Commento:Nonostante la presenza di una discreta bibliografia, la voce riporta solamente quattro note in tutto, mancando quindi quasi completamente di riferimenti puntuali alle fonti utilizzate.
IlCaliffato abbaside (in araboالخلافة العباسية?,al-khilāfa al-‘abbāsiyya) fu il terzo dei quattro califfati principali istituiti dopo la morte di Maometto, governato dalla dinastia degli Abbasidi. Prende il nome daal-ʿAbbās b. ʿAbd al-Muṭṭalib - zio paterno delprofetaMaometto e trisavolo del fondatore della dinastia - che si vuole si fosse convertito alla religione predicata dal nipote in una data imprecisata che i detrattori della dinastia ponevano nella sera immediatamente precedente alla conquista (fatḥ) dellaMecca da parte deimusulmani (630).
Il Califfato abbaside ebbe inizio in seguito al rovesciamento della dinastia omayyade, avvenuto nel contesto della cosiddettarivoluzione abbaside del 750.
Il califfato esistette dal 750 al 1258, sia pure entrando in una fase di declino a partire dalla seconda metà delIX secolo. La cattura di Baghdad da parte deiBuwayhidi nel 945 e da parte dell'Impero selgiuchide nel 1055 evidenziarono la subalternità del califfato quale forza politica nel mondo islamico, nonostante periodi di ripresa sotto califfi comeal-Muqtafi eal-Nāṣir li-dīn Allāh. Il califfato ricopriva, al suo apice, un'area di 11,1 milioni di km² ed è uno degliimperi più vasti di sempre, il secondo della storia islamica dopo il solo imperoomayyade (13,4 milioni).[1]
Lapresa di Baghdad da parte dei Mongoli nel 1258 determinò la fine del califfato. Esso venne ricostituito, in forma puramente cerimoniale, dalSultanato mamelucco del Cairo, esistendo in questa forma dal 1261 al 1517.
Il Califfato degli Abbasidi e gli Stati e gli imperi contemporanei dell'820
In una società che marcava la propria identità culturale sul fatto prioritario di aderire al credo islamico, fondato sulCorano e sull'esempio vivente di Maometto, il fatto religioso ha avuto evidentemente una centralità che è impossibile negare. Ciò tuttavia non toglie che nei cambiamenti conosciuti dalla società islamica non abbiano potentemente inciso fattori politici, economici e sociali.
L'estrema semplicità della struttura della primissima societàmusulmana era stata ampiamente surrogata dall'incipiente capacità dei musulmani di irrompere dapprima nellapenisola arabica (con il primo califfoAbū Bakr) e, già conʿOmar ibn al-Khaṭṭāb, nelle areesiro-palestinesi edegiziane, nonché in quellemesopotamiche e della Persia. Il terzo e il quarto califfato (ʿUthmān b. ʿAffān eʿAlī ibn ʾAbī Ṭālib) erano stati caratterizzati dall'insorgere delle prime gravissime frizioni fra i vari "poteri forti" islamici per imporre la propria egemonia sulla Comunità.
GliOmayyadi erano usciti vincitori dal confronto ma ciò non aveva significato che i principali problemi che affliggevano laUmma fossero stati convenientemente risolti. In particolare erano rimasti inapplicati in massima parte gli aspetti "universalistici" del messaggio islamico che non faceva distinzione fra le varie etnie e culture che avessero abbracciato l'Islam. I convertiti non-arabi (i cosiddettimawālī) -persiani,greci, mesopotamici,berberi e persinoebrei - erano sostanzialmente rimasti esclusi dalle più significative e lucrose cariche politiche, e bloccati immotivatamente allostatus di sudditi "protetti", per essere discriminati persino all'interno delle compagini militari che proseguivano nella potente spinta conquistatrice in direzione delle aree asiatiche, africane ed europee aperte all'islamizzazione (ladār al-ḥarb, ossia il "territorio aperto alla guerra").
Questa situazione di palese iniquità economica, sociale e politica, era una situazione intollerabile anche sotto un profilo religioso, visto l'ecumenismo egualitario che caratterizzava già il primo Islam, sulla scorta della predicazione di Muhammad e di non pochi espliciti brani del Corano.
L'assolutismo califfale omayyade, che faceva ritenere al califfo di essere depositario del "vicariato di Dio" in Terra (khalīfat Allāh, "califfo di Dio" si faceva definire il califfo omayyade[2]) e non più soltantoAmīr al-muʾminīn (Comandante dei credenti), trovò un potente antagonista solo quando gli oppositori riuscirono a coniugare aspetti religiosi e politico-economici, facendo leva sul malcontento deimawālī.
Gli Abbasidi costituivano inizialmente una semplice branca del movimento favorevole al quarto califfoʿAlī ibn ʾAbī Ṭālib (che viene definito "alide"). Al suo interno gli Abbasidi si mossero da principio in modo non distinguibile dalle altre componenti che giudicavano "usurpatore" il califfato fondato daMuʿāwiya ibn Abī Sufyān.
È assai probabile che gli Abbasidi si rendessero conto di una certa disorganizzazione (se non addirittura di un eccessivo antagonismo) all'interno delle diverse anime che formavano l'alidismo e abbastanza presto cominciarono a operare in modo autonomo, ancorché clandestino, pur senza palesare questo loro orientamento strategico di fondo.
Quando l'opposizione alide ebbe la meglio sugli Omàyyadi (indeboliti dalle continue rivoltekharigite, dall'irriducibile antagonismo fra Arabi meridionali e settentrionali e da lotte intestine che squassarono la stessa unità della loro compagine familiare), gli Abbasidi si mostrarono come i più organizzati e, semplicemente, si proposero con forza come la nuova dinastia califfale, avocando a sé qualsiasi potere, definendosi con una certa supponenza "dinastia benedetta". Non tennero di conseguenza in alcun conto le pretese "legittimistiche" della Famiglia del Profeta (Ahl al-Bayt) che s'era illusa che nulla più si frapponesse per l'assunzione del governo supremo dellaUmma islamica. Da qui la rottura dell'unità fra Abbasidi e Alidi che, nel tempo, getteranno le basi ideologiche e teologiche per la nascita di un vero e proprio movimento islamico alternativo che sarà definito "sciita".
Dominio abbaside. Divisioni amministrative prima del suo smembramento iniziato a metà del IX secolo d.C.
Il primo califfo abbaside,Abū l-ʿAbbās al-Saffāḥ, pur proclamato aKufa nel 748-9, assunse realmente il potere solo nel 750, forte del poderoso appoggio militare dell'elemento persiano-khorasanico, accuratamente a lungo clandestinamente organizzato daAbū Muslim, il massimo esponente della macchina propagandistica abbaside nel periodo omayyade.
La dinastia tuttavia trovò il suo reale organizzatore e sapiente amministratore in Abū Jaʿfar (al-Manṣūr), fratello minore di Abū l-ʿAbbās, che fondò quelle solide basi che permisero alla suprema magistratura islamica di sopravvivere per mezzo millennio circa, anche se dopo il califfato dial-Mutawakkil, il potere della dinastia prese a svuotarsi sostanzialmente, pur mantenendosi formalmente fino alla sua caduta, come evidente simbolo dell'unità islamica.Ad al-Manṣūr (reg. 754-775) si deve la fondazione diBaghdad nell'area mesopotamica, che da sempre aveva espresso il più profondo affetto per la famiglia del Profeta.
L'apice della potenza abbaside fu raggiunto da suo nipoteHārūn al-Rashīd (reg. 786-809) e dal figlio di quest'ultimo,al-Maʾmūn (reg. 813-833), sotto i quali il califfato toccò limiti straordinari, tanto territoriali quanto culturali.
L'allargamento dei domini abbasidi portò peraltro a una progressiva crescita delle difficoltà del califfato, in parte causate dalle differenze etniche e culturali ma, più semplicemente, da una certa incapacità del centro di amministrare saggiamente le periferie.
Formazione di emirati indipendenti de facto (mappa in tedesco) negli ultimi anni (820-853) del Califfato degli Abbasidi
Nell'VIII secoloal-Andalus eMaghreb si erano già distaccati dal califfato, in parte per l'azione nel primo di un esponente omayyade superstite (ʿAbd al-Raḥmān b. Muʿāwiya) e in parte per l'indomita resistenzaberbera. Il secolo dopo fu l'Egitto tulunide a fare valere il proprio diritto all'auto-amministrazione e, con il trascorre del tempo, furono poi le provinceiraniche a rivendicare un proprio modello di sviluppo (pur senza rinunciare al tratto unificatore della religione islamica), quindi dallaSiria e dallaMesopotamia (sec. IX-X). Da quel momento in poi il califfato si ridusse progressivamente al controllo del soloIraq, quindi della sola Baghdad e, addirittura, neppure a tutta la città-capitale.
Tra l'836 e l'892 la capitale (segnata da crescenti problemi di ordine pubblico) fu trasferita aSāmarrā', per tornare tuttavia nuovamente a Baghdad fino alla caduta della dinastia.
Dopo avere subito la "tutela" deglisciitidaylamitibuwayhidi, o buyidi (X-XI secolo) e quindi deisunniti turchiSelgiuchidi, il califfato abbaside ebbe una breve reviviscenza di autorità nel XII secolo, specialmente sottoal-Nāṣir (reg. 1180-1225), ma finì con l'essere travolto alla metà del XIII secolo a opera deiMongoli diHülegü che conquistarono Baghdad e misero a morte l'ultimo califfoal-Mustaʿṣim (1258).
I cinque secoli della dinastia abbaside nell'Iraq coincidono con la maggior fioritura della civiltà arabo-musulmana. L'epoca fu contrassegnata dall'affermarsi ai vertici islamici dapprima dell'elemento iranico (specie sul piano culturale) e poi di quello turco (specie su quello militare). Il predominio arabo andò gradualmente e irrimediabilmente attenuandosi fin quasi a estinguersi del tutto, malgrado la dinastia (che dette all'Islam 37 califfi) rimanesse in mano araba fino al definitivo colpo di grazia inferto dai Mongoli.
Un ramo abbaside sopravvissuto allo sterminio mongolo si impiantò adAleppo e quindi al Cairo nel 1261, dove venne ospitato fra mille lussi ma nessun potere effettivo nell'Egittomamelucco. Quando gliOttomani presero l'Egitto nel 1521, acquisirono i simboli del potere califfale, legittimando le loro pretese. Queste furono dichiarate estinte daAtatürk alla fine del primo quarto del XX secolo, allorché l'Impero ottomano aveva già ceduto il posto alla Repubblica diTurchia.
Nell'epoca abbaside sorse la prima autentica arte islamica, profondamente diversa da quellaomayyade, che si era limitata a riciclare forme dell'ellenismo orientale. Non è un caso se nel IX secolo si diffuse una versione araba delleMille e Una Notte persiana.
Nell'architettura vennero introdotti l'iwān, una enorme sala mancante di un lato e l'arco spezzato, che verrà poi definito persiano; i monumenti abbasidi più caratteristici furono lemoschee e i palazzi diSamarra, innalzati grazie alla tecnica costruttiva del mattone crudo o cotto, e abbondanti di stucco modellato che rivestiva intere pareti.
I decoratori abbasidi usarono abbondantemente lapittura per caratterizzare le pareti delle case private e degliharem. Un riflesso della pittura abbaside, rivisitata daiFatimidi, lo troviamo nellaCappella Palatina (Palermo) e in alcuni palazzi dell'Iran orientale. L'arte abbaside non fece propria la riottosità islamica a rappresentare la figura umana e appare più indebitata con l'arte asiatica espressa storicamente in Persia.
Fra le arti decorative spiccano laceramica e itessuti oltre agli oggetti invetro e incristallo di rocca intagliato. Fra i tessuti si distinsero i famosi abiti deicaliffi, iṭīrāz, le tappezzerie inlana,cotone eseta con motivi astratti o animali stilizzati.
Durante il regno dei primi califfi abbasidi fiorì improvvisamente l'età dell'oro della scienza araba e Baghdad divenne il centro intellettuale più importante a livello globale dell'epoca. Il fermento culturale iniziò con un movimento di traduzione in arabo delle più importanti opere delle civiltà passate greca, persiana, indiana e con la costruzione della prima cartiera a Samarcanda, con tecnologia copiata dai cinesi, seguita dalla costruzione di altre.
Il sapere fino ad allora conosciuto di medicina, astronomia, agricoltura, astrologia, filosofia, matematica reso disponibile in una sola lingua attirò diversi studiosi non solamente arabi ma anche cristiani ed ebrei che parteciparono a questo fermento culturale da cui nacquero importantiscoperte originali[quali? aggiungere inoltre pagine del riferimento utilizzato] che ebbero notevole influenza sui secoli a seguire[3].
(EN) Bonner, Michael (2010). "The waning of empire, 861–945". In Robinson, Chase F. (ed.).The New Cambridge History of Islam, Volume 1:The Formation of the Islamic World, Sixth to Eleventh Centuries. Cambridge, Cambridge University Press, 2010, pp. 305–359.ISBN 978-0-521-83823-8.