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Aquila (storia romana)

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Aquila imperiale romana del II secolo,proveniente forse dalForo di Traiano[senza fonte], nel portico esterno dellaBasilica dei Santi Apostoli a Roma.

L'aquila, nel periodo antico, rappresentava l'Icona diGiove, padre di tutti gli dei, e protettore dellostato. Era una delle insegne usate dallelegioni.

L'aquila bicefala, in etàbizantina, assurse a rappresentare laNuova Roma e le due metà dell'Impero, riunificate dopo la caduta dell'Occidente o l'unione diAsia edEuropa.

Dopo la caduta dell'impero romano l'aquila (singola o bicefala) venne utilizzata diffusamente qualesimbolo araldico e come richiamo all'antica grandezza dell'Impero Romano. Partendo daCarlo Magno, primoimperatore del Sacro Romano Impero, l'aquila, simbolo di potere, si ritrova dunque negli stemmi delle maggiori dinastie europee e non solo ed essa è tuttora inclusa nellostemma degli Stati Uniti d'America, in quello dellaGermania e in quello dellaRussia.

In quanto simbolo diGiove Ottimo Massimo venne assegnata, per scelta del console arpinateGaio Mario, come insegna di guerra a ciascunalegione romana. In battaglia e durante le marce era tenuta in consegna dall'aquilifer (aquilifero) e strenuamente difesa. La sua perdita era motivo di disonore epoteva causare lo scioglimento dell'unità.[senza fonte] L'aquila imperiale, infine, era uno dei simboli delle propri delle singole legioni romane.[1]

Storia

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Augusto di Prima Porta, il reFraate IV deiParti restituisce le insegne (l'aquila) deiRomani sottratte durante la sconfitta diCarre forse aTiberio, affiancato dallaLupa

La presenza dell'aquila come simbolo dei sovrani di Roma è testimoniata daDionigi di Alicarnasso il quale racconta come tra le insegne federali che i capi delle città etrusche portarono a Roma da Tarquina, in seguito alla vittoria di Tarquinio Prisco, vi fosse uno scettro con sopra un'aquila che il re continuò ad adottare «per tutto il tempo della sua esistenza».

Sallustio narra che Gaio Mario la usò per la prima volta come insegna nella guerra contro i Cimbri consegnandone una a ogni legione e tale uso rimase da allora.

Ai tempi diGaio Giulio Cesare era fatta d'argento eoro. A partire dalla riformaaugustea il materiale utilizzato fu il solo oro. L'aquila era custodita dalla primacenturia della primacoorte, conservata presso l'accampamento (assieme aisigna militaria) all'interno dell'aedes signorum, uno degli edifici deiPrincipia (quartier generale della legione).

L'aquila usciva dall'accampamento romano solo in occasione dei trasferimenti dell'intera legione, sotto la responsabilità di un sottufficiale legionario, l'Aquilifer il quale, oltre a doverne garantire la custodia, era incaricato di portarla in battaglia e difenderla anche a costo della propria vita. In tal senso, l'aquilifer può essere paragonato ad unalfiere, quindi un giovaneufficiale dei moderni eserciti e la stessa aquila può essere considerata come unabandiera di guerra o unostendardo.

Era segno di grave disfatta la sua perdita, evento che accadde in rare occasioni come nel corso dellabattaglia della foresta di Teutoburgo nel9, quando ben treaquilae caddero nelle mani del nemicogermanico.[2] Nel corso invece dellarivolta batava, l'aver consegnato le rispettiveaquilae al nemico germanico, fu causa per le quattro intere legioni del proprio scioglimento. Ciò che accadde nel70 allaIGermanica,IIIIMacedonica,XVPrimigenia eXVIGallica[3] In altri casi fu segno di grande vergogna ed ignominia, ma non di scioglimento, come accadde ad unalegio V Gallica nel17 a.C.[4] o allalegio XII Fulminata nel66 durante laprima guerra giudaica.[5] Le insegne, quindi, venivano difese fino alla morte, oppure, durante le battaglie, conficcate nel terreno in modo tale da evitare la loro perdita.[6] La testa d'aquila era spesso rappresentata sul pomello delParazonio dei generali romani e sulle corazze degli alti ufficiali.

Note

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  1. ^Come la Lupa capitolina (RIC V 329; MIR 36, 993j; RSC 474a), il cinghiale e il toro (CILIII, 6230;RIC,Septimius Severus, IV, 3; BMCRE p. 21; RSC 256), Minerva e l'ariete (Göbl MIR 988r) e così via.
  2. ^Publio Cornelio Tacito,Annales, I, 60.3; II, 25.1-2.
  3. ^L.Keppie,The making of the roman army, from Republic to Empire, p.214.
  4. ^Velleio Patercolo,Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo, 97.1;Dione,Storia romana, LIV, 20.4.
  5. ^Flavio Giuseppe,Guerra giudaica, II, 22 [499-509]; II, 23 [509-527]; II, 24 [527-555].
  6. ^Tacito,Annali, I, 65.

Bibliografia

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  • E. Abranson e J.P. Colbus,La vita dei legionari ai tempi della guerra di Gallia, Milano 1979.
  • P. Connolly,L'esercito romano, Milano 1976.
  • A.K. Goldsworthy,The Roman Army at War, 100 BC-AD 200, Oxford - N.Y 1998.
  • L. Keppie,The Making of the Roman Army, from Republic to Empire, Londra 1998.
  • Y. Le Bohec,L'esercito romano da Augusto a Caracalla, Roma 1992.
  • E. Luttwak,La grande strategia dell'Impero romano, Milano 1991.
  • Alessandro Milan,Le forze armate nella storia di Roma Antica, Roma 1993.
  • H. Parker,The Roman Legions, N.Y. 1958.
  • G. Webster,The Roman Imperial Army, Londra - Oklahoma 1998.

Voci correlate

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