forse 40 conventi: quattro fratelli tutti canonizzati.
Proprio nel corso del vescovato di Isidoro, la Spagna visigotica (da lui convertita) riconobbe in questa figura una paternità di rinascita culturale, e di conservazione dei saperi del passato, che vennero da lui racchiusi in compendi ed antologie; riuscì a riunire quindi, tutto lo scibile del tempo, in linea con le possibilità dell'epoca, preservandolo da una possibile dissoluzione indotta dalla disgregazione socio-politica dell'Occidente.
Questa enorme opera di salvaguardia del patrimonio culturale del passato, però, viene descritta quale carenza o limitazione del pensiero[45] nella sua originalità di autore[46].
Riunì, inoltre, diversi concili provinciali tra cui si ricorda in particolare quello del 633, ossia ilquarto Concilio nazionale di Toledo, durante il quale si occupò di uniformare a discapito dei priscillanisti, le formule liturgiche della regione spagnola.
Fu denominatodoctor egregius.
La cappellaTorre del Oro fu per un periodo dedicata a Isidoro.
Isidoro è menzionato anche nellaDivina Commedia[Nota 9].
Le sue opere furono elencate daSan Braulio di Saragozza eIldefonso di Toledo. Ma la sua opera principale resta l'Etymologiarum sive Originum libri XX, che egli mandò, non ancora emendata, a S. Braulio, cui si deve la divisione in 20 libri. LeEtymologiae sono una grandeenciclopedia in cui la materia è ordinata secondo i vocaboli a partire dalla loroetimologia (che può esseresecundum naturam osecundum propositum); la materia dell'opera (da alcuni intitolataOrigines) è così suddivisa:
Gli storici e i critici non sono ancora riusciti a ricostruire nella sua complessità ilcorpus delle fonti cui Isidoro attinse: scrittori classici e dellatarda romanità, autori ecclesiastici, precedenti florilegi e lessici, ecc. Altre opere:Differentiae, sulledifferentiae verborum (lib. I) edifferentiae rerum (II);Allegoriae, spiegazioni "spirituali" di espressioni e nomi biblici;De ortu et obitu Patrum qui in Scriptura laudibus efferuntur, brevi biografie di personaggi biblici;In libros Veteris et Novi Testamenti prooemia;De Veteri et Novo Testamento quaestiones;Liber numerorum qui in sanctis scripturis occurrunt;Mysticorum expositiones sacramentorum seu quaestiones in Vetus Testamentum;De fide catholica ac Veteri et Novo Testamento contra Iudaeos;Sententiarum libri tres (oDe summo bono), manuale di dottrina e di pratica cristiana ispirato soprattutto aSant'Agostino eSan Gregorio Magno;De ecclesiasticis officiis, utilissimo per le descrizioni delle funzioni ecclesiastiche nella Chiesa gotica delVII secolo, dove il confronto con i passaggi sulrito mozarabico, chiarisce che l'Antifona e ilResponsorio li riferisce specificamente alle funzioni di quel rito cristiano;Synonyma, de lamentatione animae peccatricis, guida spirituale, una delle opere più interessanti di Isidoro;De ordine creaturarum;De natura rerum;Chronicon, sulle sei età del mondo, dalla creazione fino al 612 (654 dell'era spagnola);Historiae dei Goti (Visigoti) con appendici sui Vandali e sugli Svevi, fonte molto utile per la storia di Spagna;De viris illustribus;Regula monachorum; alcuneEpistolae.
Il processo di diminuzione dell'uso della lingua latina in letteratura si fa ancora più pesante nell'ultima fase: generalmente tutta la produzione volgare è in continuo aumento, in particolare nella poesia dove ha ormai dominio quasi totale[48]. La cultura subisce un nuovo percorso di laicizzazione, le cui forze non sono però in contrasto con la chiesa[48]; il clero perde il suo ruolo di depositario della cultura, mentre al contrario i nuovi ordini religiosi diSan Francesco eSan Domenico raggrupperanno alcune tra le menti più fulgide.[48] Tutta la letteratura dei due secoli precedenti viene riesaminata e valutata con un invidiabile spirito critico, si raccolgono tutti gli elementi di valore e si cerca di catalogare ogni produzione culturale insummae,itineraria,specula,dicta eopiniones, etc.[Nota 11][49]. IlXII secolo si presenta come uno dei più grandiosi nella storia della cultura medievale, basilare per la comprensione della futura storia europea[50]. Nella prosa la produzione filosofico-teologica la fa da padrone, anche alla luce dell'acquisizione delle opere diAristotele: sullo Stagirita si muovono le differenti interpretazioni, tomiste,[Nota 12] averroistiche, platonico-agostiniane e scientifico-sperimentali. Le maggiori opere in tale genere sono l'Itinerarium mentis in Deum diBonaventura da Bagnoregio e soprattutto laSumma theologiae diTommaso d'Aquino, mentre nel campo dell'esegesi si aggiungono ai dueAlberto Magno eGioacchino da Fiore[51]; da quest'ultimo scaturisce un filone di letteratura spirituale mistica, legato soprattutto all'Ordine francescano, cui appartengonoUbertino da Casale eAngela da Foligno. La produzione laica si dipana sulle arti deltrivio, oltre che sullamedicina, ildiritto e lastoriografia: tra i nomi da citare vi sonoAccursio,Pietro d'Abano,Cecco d'Ascoli,Leonardo Fibonacci,Giovanni Villani,Vincenzo di Beauvais eSalimbene de Adam. Chiudono lo scenario della prosa latina medievale le opere diDante Alighieri, ilDe vulgari eloquentia e ilDe Monarchia[52]. Nella poesia religiosa spiccano ancoraSan Tommaso eJacopone da Todi; una certa forza ha anche la poesia storica, mentre attorno ad esse trionfa la poesia in volgare. In alcuni centri e scuole permane il desiderio di studiare la letteratura classica, il quale spingerà poi la storia europea verso l'Umanesimo[53].
Riguardo al suo pensiero teologico e filosofico, Bernardo esprime sul piano morale un orientamento ispirato, apparentemente, alpessimismo:
San Bernardo, dunque, combatte alcune tesi del suo tempo, come la teoria secondo la quale i discendenti diAdamo edEva non abbiano in sé un «peccato originale» sin dalla nascita, ma solo un «malum poenae», un «male di pena». Bernardo dice anche:
Ciò, evidentemente non è una giustificazione al peccato stesso, ma una spiegazione della miseria umana che nei nostri peccati si rivela, ma che è originata dal peccato originale che in ciascuno è impresso come un marchio. Dunque, la questione fondamentale è restaurare la natura umana, per riportare l'uomo al suo stato di «figlio diDio», e dunque «essere eterno» nella beatitudine del Padre. Poiché ognuno porta in sé il peccato originale, però, nessuno può restaurare la propria natura da solo, ma può farlo solamente attraverso la «mediazione» diCristo, che è «Sotèr» (Σωτὴρ, cioè «Salvatore»), proprio in quanto per noi è morto, espiando al nostro posto quel peccato originale che nessun altro poteva espiare, essendone sottoposto. Nella sua operaDe gradibus humilitatis et superbiae, tuttavia, dice che, per avere la «mediazione» di Cristo, l'uomo deve superare l'«io di carne», deve limitare e poi annullare lasuperbia e l'amore di sé, attraverso l'umiltà. Contro di sé, dunque, deve porre l'amore di Dio, poiché solo col Suo amore si ottiene anche la Sua vera intelligenza, e solo con esso
NelDe diligendo Deo, San Bernardo continua la spiegazione di come si possa raggiungere l'amore di Dio, attraverso la via dell'umiltà. La sua dottrina cristiana dell'amore è originale, indipendente dunque da ogni influenzaplatonica eneoplatonica. Secondo Bernardo esistono quattro gradi sostanziali dell'amore, che presenta come un itinerario, che dal sé esce, cerca Dio, ed infine torna al sé, ma solo per Dio. I gradi sono:
1) L'amore di se stessi per sé:
2) L'amore di Dio per sé:
3) L'amore di Dio per Dio:
4) L'amore di sé per Dio:
(San Bernardo di Chiaravalle,De diligendo Deo, cap. XV)
NelDe diligendo Deo, dunque, San Bernardo presenta l'amore come una forza finalizzata alla più alta e totale fusione in Dio col SuoSpirito, che, oltre ad essere sorgente d'ogni amore, ne è anche «foce», in quanto il peccato non sta nell'«odiare», ma nel disperdere l'amore di Dio verso il sé (la carne), non offrendolo così a Dio stesso, Amore d'amore.
Il 24 maggio1953papa Pio XII scrisse la sua venticinquesimaenciclica, dal titoloDoctor Mellifluus, dedicata a San Bernardo di Chiaravalle.
«Il dottore mellifluo ultimo dei padri, ma non certo inferiore ai primi, si segnalò per tali doti di mente e di animo, cui Dio aggiunse abbondanza di doni celesti, da apparire dominatore sovrano nelle molteplici e troppo spesso turbolente vicende della sua epoca, per santità, saggezza e somma prudenza, consiglio nell'agire.» Questo è l'incipit dell'enciclica, i cui punti chiave sono il ruolo del papato e lamariologia.
Nei suoi tempi confusi, San Bernardo pregava per l'intercessione diMaria, alla stessa maniera, sostiene il Papa, è necessario nei tempi moderni tornare a pregare Maria per la pace e la libertà della Chiesa e delle nazioni.
Nell'enciclica sono riportati tre temi centrali della mariologia di San Bernardo: come egli spiega la verginità di Maria (la "Stella del Mare"), come pregare la Vergine e come confidare in Maria come mediatrice.
Questa opera fu composta tra il 1128, anno del concilio di Troyes ed il 1136, anno della morte di Ugo di Payns, Maestro dell'Ordine dei Templari, cui fu dedicata l'opera, comeexhortatorius sermo ad Milites Templi, riprendendo l'espressione del Santo nel Prologo dell'opera.Esso nacque in risposta alle pressioni che vennero fatte dallo stesso Ugo di Payns, affinché venisse chiarito il ruolo delmiles Christi e la sua sostanziale differenza con gli appartenentisaecularis militia, come la definisce San Bernardo, che serba parole dure nei suoi confronti: «Tra voi null'altro provoca le guerre se non un irragionevole atto di collera, desiderio d'una gloria vana, bramosia di qualche bene terreno. E certamente per tali motivi non è senza pericolo uccidere o morire» (D.L., II, 3).
San Bernardo indica la figura del Cavaliere del Tempio, come un monaco-guerriero, che fa uso di due spade: una, da impiegarsi nella lotta contro il Male, una lotta prettamente interna alla persona e spirituale, e l'altra da porre in difesa degli ultimi ed oppressi, che erano i pellegrini sottoposti alle angherie dei saraceni, i quali ne attaccavano spesso i convogli. Il tema delmalicidio in San Bernardo non è da trattarsi come sterminio dell'infedele, anzi, lo stesso Santo nel corso dell'opera dice: «Vi è tuttavia chi uccide un uomo non per desiderio di vendetta né per brama di vittoria ma solo per salvare la propria vita. Ma neppure questa affermerò essere una buona vittoria: dei due mali il minore è morire nel corpo che nell'anima» (D.L., I, 2). E ancora: «Certo non si dovrebbero uccidere neppure gli infedeli se in qualche altro modo si potesse impedire la loro eccessiva molestia e l'oppressione di fedeli. Ma nella situazione attuale è meglio che essi vengano uccisi piuttosto che lasciare la verga dei peccatori sospesa sulla sorte dei giusti e affinché i giusti non spingano le loro azioni fino all'iniquità» (D.L., III, 4).
Tutto il sermone procede per distinzioni ed indica la via che poi seguirà l'Ordine dei Templari, adempiendo alla propria Regola. Un ordine di monaci-guerrieri, che deve primarecte scire, poirecte agere, in concordia con Cristo Re, per il quale il Cavaliere vince: «Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per sé stesso, dando la morte vince per Cristo.» (D.L., 3).
Opere di Bernardo:
Nacque, ultima di dieci fratelli, aBermersheim vor der Höhe, vicino adAlzey, nell'Assia Renana, nell'estate del1098, un anno prima che icrociati conquistasseroGerusalemme.
Le visioni di Ildegarda sarebbero iniziate in tenera età e avrebbero contrassegnato un po' tutta la sua esistenza. All'età di otto anni, a causa della sua cagionevole salute, era stata messa nel convento di Disibodenberg dai nobili genitori, Ildeberto e Matilda di Vendersheim, dove fu educata da Jutta di Sponheim, giovane aristocratica ritiratasi in monastero. Prese i voti tra il1112 e il1115 dalle mani del vescovoOttone di Bamberga.
Ildegarda studiò sui testi dell'enciclopedismo medievale diDionigi l'Areopagita eAgostino. Iniziò a parlare – e a scrivere –delle sue visioni (che definiva «visioni non del cuore o della mente, ma dell'anima») solo intorno al1136 quando aveva ormai quasi quarant'anni.
Trasferitasi nelmonastero di Rupertsberg, da lei stessa fondato nel1150 le cui rovine furono rimosse nel 1857 per lasciare posto a una ferrovia, si dice facesse vestire sfarzosamente le consorelle, adornandole con gioielli, per salutare con canti le festività domenicali. Nella sua visione religiosa della creazione, l'uomo rappresentava la divinità diDio, mentre la donna idealmente personificava l'umanità diGesù. Nel 1165 fonderà un altro monastero, tuttora esistente e floridissimo centro religioso-culturale, dal lato opposto del Reno ad Eibingen. Il monastero è visitabile e nella Chiesa si possono ammirare gli affreschi che ritraggono i momenti più salienti della vita di Ildegarda e i segni straordinari che accompagnarono il momento del suo trapasso avvenuto il 17 settembre 1179.
Nell'arco di una dozzina di anni, tra la fine del1159 e il1170, compì quattro viaggi pastorali predicando nelle cattedrali diColonia,Treviri,Liegi,Magonza,Metz eWürzburg.
La cosiddetta "trilogia profetica" di Ildegarda è costituita da:
Gli scritti naturalistici di Hildegard sono riuniti nel
a)Physica oLiber simplicis medicinae (edd. C. Daremberg e F. A. Reuss, inPatrologia Latina, vol. 197, che rappresenta il testo del manoscritto parigino; il «Frammento berlinese» è stato edito da H. Schipperges, «Sudhoffs Archiv» 40 (1956), 41-77).
b)Causae et curae oLiber compositae medicinae (Causae et curae, ed. P. Kaiser, Leipzig,1903).
Le altre opere sono:
L'opera omnia di Ildegarda, nell'edizione dellaPatrologia Latina del Migne, èconsultabile online, con indici analitici.
Sono state pubblicate due edizioni dell'Opera Omnia di Alberto, la prima aLione nel1651 a cura di Padre Pietro Jammy, O.P., l'altra a Parigi (Louis Vivès) nel1890-99, sotto la direzione dell'Abate Auguste Borgnet dell'Arcidiocesi di Reims.
Una nuova edizione critica (Editio Coloniensis) è in corso di pubblicazione a cura dell'Albertus-Magnus-Institut; sono previsti 41 volumi, di cui 29 sono già stati pubblicati.
La cronologia delle opere fu stilata da Paul von Loë nella suaAnalecta Bollandiana (De Vita et scriptis B. Alb. Mag., XIX, XX e XXI). La sequenza logica, invece, fu estrapolata da Padre Mandonnet, O.P., nelDictionnaire de théologie catholique. L'elenco che segue indica gli argomenti dei vari trattati, i numeri si riferiscono ai volumi dell'edizione Borgnet.
Opere dubbi e spurie:I volumi 13, 15, 16, 17, 36 e 37 dell'edizione Borgnet contengono solo opere non autentiche.
Nato da una nobile famiglia di Aosta, se ne allontanò poco più che ventenne per seguire la vocazione religiosa; divenne monaco nell'abbazia di Notre-Dame du Bec e, grazie alle sue qualità di uomo di fede e fine intellettuale ne divenne prestopriore, e quindiabate. Si rivelò un abile amministratore e, avendo intrattenuto alcune relazioni con ilregno d'Inghilterra, all'età di 60 anni ricevette l'importante carica diarcivescovo di Canterbury. Negli anni successivi, dapprima sotto il regno diGuglielmo II, quindi diEnrico I, ricoprì un ruolo rilevante nellalotta per le investiture che vedeva contrapposti i sovrani d'Inghilterra e ilpapato. Grazie al suo lavoro politico e diplomatico, svolto in accordo con ilprogramma riformista gregoriano e finalizzato a garantire alla Chiesa l'autonomia dal potere politico, la questione si risolse infine con un compromesso piuttosto vantaggioso per i religiosi.
La riflessione filosofica e teologica di Anselmo, caratterizzata dal primario ruolo riconosciuto allaragione nell'approfondimento e nella comprensione dei dati difede, si articolò su diversi problemi: dimostrazionia priori ea posteriori dell'esistenza di Dio, indagini sui suoi attributi, analisi di questioni didialettica e dilogica sullaverità e sulla conoscibilità diDio, studio di problemi dottrinali come quello circa laTrinità o quelli legati allibero arbitrio, alpeccato originale, allagrazia e in generale almale.
Anselmo vennecanonizzato nel1163[Nota 13] e proclamatodottore della Chiesa nel1720 dapapa Clemente XI (1649–1721).
IlCantico è una lode aDio che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è unapreghiera permeata da una visione positiva dellanatura, poiché nel creato è riflessa l'immagine del Creatore: da ciò deriva il senso di fratellanza fra l'uomo e tutto il creato, che molto si distanzia dalcontemptus mundi, dal distacco e disprezzo per il mondo terreno, segnato dal peccato e dalla sofferenza, tipico di altre tendenze religiose medioevali (come quella instaurata daJacopone da Todi). La creazione diventa così un grandioso mezzo di lode al Creatore.
Composto involgare umbro delXIII secolo (folta la presenza di-u finale - plurale di terza persona in-ano "konfano" - l'epitesi diène - lacongiunzioneka - il verbo "mentovare"), con influssi toscani e francesi, e latinismi. Alcuni latinismi sono puramente grafici, causa di ricorrenti errori di lettura, come ad esempio la dentale doppiact (tucte,fructi =tutte,frutti) e il grafemacti disanctissime (=santissime)[54]. La critica ha discusso a lungo, senza precise conclusioni, il valore da attribuire alla preposizione "per": il suo uso è infatti centrale nella definizione della natura "laudatoria" del componimento. Numerose le interpretazioni che ne sono state date: 1) valore causale; 2) strumentale; 3) agente; 4) mediale; 5) di stato in luogo; 6) circostanziale.
IlCantico ha la forma diprosaritmicaassonanzata. Il testo era fornito di accompagnamento musicale, composto dallo stesso Francesco, oggi perduto. La semplicità del sentimento espresso è rispecchiata da una sintassi semplice, nella quale i termini sono spesso coordinati perpolisindeto (esempio: "et per aere et nubilo et sereno et onne tempo", verso 13) e gli aggettivi sono numerosi. I versetti sono raggruppati in piccoli blocchi facilmente riconoscibili, differenziati dal punto di vista tematico. L'omogeneità di tali blocchi è assicurata da calcolati artifici formali, che la critica moderna ha riabilitato come raffinati e attenti, non ingenui come si pensava in epocaromantica.
Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di raccordo fra lacristianità e lafilosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri inSocrate,Platone eAristotele, e poi passati attraverso ilperiodo ellenistico, specialmente in autori comePlotino. Fu allievo disant'Alberto Magno, che lo difese quando i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!».
LaSumma Theologiae è la più famosa delle opere diTommaso d'Aquino. Fu scritta negli anni1265–1274, negli ultimi anni di vita dell'autore; la terza e ultima parte rimase incompiuta.È il trattato più famoso dellateologiamedioevale e la sua influenza sullafilosofia e sulla teologia posteriore, soprattutto nelcattolicesimo, è incalcolabile.
Concepita come un manuale per lo studio della teologia più che come operaapologetica di polemica contro i non cattolici, nella struttura dei suoi articoli è una esemplificazione tipica dello stile intellettuale dellascolastica. Deriva da un'opera anteriore, laSumma Contra Gentiles, che era di contenuto più apologetico.
Tommaso la scrive tenendo presenti lefonti propriamentereligiose, cioè laBibbia e idogmi dellachiesa cattolica, ma anche le opere di alcuni autori dell'antichità:Aristotele è l'autorità massima in campo filosofico, eAgostino di Ippona in campo teologico. Sono citati frequentemente anchePietro Lombardo, teologo e autore del manuale usato all'epoca, gli scritti delsecolo V delPseudo-Dionigi l'Areopagita,Avicenna eMosè Maimonide, studiosogiudeo non molto anteriore a Tommaso, del quale egli ammirava l'applicazione del metodo investigativo.
Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizionefrancescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico. Difese e ripropose la tradizionepatristica, in particolare il pensiero e l'impostazione disant'Agostino. Egli combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero. Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle diAvicenna e diAvicebron, ispirate alneoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo. Egli sostiene, infatti, che:
Secondo Bonaventura è ilCristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.
Il progetto di Bonaventura è una riduzione (reductio artium) non nel senso di un depotenziamento delle arti liberali, bensì della loro unificazione sotto la luce della verità rivelata, la sola che possa orientarle verso l'obiettivo perfetto a cui tende imperfettamente ogni conoscenza, il vero in sé che è Dio. La distinzione delle nove arti in tre categorie,naturali (fisica,matematica,meccanica),razionali (logica,retorica,grammatica) emorali (politica, monastica, economica) riflette la distinzione dires, signa edactiones la cui verticalità non è altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è per Bonaventura non altro che il rifrangersi della luce con la quale Dio illumina il mondo: prima del peccato originale Adamo sapeva leggere indirettamente Dio nelLiber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata anche perdita di questa capacità.
Per aiutare l'uomo nel recupero della contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo ilLiber Scripturae, conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti smarrirebbe se stessa nell'autoreferenzialità.Attraverso l'illuminazione della rivelazione, l'intelletto agente è capace di comprendere il riflesso divino delle verità terrene inviate dall'intelletto passivo, quali pallidi riflessi delle verità eterne che Dio perfettamente pensa mediante il Verbo.Ciò rappresenta l'accesso al terzo libro,Liber Vitae, leggibile solo per sintesi collaborativa tra fede e ragione: la perfetta verità, assoluta ed eterna in Dio, non è un dato acquisito, ma una forza la cui dinamica si attua storicamente nella reggenza delle verità con le quali Dio mantiene l'ordine del creato. Lo svelamento di quest'ordine è la lettura del terzo libro che per segni di dignità sempre maggior avvicina l'uomo alla fonte di ogni verità.
Laprimitas divina o "primalità di Dio" è il sostegno a tutto l'impianto teologico di Bonaventura. Nella sua prima opera, ilBreviloquium, egli definisce i caratteri della teologia affermando che, poiché il suo oggetto è Dio, essa ha il compito di dimostrare che la verità della sacra scrittura è da Dio, su Dio, secondo Dio ed ha come fine Dio. L'unita del suo oggetto determina come unitaria ed ordinata la teologia perché la sua struttura corrisponde ai caratteri del suo oggetto. Nella sua opera più famosa, l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"), Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gliaverroisti).
Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa, ricondurlo infine a Dio. Secondo Bonaventura, dunque, il «viaggio» spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla «ragione suprema» di Dio stesso.
Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umilepreghiera, poiché:
La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla "scala" dei 4 gradi dell'amore diBernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:
1) Il grado esteriore:
2) Il grado interiore:
3) Il grado eterno:
Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi l'anima ha anche tre diverse direzioni:
(San Bonaventura da Bagnoregio,Itinerarium mentis in Deum)
Dunque, per Bonaventura, l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umana, in quanto solo essa determina lasinderesi, cioè la disposizione pratica al bene.
L'opera ebbe un'ampia diffusione e un cospicuo seguito fino alXVII secolo. Sopravvivono circa 1400codicimanoscritti dell'opera, a testimonianza della sua enorme diffusione nelMedioevo, inferiore solo allaBibbia, e della sua grande influenza culturale. La Legenda Aurea fu presto tradotta in volgare. Per il Medioevo ci sono rimaste dieci edizioni in italiano, diciotto in alto-tedesco, sette in basso tedesco, diciassette in francese, quattro in inglese, tre in ceco, dieci in olandese.
Altrettanto ampio fu il successo delle versioni a stampa, con quarantanove versioni fra il 1470 e il 1500, ventotto fra il 1500 e il 1530 e tredici fra il 1531 e il 1560.
Solo nel secolo successivo, con gli studi storiografici dei padribollandisti, l'intero genere dei leggendari medievali fu screditato e con essi anche laLegenda Aurea venne dimenticata.
L'edizione critica più recente dellaLegenda Aurea è quella pubblicata nel1998 (riedita nel 2007 con traduzione italiana e commento dei singoli capitoli) per le cure di Giovanni Paolo Maggioni.In precedenza si utilizzava il testo stabilito da Graesse (Lipsia 1846).
L'opera appartiene al genere dellaagiografia. L'autore raccolse, in unsantorale organizzato secondo l'anno liturgico, circa centocinquanta vite di santi. Privilegiò i santi antichi, ma senza trascurare la sua epoca. Le vite di santi sono intercalate con una trentina di capitoli dedicati alle principali festecristologiche,mariane eliturgiche, più alcuni racconti legati allaLeggenda della Vera Croce.
L'originalità dell'opera consiste, secondoJacques Le Goff, nella capacità di intrecciare il tempo liturgico (ciclo annuale) con quello lineare della successione dei santi (tempo santorale, in quanto i santi stessi diventano marcatori del tempo), e infine col tempoescatologico, nel quale l'umanità si dirige verso il Giudizio Universale. In sintesi, "il nostro domenicano vuole mostrare come solo il cristianesimo ha saputo strutturare e sacralizzare il tempo della vita umana per condurre l'umanità alla salvezza".
Le fonti utilizzate furono principalmente i leggendari deidomenicaniGiovanni da Mailly eBartolomeo da Trento. Il metodo seguito fu quello dell'abbreviatio.
LaComedìa, conosciuta soprattutto comeCommedia oDivina Commedia[Nota 14] è unpoema diDante Alighieri, scritto interzine incatenate diversi endecasillabi, inlingua volgarefiorentina. Composta secondo i critici tra il1304 e il1321, anni del suo esilio inLunigiana e Romagna[Nota 15]. LaCommedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze dellaciviltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta una delle più grandi opere dellaletteratura di tutti i tempi[Nota 16].
Il poema è diviso in tre parti, chiamatecantiche (Inferno,Purgatorio eParadiso), ognuna delle quali composta da 33canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di unviaggio immaginario, ovvero di unItinerarium Mentis in Deum[Nota 17], attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione dellaTrinità. La sua rappresentazione immaginaria eallegorica dell'oltretombacristiano è un culmine dellavisione medievale del mondo sviluppatasi nellaChiesa cattolica.
L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano comelingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento dellastampa, in un ampio numero dimanoscritti.Parallelamente si diffuse la pratica dellachiosa e del commento al testo (si calcolano circa 60 commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine)[55], dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così disecolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte dellaCommedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione deltesto critico. Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata daGiorgio Petrocchi[56]. Più di recente due diverseedizioni critiche sono state curate daAntonio Lanza[57] eFederico Sanguineti[58].
LaCommedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi diErich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica dellarealtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.
NelTriumphus Cupidinis (il Trionfo d'Amore) si narra di come, in un giorno di primavera, il poeta si addormentò aValchiusa e vi fece un sogno dove la personificazione dell'Amore passava su un carro trionfale, seguito da una schiera di seguaci che sono ivinti dall'amore; entrando nella schiera il poeta vi riconosce numerosi personaggi illustri, storici, letterari, mitologici, biblici oltre a poeti antichi, medievali e trovatori. Nel corteo parla con diversi personaggi e alla fine approda aCipro, isola dove nacqueVenere.
Il secondo trionfo è ilTriumphus Pudicitie (Trionfo dellaPudicizia): la protagonista èLaura, che sottrae al carro di Amore molte illustri donne antiche e medievali, comeDidone; questo secondo corteo si scioglie aRoma, nelTempio della Pudicizia Patrizia.
NelTriumphus Mortis (Trionfo dellaMorte) il poeta rievoca eroi e popoli scomparsi e ricorda, in uno dei passi più significativi del poema, la morte idealizzata di Laura.
Alla Morte tuttavia succede la Fama: nelTriumphus Fame vengono infatti descritti una folla di uomini illustri, re, poeti, oratori, filosofi, capitani, e altri. È opportuno notare come per Petrarca il filosofo maggiore siaPlatone, a differenza diDante, che prediligevaAristotele.
NelTriumphus Temporis (Trionfo delTempo) il poeta riflette su sé stesso e compone una nuova toccante elegia sulla fugacità delle cose e dei giorni che passano.
A chiudere la successione vi è un ultimo trionfo, ilTriumphus Eternitatis (Trionfo dell'Eternità): Petrarca trova sostegno in Dio, che trionfa su tutto e su tutti, annientando anche il Tempo e la Morte. Il poeta qui immagina Laura in paradiso ed esprime la speranza di raggiungerla.
LaGerusalemme liberata vera e propria, completata dall'autore nel1575, fu pubblicata aVenezia senza l'autorizzazione del poeta nell'estate del1580 daCelio Malespini con il titolo diGoffredo, presso l'editore Cavalcalupo. L'edizione presentava molti errori e soltanto quattordici canti.
L'anno successivo l'opera fu pubblicata integralmente daAngelo Ingegneri prima aParma e poi aCasalmaggiore[59]. Pochi mesi dopo, il 24 giugno1581, usciva aFerrara la prima edizione autorizzata dal Tasso, per i tipi di Baldini e a cura di Febo Bonnà.
In seguito ad altre edizioni e alla liberazione dalla prigionia di Sant'Anna, il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse espungendo gran parte delle scene amorose, accentuando il tono religioso e epico della trama, eliminando alcuni episodi e cambiando infine anche il titolo inGerusalemme conquistata, opera che, data la notevole revisione, viene generalmente considerata separatamente[60].
La prima edizione illustrata dellaGerusalemme liberata fu stampata aGenova nel 1590. Il volume comprende venti incisioni con scene del poema, in parte diAgostino Carracci e in parte di Giacomo Franco, tratte da disegni diBernardo Castello. Agostino Carracci incise, sempre su disegno del Castello, anche il frontespizio del libro, dove compare un ritratto del Tasso.
L'idea di scrivere un'opera sulla prima crociata è mossa da due obiettivi di fondo: raccontare la lotta tra pagani e cristiani, di nuovo attuale nella sua epoca, e raccontarla nel solco della tradizione epica-cavalleresca.Sceglie la prima crociata in quanto è un tema non così ignoto al tempo da lasciar pensare che fosse inventata, ma anche adatto all'elaborazione fantastica.
Il tema centrale è epico-religioso. Tasso cercherà di intrecciarlo con temi più leggeri, senza però sminuire l'intento serio ed educativo dell'opera. Nel poema si intrecciano due mondi, l'idillico e l'eroico.
Goffredo di Buglione è il personaggio principale che raduna i cavalieri cristiani e li guida alla liberazione di Gerusalemme.
Il centro dell'opera è l'assedio di Gerusalemme difesa da valorosi cavalieri.Da un lato i principali cavalieri cristiani tra cui Tancredi e Rinaldo dall'altro il Re Aladino, Argante, Solimano e Clorinda.Una serie di vicende si intrecciano nell'opera e ci sarà sempre il dualismo tra Bene e Male, e sebbene ci sia anche qui la magia, l'intervento sovrumano è dato da Cielo ed Inferno, angeli e demòni, intrecciate con suggestioni erotico-sensuali.
Il poema ha una struttura lineare, con grandi storie d'amore, spesso tragiche o peccaminose; come se il tema dell'amore sensuale, sebbene contrapposto a quello eroico, fosse necessario e complementare ad esso.
Si ripropone quindi quel dissidio irrisolto tra tensione religiosa e amore terreno al quale la poesia daPetrarca in poi si era ampiamente ispirata.
Tasso si pone come obiettivo quello di allontanarsi dalFurioso diAriosto, per rispettare i precetti letterari stabiliti dalla traduzione dellaPoetica compiuta daAlessandro de' Pazzi nel 1536. In primo luogo respinge il meraviglioso fiabesco del romanzo cavalleresco a favore del meraviglioso cristiano: gli interventi soprannaturali di Dio, degli angeli e anche delle creature infernali, che appaiono verosimili al lettore in quanto fanno parte delle verità di fede. In secondo luogo, respinge anche la costruzione formale ariostesca, la quale è caratterizzata dalla molteplicità delle azioni che si intrecciano tra di loro, che comprometterebbe l'unità di azione stabilita dai precetti aristotelici. Egli, tuttavia, riconosce che la varietà è necessaria per il diletto. Per conciliare questa antitesi afferma che il poema deve essere vario, ossia rappresentare più situazioni (battaglie, amori, tempeste, siccità ecc.) ma tutte devono essere sottoposte ad un mondo unitario. In un passo dei Discorsi egli paragona il poema al mondo, che presenta notevoli varietà di situazioni, ma tutte soggiogate alla mente ordinatrice divina. In terzo luogo, si vuole allontanare anche dallo stile medio tipico di Ariosto a vantaggio dello stile sublime. Lo stile deve avere «lo splendore di una meravigliosa maestà». Le parole devono essere «peregrine», ossia lontane dall'uso corrente. La sintassi «avrà del magnifico se saranno lunghi i periodi e lunghi i membri de' quali il periodo è composto».
Tasso afferma che la poesia può unire al "vero" il "verosimile", a condizione di mantenere una coerenza storica nello sviluppo complessivo della vicenda. La storia, ricondotta nell'alveo dell'intervento provvidenziale di Dio, permette di realizzare lo scopo educativo e, per conseguire il diletto, che per Tasso è l'altro fine irrinunciabile, l'elemento "meraviglioso" sarà anch'esso di impronta cristiana, consisterà cioè nella partecipazione di angeli e demòni.
La lista completa degli scritti di Bellarmino e di quelli diretti contro di lui può essere rintracciata nellaBibliotheque de la compagnie de Jésus diCarlos Sommervogel. I seguenti sono i più importanti:
Scritti polemici:
Opere catechetiche e spirituali:
Le ultime cinque sono opere spirituali scritte durante i ritiri spirituali annuali.
Opere esegetiche e di altro genere:
Figlio di Guglielmo Russo, o più probabilmente "de Rossi", commerciante veneziano, ed Elisabetta Masella, ancora fanciullo diviene orfano di padre. Studia nelle scuole esterne deiFrancescaniConventuali di San Paolo Eremita inBrindisi. Tra il1565 e il1567 prende l'abito dei conventuali, passando così alla scuola per oblati e candidati alla vita religiosa. L'usanza dei Conventuali di far predicare i fanciulli in alcune solennità fa iniziare la sua predicazione pubblica. La morte della madre, oltre che a lasciarlo solo, crea a Giulio notevoli difficoltà economiche, senza per questo ricevere l'aiuto dei parenti, neppure di quel Giorgio Mezosa che è suo insegnante presso i Conventuali. Il ragazzo quattordicenne si trasferisce allora aVenezia presso uno zio sacerdote, direttore di una scuola privata e curatore dei chierici diSan Marco, potendo così proseguire gli studi e maturare la vocazione nell'ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Il 18 febbraio1575 veste l'abito francescano e gli è imposto dal vicario provinciale, padre Lorenzo da Bergamo, il suo stesso nome: da quel momento sarà padre Lorenzo da Brindisi. APadova segue gli studi di logica e filosofia e nuovamente aVenezia quelli di teologia. Il 18 dicembre1582 è ordinato sacerdote. Nel1589 diviene Vicario Generale dell'Ordine inToscana, nel1594 Provinciale di Venezia, nel1596 secondo Definitore Generale, nel1598 Vicario Provinciale inSvizzera, nel1599 nuovamente Definitore Generale. Sempre nel 1599 è posto a guida dei missionari che i cappuccini, su invito del Pontefice, inviano inGermania. Nell'ottobre del1601 il religioso chiede di essere uno dei quattro cappellani dediti all'assistenza spirituale delle truppe cattoliche nella guerra contro i turchi. È quindi destinato all'accampamento imperiale diAlbareale inUngheria, dove giunge il 9 ottobre e dove si distingue per l'aiuto e per la fermezza durante l'attacco turco.
Nel1602 tornò in Italia per partecipare al capitolo dell'Ordine e venne incaricato dall'imperatoreRodolfo II di farsi ambasciatore presso il duca di MantovaVincenzo Gonzaga affinché restituisse il feudo diCastel Goffredo al marchese diCastiglioneFrancesco Gonzaga[61], al quale venne tolto dopo una lunga disputa. La mediazione fallì.
Il 24 maggio dello stesso anno padre Lorenzo viene elettovicario generale dell'Ordine, con l'impegno di visitare tutte le province dell'Ordine. Nel triennio del suo generalato può tornare anche a Brindisi (1604), dove decide la costruzione di una chiesa con annesso monastero di clausura trovando i finanziatori nel duca diBaviera, nella principessa diCaserta ed in altre personalità conosciute durante i suoi viaggi inEuropa, mentre il terreno è quello della sua casa natale.
Nel1618 è aNapoli, dove viene convinto dai patrizi napoletani a recarsi inSpagna per esporre al reFilippo III le malversazioni del viceré donPietro Giron, duca diOssuna. Il 26 maggio1619, evitato l'agguato di sicari ed ostacoli di varia natura, padre Lorenzo viene ricevuto alla corte diFilippo III. Al termine del colloquio col sovrano, per conferma alle sue parole, profetizza la propria morte imminente e che, se lo stesso sovrano non provvederà ai propri sudditi, morirà entro due anni.
Il 22 luglio del1619, probabilmente avvelenato, il frate brindisino muore. Il 31 marzo1621, come profetizzato, si spegne ancheFilippo III, che aveva ignorato le richieste napoletane e aveva favorito il viceré don Pietro Giron.
Opere:
(I promessi sposi,incipit)
I Promessi Sposi sono una vicenda di umili. Si attua un capovolgimento della storia: gli umili sono i veri protagonisti.Lucia Mondella è una contadina umile, riservata e dotata di grande fede religiosa.Renzo Tramaglino ha le doti di un uomo di popolo: bontà, giustizia, religiosità, liberalità, ingenuità. Gli umili sono i protagonisti della storia, non come eserciti o gruppi sociali, ma ciascuno per sé, con il suo gruzzolo di sentimenti e di idee e le sue opere buone. Intorno ai due protagonisti, Renzo e Lucia, è presente un mondo di esseri semplici, contadini, artigiani, barcaioli, barrocciai, sempre pronti al bene nei pensieri e nelle opere.
C'è nel romanzo la vita del villaggio, con i suoi interni squallidi e le campagne, bruciate dalla siccità. Ogni vicenda storica è vista in quanto aderisce alla vita degli umili, li agita, procura loro sofferenza. È questa novità di un giudizio morale che esce da tutte le norme e le convenzioni ed attua ilparadosso delVangelo, che dà al romanzo la sua sostanza religiosa e rivoluzionaria. Il romanzo ha uno sfondo popolano dove gli umili sono solidali nella sventura. La stessa pietà per gli oppressi vi è contenuta, dissimulata dal sorriso con cui sono contemplate le loro debolezze ed errori. Non vi sono solenni quadri storici, ma è presente la fisionomia varia e minuta di un'epoca.
I grandi personaggi sono in funzione subordinata: protettori dei deboli (Federico Borromeo,fra Cristoforo, l'Innominato con la sua conversione) o incarnano gli aspetti negativi di un secolo (don Rodrigo, Azzeccagarbugli, conte Attilio, conte Zio, padre provinciale). I reggitori del destino dei popoli sono macchiette insignificanti: capitani di ventura, sovrani, ministri, ilconte duca d'Olivares,Ferrer, il vicario di provvisione[62]. Il romanzo manzoniano è stato sempre considerato dalla critica tradizionale il romanzo dellaProvvidenza divina. L'intervento di Dio è vivo in tutto il romanzo, ma avvertito con la fede semplice degli umili: "quel che Dio vuole, Lui sa quel che fa; c'è anche per noi"; "lasciamo fare a Quel lassù"; "tiriamo avanti con fede, Dio ci aiuterà".
L'opera di Dio si sente soprattutto negli affanni e nelle tribolazioni; essa è una presenza paterna, amorosa e severa. "La provvida sventura" del coro diErmengarda (Adelchi), il "Dio che atterra e suscita che affanna e che consola" dell'ode napoleonica, sono anche il filo conduttore la trama segreta del romanzo, ma espressi in termini più delicati, familiari, popolareschi[63]. Nell'epilogo dell'Addio monti (cap. VIII, 573 - 574) l'autore scrive: «Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto, e non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una certa e più grande». Il senso di tutta la storia del romanzo (cap. XXXVI, 478-480) sta nelle parole difra Cristoforo a Renzo e Lucia: «Ringraziate il cielo che v'ha condotti a questo stato, non per mezzo dell'allegrezze turbolente e passeggere, ma co' travagli e tra le miserie, per disporvi ad un'allegrezza raccolta e tranquilla».
La "provida sventura" è il dolore che redime, che purifica ed eleva spiritualmente l'animo. La Provvidenza è intesa come una fiducia inDio e nella sua Grazia, un invito ad affidarsi allaFede e agli insegnamenti cristiani di fronte alle avversità della vita: «È una delle facoltà singolari ed incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa» (cap. X, 432-434). Nessuno dei personaggi è inquadrabile in una rigida opposizione tra bene e male, e la Provvidenza si manifesta loro, anche ai potenti, come voce della coscienza, che essi possono decidere di ascoltare oppure no.
«Il pessimismo cristiano diAdelchi si è schiarito ed intenerito in questo dono di fiducia e di attesa in questa luce di "allegrezza raccolta e tranquilla"»[64].Tuttavia a questa chiave di lettura tradizionale del romanzo, che vede appunto nella "Provvidenza" la vera protagonista della vicenda, si contrappone un'altra, invero molto stimolante, soprattutto perché foriera di riflessioni ancora di scottante attualità. Avanzata dallo scrittoreLeonardo Sciascia (1920-1989), uno dei massimi autori italiani del secolo scorso, ma in effetti già fatta propria dal critico salernitanoAngelandrea Zottoli, uno dei maggiori e nello stesso tempo misconosciuti studiosi manzoniani- nel suoIl sistema di don Abbondio[65], - tale chiave di lettura, pur senza ovviamente voler negare il rilevante aspetto religioso dell'opera, vede nel romanzo soprattutto "un disperato ritratto dell'Italia", del Seicento, dei tempi del Manzoni e dei giorni nostri, di sempre[66].
Secondo questa ottica, dunque, il vero protagonista del romanzo sarebbe Don Abbondio, proprio il personaggio «…perfettamente refrattario alla Grazia e che della Provvidenza si considera creditore»[67]. In effetti, simbolo di grettezza ed egoismo portato a livelli sublimi, il curato manzoniano finisce proprio per identificare il prototipo dell'italiano peggiore, menefreghista, convinto che la regola principe alla base della civile convivenza sia quella di farsi gli affari propri anche di fronte alle più palesi iniquità, atteggiamento mentale e di vita che finisce con il favorire le prepotenze di chi calpesta leggi e persone emarginando altresì in maniera micidiale chi tale andazzo vuol combattere.
Insomma quel tipo di italiano ancora oggi lungi dall'essere stato messo all'angolo e che già nel finale deiPromessi sposi appare, secondo Sciascia, come il vero vincitore, perché Don Abbondio se la cava allegramente senza pagare dazio a nessuno, tetragono alle sofferenze di Renzo e Lucia, ma anche ai rimproveri del cardinale Borromeo, che converte sì il terribile Innominato, ma non il curato, con cui predica praticamente al vento! E proprio l'esigenza di non continuare a subire il "sistema di Don Abbondio", secondo Sciascia, costituisce il vero motivo per cui, alla fine del romanzo, a tempesta placata, Renzo e Lucia decidono di abbandonare, stavolta spontaneamente, il loro paese: perché quel sistema, a dispetto del lieto fine, «è uscito temprato dalla vicenda»[67], quel sistema in cui accanto a Don Abbondio fanno spicco i «Ferrer dal doppio linguaggio», gli «Azzeccagarbugli», «i Conti Zio, i Padri Provinciali» e più in generale «le coscienze che facilmente si acquietano»[67].
Vangeli apocrifi dell'infanzia | |||||
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Titolo | Attribuzione pseudoepigrafica | Lingua | Data | Contenuto | Note |
Protovangelo di Giacomo o Vangelo dell'Infanzia di Giacomo o Vangelo di Giacomo | Giacomo apostolo e primo vescovo di Gerusalemme | greco | metà del II secolo | nascita miracolosa diMaria; sua infanzia altempio di Gerusalemme; matrimonio miracoloso conGiuseppe; nascita di Gesù | esalta la natura verginale di Maria; presenta accennignostici |
Codice Arundel 404 (Liber de Infantia Salvatoris) | - | latino | XIV secolo | Nascita miracolosa diMaria; sua infanzia altempio di Gerusalemme; matrimonio miracoloso conGiuseppe; nascita di Gesù | Variante tarda delProtovangelo di Giacomo |
Vangelo dell'infanzia di Tommaso o Vangelo dello pseudo-Tommaso | Tommaso apostolo | greco | metà del II secolo | vari miracoli compiuti da Gesù tra i 5 e 12 anni | presenta accennignostici |
Vangelo dello pseudo-Matteo o Vangelo dell'infanzia di Matteo | Matteo apostolo ed evangelista, tradotto daGirolamo | latino | VIII-IX secolo | nascita miracolosa diMaria; sua infanzia altempio di Gerusalemme; matrimonio miracoloso conGiuseppe; nascita di Gesù; fuga in Egitto; vari miracoli compiuti da Gesù tra i 5 e 12 anni | rielaborazione del materiale presente nelProtovangelo di Giacomo e nelVangelo dell'infanzia di Tommaso con l'apporto originale relativo alla fuga in Egitto |
Vangelo arabo dell'infanzia | Caifa, sommo sacerdote | arabo esiriaco | VIII-IX secolo (?) | nascita di Gesù; fuga in Egitto; vari miracoli compiuti da Gesù tra i 5 e 12 anni | rielaborazione del materiale presente nelProtovangelo di Giacomo, nelVangelo dello pseudo-Matteo e nelVangelo dell'infanzia di Tommaso. Presenta elementi magici tipici delle fiabe popolari |
Vangelo armeno dell'infanzia | - | armeno | redazione definitiva XIX secolo su materiale precedente | nascita miracolosa diMaria; sua infanzia altempio di Gerusalemme; matrimonio miracoloso conGiuseppe; nascita di Gesù; fuga in Egitto; vari miracoli compiuti da Gesù tra i 5 e 12 anni | rielaborazione del materiale presente nelProtovangelo di Giacomo, nelVangelo dello pseudo-Matteo, nelVangelo dell'infanzia di Tommaso e nelVangelo arabo dell'infanzia. Presenta accennimonofisiti |
Libro sulla natività di Maria | tradotto daGirolamo | latino | VIII-IX | nascita miracolosa diMaria; sua infanzia altempio di Gerusalemme; matrimonio miracoloso conGiuseppe; nascita di Gesù | rielaborazione riassuntiva dei primi 11 cc. delVangelo dello pseudo-Matteo |
Storia di Giuseppe il falegname | - | pervenutoci incopto earabo | V-IX secolo (?) | matrimonio di Giuseppe e Maria; nascita di Gesù; descrizione dettagliata della morte di Giuseppe | nella prima parte è una rielaborazione del materiale presente nelProtovangelo di Giacomo e nelVangelo dell'infanzia di Tommaso, la parte relativa alla morte di Giuseppe è originale |
Vangeli gnostici | |||||
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Titolo | Attribuzione | Lingua | Data | Contenuto | Note |
Apocrifo di Giovanni o Libro di Giovanni Evangelista o Libro segreto di Giovanni o Rivelazione segreta di Giovanni | Giovanni, apostolo ed evangelista | copto | II secolo entro il 185 | Rivelazione segreta di Gesù risorto all'evangelista Giovanni, descrivente creazione, caduta, redenzione dell'umanità. Elementi gnostici: tripartizione degli uomini (terreni, psichici, spirituali); creazione deldemiurgo; 7eoni; dicotomia luce/oscurità; divinità intrappolata nell'uomo mortale | Gnostico. Citato daIreneo di Lione, ritenuto perduto fino al ritrovamento di 3 distinte versioni tra iCodici di Nag Hammadi |
Dialogo del Salvatore oDialogo del Redentore | - | copto | II secolo | Dialogo tra il Salvatore (Gesù) e alcuni discepoli nel quale espone la cosmologiagnostica, con qualche accenno antifemminista | Gnostico. Ritenuto perduto fino al suo ritrovamento tra iCodici di Nag Hammadi |
Libro segreto di Giacomo oApocrifo di Giacomo | Giacomo apostolo | copto | II secolo | Rivelazione segreta diGesù risorto aGiacomo | Gnostico. Ritenuto perduto fino al suo ritrovamento tra iCodici di Nag Hammadi |
Libro di Tommaso (il Contendente o l'Atleta) | Giuda Tommaso, apostolo | copto | prima metà del III secolo | Rivelazione segreta di Gesù risorto aTommaso | Gnostico. Ritenuto perduto fino al suo ritrovamento tra iCodici di Nag Hammadi |
Pistis Sophia o Libro del Salvatore | 'noi' discepoli | copto | seconda metà del III secolo (o II secolo?) | Rivelazione segreta di Gesù risorto ai discepoli e esaltazione del ruolo di Maria Maddalena, quale incarnazione diSophia | Gnostico. Perduto per secoli, studiato dal 1795 grazie al manoscritto Askew, ritrovate varianti tra iCodici di Nag Hammadi |
Vangelo di Apelle | Apelle (II secolo), gnostico | - | metà II secolo | - | Citato da alcuni padri, verosimilmente da identificare con l'operaParole di Apelle oRagionamenti di Apelle dello gnosticoApelle (II secolo) |
Vangelo di Bardesane | Bardesane (II-III secolo), gnostico siriaco | - | - | - | Perduto, citato da alcuni padri. Forse va identificato col canonicoVangelo di Giovanni (integrale o modificato) o colDiatessaron diTaziano |
Vangelo di Basilide | Basilide (II secolo), gnostico | - | - | - | Perduto, pervenuteci citazioni patristiche |
Vangelo copto degli Egiziani oSanto libro del grande Spirito invisibile | - | copto | III-IV secolo | Gesù incarnazione diSet per liberare le anime divine dalla prigionia della carne | Gnostico. Ritenuto perduto fino al suo ritrovamento tra iCodici di Nag Hammadi |
Vangelo greco degli Egiziani | - | greco | Inizi del II secolo inEgitto | Dialogo di Gesù risorto presso il sepolcro con la discepolaSalome. Ascetismo sessualegnostico-encratita | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche |
Vangelo di Eva | - | - | II-III secolo (?) | Eva cerca di apprendere la conoscenza, dunque la salvezza, mangiando il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Esaltazione delcoito interrotto e ingoiaresperma come atto religioso | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche, forse coincide colVangelo della Perfezione |
Vangelo secondo Filippo | Filippo, apostolo | copto, probabilmente da un prototestogreco perduto | metà-fine II secolo | Vari detti di Gesù, molti sui sacramenti.Cristo eMaria Maddalena consorti, ma in senso spirituale: sono incarnazioni rispettivamente deglieoni (=emanazioni di Dio)Cristo eSophia, che hanno generato dall'eternità tutti gli angeli | Gnostico. Perduto, non menzionato daPadri della Chiesa, ritrovato tra iCodici di Nag Hammadi |
Vangelo di Giuda | Giuda Iscariota, apostolo traditore | copto, forse da un prototestogreco perduto | metà del II secolo, prima del 180 | Gesù stesso chiese a Giuda di tradirlo. Descrive la cosmologiagnostica | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche, ritrovato aal-Minya (Egitto) nel 1978 |
Vangelo di Maria oVangelo di Maria Maddalena | - | copto, da un prototestogreco perduto | metà del II secolo | Esalta il ruolo della discepolaMaria Maddalena. | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche, ritrovati frammenti in greco e copto |
Vangelo di Mattia oTradizioni di Mattia | Mattia, apostolo sostituto diGiuda Iscariota | greco | metà del II secolo | Rivelazione segreta diGesù aMattia | Gnostico, usato daBasilide (II secolo). Perduto, pervenuteci citazioni patristiche |
Vangelo della Perfezione | - | - | - | - | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche, forse coincide colVangelo di Eva |
Vangelo dei Quattro Reami Celesti | - | - | - | - | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche |
Vangelo del Salvatore oVangelo di Berlino | - | copto, da un prototestogreco perduto | II-III secolo | Dialogo tra il Salvatore (Gesù) e i suoi discepoli | Gnostico. Conservato nel frammentariopapiro Berolinensis 22220 databile al VI secolo, studiato dal 1999 |
Sapienza di Gesù Cristo oSofia di Gesù Cristo | - | copto | II-III secolo | Dialogo traGesù risorto e alcuni suoi discepoli | Gnostico. Perduto, ritrovato tra iCodici di Nag Hammadi |
Vangelo di Tommaso, o Vangelo di Didimo Thoma o Quinto Vangelo | Tommaso, apostolo | copto, forse da un prototestogreco perduto | II secolo | Raccolta di detti diGesù, probabilmente simile aiLogia | Perduto, ritrovato tra iCodici di Nag Hammadi |
Vangelo della Verità | - | copto, da un prototestogreco perduto | metà del II secolo | Dissertazione su alcuni punti fondamentali dellognosticismo | Gnostico. Perduto, pervenuteci citazioni patristiche (Ireneo lo attribuisce aValentino), ritrovato tra iCodici di Nag Hammadi |
(Dante Alighieri,Divina Commedia,Paradiso, X, 130-132)
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