Lafarina bóna ofarina sec'a è un prodotto tradizionale dellaValle Onsernone. Si tratta di unafarina digranoturco, ottenuta macinando molto finemente la granella tostata. In passato integrava quotidianamente la dieta degli Onsernonesi accompagnata alatte,acqua ovino.
Il cambiamento delle abitudini alimentari intervenuto nel secondo dopoguerra ne fece diminuire progressivamente l'importanza. La produzione venne poi completamente abbandonata alla fine degli anni '60 del Novecento, dopo la cessazione dell'attività dell'ultimo mugnaio onsernonese.Le iniziative e le ricerche sviluppatesi in seguito al restauro del mulino di Loco, realizzato dal Museo Onsernonese nel 1986, sono riuscite a risvegliare alla memoria questo antico prodotto ed a farne riprendere timidamente la produzione.La segnalazione di “prodotto dell'arca slow food” da parte di Meret Bissegger, l'impegno del docente Ilario Garbani-Marcantini ed il coinvolgimento dell'Istituto scolastico vallerano hanno in seguito permesso di approfondirne la conoscenza storica, soprattutto facendo capo alle testimonianze raccolte a Vergeletto, creando le premesse per un miglioramento del prodotto e della produzione e permettendo così di far conoscere lafarina bóna ben al di là dei confini dellaValle Onsernone.L'origine dellafarina bóna non è nota. La testimonianza più antica finora conosciuta si trova nei quaderni lasciati daSerafino Schira di Loco (1826-1914). L'autore vi elenca alcuni prodotti a base di farina bóna e dà una succinta descrizione del modo di produzione.
Testimonianze orali e scritte certificano inoltre la produzione difarina bóna aVergeletto. Qui la granella tostata e macinata veniva e viene tuttorachiamata “farina sec'a”. Questa denominazione è da ricondurre all'intento di distinguerla dalla “farina verda”, macinata senza tostatura.Nella memoria di diversi anziani diVergeletto rimane ancora vivo in particolare il ricordo della “farina sec'a” prodotta dalla signora Annunziata Terribilini, detta Nunzia (1883-1958).Per la produzione dellafarina bóna venivano usate diverse varietà di granoturco, provenienti perlopiù dal piano (Locarnese e Ticino in generale). Vi sono però pure testimonianze di piccoli quantitativi di mais coltivato in valle.Latostatura avveniva usualmente nei mulini stessi, in una speciale padella posata sul fuoco.Sembra che il processo di tostatura presentasse delle differenze regionali. A Vergeletto la Nunzia tostava il mais fino a che almeno un terzo circa dei chicchi fosse scoppiato e avesse messo una specie di cresta (da qui il nome dighèl - galli in italiano - dato ai chicchi tostati). L'ultimo mugnaio attivo aLoco, Remigio Meletta scartava invece accuratamente tutti i chicchi scoppiati. Si può ipotizzare che questa cernita fosse dovuta ad una difficoltà di macinatura del prodotto dalla consistenza troppo eterogenea.Lamacinatura, che concludeva il processo di produzione, doveva essere molto fine, così da ottenere, come testimonia lo Schira, una farina dalla consistenza "paragonabile a un filo di seta". Questo era possibile unicamente con l'impiego di macine molto lisce, regolari e prive di rigatura, come si trovano per esempio ancora oggi nei mulini in rovina di Vergeletto o fra le pietre molitorie raccolte dal Museo Onsernonese.
Mentre in tempi passati la si mangiava mescolata ad acqua o latte (freddo o caldo), conmirtilli,fragole ovino, oggi il suo utilizzo è molto disparato: lafarina bóna può essere impiegata per la preparazione digelato[1],birra,grissini, biscotti,mousse, torte,Spätzle, minestre e così via.