Labattaglia di Muʾta (in araboغزوة مؤتة?,Ghazwat Muʾta) fu un fatto d'armi che contrappose il 31 agosto del629, nei pressi del villaggio di Muʿta, nellaBalqāʾ, la neonataUmmaislamica agli alleati arabo-cristiani deiGhassanidi dell'imperoBizantino inSiria.
L'episodio costituì il più autorevole referente per la successiva campagna di conquista della Siria, avviata dal primoCaliffoAbū Bakr e portata a compimento dal suo successoreʿUmar b. al-Khaṭṭāb.
Malgrado la tradizione islamica parli di volontà di vendicare l'uccisione di un incaricato del Profeta, inviato a Bosra (una delle corti dei Ghassanidi), l'azione mirava con ogni probabilità a conseguire un obiettivo importante, anche se limitato rispetto alla conquista dell'interoBilād al-Shām (la Siria). Essa cioè avrebbe teso a portare all'obbedienza diMedina alcuni gruppi tribaliarabi (come iBali) cheerravano liberamente traSiria ePenisola araba. Il fine nel quale l'azione s'iscriveva era quindi quello di estendere il controllo dellaUmma a tutto l'elemento arabofono della Penisola araba,[1] di cui la regione siriana costituisce in qualche modo la propaggine più settentrionale.
Malgrado le cifre fornite dalla tradizione arabo-islamica parlino in modo assolutamente non realistico di 100 000 uomini - che nella realtà non avrebbero potuto neppure essere approvvigionati, specialmente nell'austero clima economico generato dalla pluridecennale guerra che aveva contrapposto Bizantini (e loro alleati arabi) ai persiani Sasanidi (e loro alleati arabi), elevati addirittura a 200 000 dal fantasioso resoconto biografico del Profeta, riveduto più o meno assennatamente daIbn Hishām, dello scontro non si sa quasi nulla, salvo che avvenne nelle vicinanze del villaggio di Muʾta e che l'esito fu assolutamente catastrofico per imusulmani. L'uno dopo l'altro morirono infatti i tre comandanti musulmani (Zayd b. Ḥāritha,Jaʿfar b. Abī Ṭālib eʿAbd Allāh b. Rawāḥa), senza che le forze contrapposte potessero patire grandi perdite.
La caduta del cugino del Profeta, Jaʿfar b. Abī Ṭālib (cuiMaometto era assai affezionato e che gli somigliava in maniera accentuata), provocò l'intenso dolore del Profeta, consolato solo dal resoconto di chi disse di aver visto il suo cadavere sollevato da due angeli e portato direttamente in Cielo, in quanto martire ( shahīd ) caduto neljihād. Grazie a questa pia tradizione Jaʿfar fu soprannominato da quel momento "Jaʿfar al-ṭayyār", "Jaʿfar che vola".
A salvare il salvabile e riportare in patria i sopravvissuti, ormai completamente allo sbando, fuKhālid b. al-Walīd che, grazie a quella sua impresa tutt'altro che facile, in un territorio nemico reso ancora più ostile dalla sconfitta subita dai musulmani, si guadagnò il soprannome col quale è tuttora ricordato:Sayf ul-Allah, "Spada di Allah".